Da qualche tempo ho una nuova,
conturbante passione per un telefilm. Guidata dall’interesse – hem, hem – scentifico che ho per la nobile e
delicata arte della deduzione, e per il favoloso personaggio che Artur Conan
Doyle… Okay, guidata dal corpo di quest’uomo:
Benedict Cumberbatch |
Sto parlando di Sherlock, il telefilm
della BBC che, per mia grande sfiga, dura solo tre puntate a stagione. E gli
attori se la prendono comoda, chiaramente, ogni volta che devono fare una
stagione nuova: sono troppo impegnati a fare Lo Hobbit e Star Trek! Questo a
sua volta mi ha portato a scrivere una fanfiction su Sherlock, e una su
Benedict Cumberbatch. Ma in primis, mi ha portato alla ricerca di fanfiction sul
fandom di EFP intitolato: Sherlock BBC.
Con mio grande rammarico, ho scoperto
che un buon 75% delle fanfiction su Sherlock parlano della relazione fra quest’ultimo
e Watson (interpretato da Martin Freeman, che è diventato il mio eroe al primo
Lo Hobbit).
Non scoprirò mai perché questo conturbi
tanto i fan. Io non amo le fanfiction slash, ma più che altro perché la maggior
parte snaturano i personaggi. Ho letto veramente poche fanfiction che mantengono
intatto il personaggio e non lo trasformano in una mammoletta isterica o in un
ipersensibile piagnone. Ma con il tempo ho imparato a non bollare completamente
la fanfiction slash e ne ho trovate di veramente bellissime.
Con questi pensieri che mi frullavano in
testa ho aperto Meant to be alone, di Yoko Hogawa. Poi l’ho richiusa e aperta
di nuovo almeno tre volte prima di interessarmi sul serio, perché sebbene la
trama fosse molto innovativa e curiosa, immaginare quei due uomini insieme mi
dava una sensazione di disagio psicologico! Ogni volta che iniziavo il primo
capitolo non potevo fare a meno di pensare che prima o poi sarebbe arrivato il
momento in cui avrei dovuto immaginarli avvinghiati nudi l’uno all’altro, e la
cosa non poteva che destabilizzarmi. Poi ho cercato di soprassedere a questo e
a pensare a loro come Sherlock e John, anche se avevano le fattezze di Benedict
e Martin.
La mia usuale reazione quando leggo fanfiction slash |
Siamo in un mondo nel quale le persone
nascono con il nome della loro anima gemella tatuata sull’anulare, e al primo
contatto fisico si forma fra loro un legame indissolubile. Esistono solo due
eccezioni alla regola: i bondless e i
ribbon. I primi non hanno nessun nome
a legarli a qualcuno, i secondi sono quelli ad essere stati rifiutati dalla
loro anima gemella, quindi il nome della persona amata è inciso sul dito con la
forza e il fastidio di un taglio, che sanguina e si infetta e che non guarirà
mai del tutto.
Sherlock Holmes è un bondless, convinto
di non poter amare nessuno. John Watson è un ribbon, consapevole di essere
stato rifiutato dalla persona che ama. Un certo Sherlock, il cui nome non fa
che bruciare sul suo dito.
La storia in sé non porta molte
sorprese, è il racconto delle prime due stagioni di Sherlock trasportate in
questo universo in cui le regole sociali sono leggermente diverse da quelle che
conosciamo. Almeno fino a che Sherlock non finge il suo suicidio e scompare. Lì
l’autrice ha inventato di sana pianta la trama e la storia diventa il giusto
connubio fra azione e introspettivo. Tuttavia la cosa più interessante è che
lungo la storia sono disseminati spunti di riflessione, proprio riguardo a
questa faccenda dell’anima gemella.
Ad esempio, proprio nel primo capitolo,
l’autrice ci fa notare che grazie alle anime gemelle il razzismo e il disprezzo
per gli omosessuali non esiste. Al contrario, esiste un’altra sorta di
discriminazione, soprattutto contro i ribbon: la società li evita perché la
logica dice che se questi soggetti sono stati rifiutati dalla loro anima
gemella, allora chiaramente non sono persone buone. Questo comporta che i
ribbon debbano scontrarsi, fin da bambini, contro odio, disprezzo e pregiudizi.
I ribbon hanno difficoltà ha farsi degli amici, non sono ammessi alle scuole
migliori, difficilmente trovano lavoro e, inevitabilmente, la maggior parte di
loro finisce per diventare un criminale. Questo ad esempio mi ha fatto
riflettere riguardo a molti degli immigrati clandestini che cercano fortuna in
paesi diversi dal loro. Certo, la faccenda è molto più complicata che in una
fanfiction, ma credo che ci sia una certa similarità fra le due situazioni.
Ma torniamo alla storia!
Ripercorrere le prime due stagioni di
Sherlock in questo modo è molto bello. Rivediamo scene che abbiamo già visto,
ma sotto una luce differente. La storia è molto cupa, quel pizzico di ilarità
dato alla serie qui non esiste. Ciò non toglie che sia una lettura molto appassionante.
Ero totalmente immersa in questa fanfiction anche perché, dopo il finto
suicidio di Sherlock, ci chiediamo come andrà a finire, cosa avrà inventato l’autrice,
soprattutto perché la situazione è molto più critica che nel telefilm. La fine,
ve lo posso assicurare, lascia con il fiato corto.
A metà storia avevo già messo in conto
che sarebbe finita fra le mie preferite. E così è stato.
Consiglio Meant to be alone a tutti
coloro che amano le Sherlock/John, a coloro che non le amano, ma soprattutto a
chi ama il telefilm Sherlock, perché nonostante l’ambientazione AU i personaggi
sono fedeli e sembra proprio di guardare una puntata del nostro telefilm
preferito.
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