venerdì 25 aprile 2014

Meant to be alone - Yoko Hogawa

   Da qualche tempo ho una nuova, conturbante passione per un telefilm. Guidata dall’interesse – hem, hem – scentifico che ho per la nobile e delicata arte della deduzione, e per il favoloso personaggio che Artur Conan Doyle… Okay, guidata dal corpo di quest’uomo:
 
Benedict Cumberbatch
   Sto parlando di Sherlock, il telefilm della BBC che, per mia grande sfiga, dura solo tre puntate a stagione. E gli attori se la prendono comoda, chiaramente, ogni volta che devono fare una stagione nuova: sono troppo impegnati a fare Lo Hobbit e Star Trek! Questo a sua volta mi ha portato a scrivere una fanfiction su Sherlock, e una su Benedict Cumberbatch. Ma in primis, mi ha portato alla ricerca di fanfiction sul fandom di EFP intitolato: Sherlock BBC.
 
   Con mio grande rammarico, ho scoperto che un buon 75% delle fanfiction su Sherlock parlano della relazione fra quest’ultimo e Watson (interpretato da Martin Freeman, che è diventato il mio eroe al primo Lo Hobbit).
   Non scoprirò mai perché questo conturbi tanto i fan. Io non amo le fanfiction slash, ma più che altro perché la maggior parte snaturano i personaggi. Ho letto veramente poche fanfiction che mantengono intatto il personaggio e non lo trasformano in una mammoletta isterica o in un ipersensibile piagnone. Ma con il tempo ho imparato a non bollare completamente la fanfiction slash e ne ho trovate di veramente bellissime.
   Con questi pensieri che mi frullavano in testa ho aperto Meant to be alone, di Yoko Hogawa. Poi l’ho richiusa e aperta di nuovo almeno tre volte prima di interessarmi sul serio, perché sebbene la trama fosse molto innovativa e curiosa, immaginare quei due uomini insieme mi dava una sensazione di disagio psicologico! Ogni volta che iniziavo il primo capitolo non potevo fare a meno di pensare che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrei dovuto immaginarli avvinghiati nudi l’uno all’altro, e la cosa non poteva che destabilizzarmi. Poi ho cercato di soprassedere a questo e a pensare a loro come Sherlock e John, anche se avevano le fattezze di Benedict e Martin.
 
La mia usuale reazione quando leggo fanfiction slash
   Siamo in un mondo nel quale le persone nascono con il nome della loro anima gemella tatuata sull’anulare, e al primo contatto fisico si forma fra loro un legame indissolubile. Esistono solo due eccezioni alla regola: i bondless e i ribbon. I primi non hanno nessun nome a legarli a qualcuno, i secondi sono quelli ad essere stati rifiutati dalla loro anima gemella, quindi il nome della persona amata è inciso sul dito con la forza e il fastidio di un taglio, che sanguina e si infetta e che non guarirà mai del tutto.
   Sherlock Holmes è un bondless, convinto di non poter amare nessuno. John Watson è un ribbon, consapevole di essere stato rifiutato dalla persona che ama. Un certo Sherlock, il cui nome non fa che bruciare sul suo dito.
   La storia in sé non porta molte sorprese, è il racconto delle prime due stagioni di Sherlock trasportate in questo universo in cui le regole sociali sono leggermente diverse da quelle che conosciamo. Almeno fino a che Sherlock non finge il suo suicidio e scompare. Lì l’autrice ha inventato di sana pianta la trama e la storia diventa il giusto connubio fra azione e introspettivo. Tuttavia la cosa più interessante è che lungo la storia sono disseminati spunti di riflessione, proprio riguardo a questa faccenda dell’anima gemella.
   Ad esempio, proprio nel primo capitolo, l’autrice ci fa notare che grazie alle anime gemelle il razzismo e il disprezzo per gli omosessuali non esiste. Al contrario, esiste un’altra sorta di discriminazione, soprattutto contro i ribbon: la società li evita perché la logica dice che se questi soggetti sono stati rifiutati dalla loro anima gemella, allora chiaramente non sono persone buone. Questo comporta che i ribbon debbano scontrarsi, fin da bambini, contro odio, disprezzo e pregiudizi. I ribbon hanno difficoltà ha farsi degli amici, non sono ammessi alle scuole migliori, difficilmente trovano lavoro e, inevitabilmente, la maggior parte di loro finisce per diventare un criminale. Questo ad esempio mi ha fatto riflettere riguardo a molti degli immigrati clandestini che cercano fortuna in paesi diversi dal loro. Certo, la faccenda è molto più complicata che in una fanfiction, ma credo che ci sia una certa similarità fra le due situazioni.
   Ma torniamo alla storia!
   Ripercorrere le prime due stagioni di Sherlock in questo modo è molto bello. Rivediamo scene che abbiamo già visto, ma sotto una luce differente. La storia è molto cupa, quel pizzico di ilarità dato alla serie qui non esiste. Ciò non toglie che sia una lettura molto appassionante. Ero totalmente immersa in questa fanfiction anche perché, dopo il finto suicidio di Sherlock, ci chiediamo come andrà a finire, cosa avrà inventato l’autrice, soprattutto perché la situazione è molto più critica che nel telefilm. La fine, ve lo posso assicurare, lascia con il fiato corto.
   A metà storia avevo già messo in conto che sarebbe finita fra le mie preferite. E così è stato.
   Consiglio Meant to be alone a tutti coloro che amano le Sherlock/John, a coloro che non le amano, ma soprattutto a chi ama il telefilm Sherlock, perché nonostante l’ambientazione AU i personaggi sono fedeli e sembra proprio di guardare una puntata del nostro telefilm preferito.

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