lunedì 11 aprile 2016

Il miniaturista - Jessie Burton

Sin dalla prima volta in cui vidi la copertina di “Il miniaturista”, di Jessie Burton, ne rimasi affascinata. Dando una veloce scorsa alla quarta di copertina decisi che lo avrei letto. Adoro i romanzi storici e leggerne uno ambientato nell’Olanda del 1600 mi sconfinferava, perché sia il periodo che il luogo mi piacciono.
Sono rimasta affascinata ed ero presissima dalla storia, ne leggevo pagina dopo pagina con una voracità cui solo i libri più affascinanti mi costringono. Tuttavia, dopo essere arrivata alla fine, fatico a dare un giudizio. (Attenzione: a seguito spoiler alert!)
 
La giovane Petronella è appena stata data in sposa ad un mercante di Amsterdam, Johannes Brandt, e si trasferisce in casa del marito. Ad accoglierla tuttavia c’è la sorella di lui, Marin, e i due servitori Otto e Cornelia, che non le riservano particolari gentilezze.
Nei giorni seguenti Petronella ha modo di constatare che la famiglia Brandt è una famiglia piuttosto peculiare. A tenere le redini degli affari sembra essere Marin, che punzecchia il fratello e dà consigli su come e cosa vendere. La giovane Cornelia non si comporta come una serva e il pacato Otto, che riscuote curiosità e maldicenze a causa della sua pelle nera, non sembra affatto uno schiavo. Inoltre Johannes fa capire a Petronella che non ha intenzione di consumare il matrimonio. La ragazza prende questo fatto come un’offesa, ma si rende conto che più di un mistero viene conservato in quella casa.
Per distrarsi Petronella contatta un miniaturista, che riempia di figurine il prezioso stipetto che Johannes le ha regalato per il loro matrimonio e che raffigura alla perfezione la loro casa. L’artigiano si trova a poche strade di distanza e dimostra subito un talento incomparabile a qualsiasi altro. La precisione e la bellezza dei piccoli oggetti fabbricati sono incredibili, ma quando Petronella si rende conto della troppa somiglianza che hanno con la realtà diventano inquietanti.
Le settimane passano e la ragazza scopre suo malgrado un segreto dopo l’altro. Gli amori giovanili di Marin che sembrano perseguitarla ancora oggi, mentre lei ha scelto una vita solitaria e libera. L’amante di suo marito, un giovane inglese, che accecato dalla gelosia e dal rancore fa in modo di far arrestare Johannes per sodomia. Infine il più grande segreto di Marin, che ha tenuto nascosta la sua gravidanza per mesi perché il bambino sarà segnato per sempre: figlio di una donna nubile e di uno schiavo nero.
In tutto ciò il miniaturista continua a inviare i suoi lavori, non più richiesti, un po’ desiderati e un po’ paventati, perché ad una seconda occhiata ogni pezzo rivela la realtà che agli occhi di Petronella era nascosta. Così scopre il piccolo bozzo sulla testa del cane di casa, ucciso con una coltellata, e il rigonfiamento della pancia di Marin sotto gli strati dei minuscoli vestiti che rivestono la sua bambola.
Ma chi è il miniaturista? Come fa a vedere ciò che ali altri è nascosto? Perché fa tutto questo?
 
Jessie Burton
Credo di essere arrivata alla fine di questo libro in pochissimo tempo grazie alla grande abilità di creare aspettativa e suspance di  Jessie Burton. In ogni pagina i segreti si infittivano e quando uno si risolveva altri due ne spuntavano, sinistri e terribilmente curiosi. Ad essere del tutto sincera è stato un po’ frustrante ad un certo punto, perché continuavano a spuntare nuovi punti interrogativi e le risposte erano tutte sommarie, spesso insoddisfacenti.
Lo stile della Burton è poetico e mi è piaciuto molto. Oltre ad essere scorrevole e facile da leggere, “Il miniaturista” è uno di quei romanzi che arricchisce ogni scena di meraviglia. Piccoli dettagli che rendono tutto un poco più tangibile e, allo stesso tempo, magico. Era come avere tra le mani una delle miniature del libro, piccola ma preziosa, pronta a rivelarsi nuova ad ogni occhiata.
I personaggi sono tutti profondamente umani. Pur rimanendo pittoreschi non sono eccessivamente eccentrici e questo lo apprezzo. Ci sono libri in cui pare che ogni nuovo personaggio voglia essere superlativo, ma non possono essere tutti così, solo uno può esserlo nello stesso romanzo, al massimo due. Gli altri devono limitarsi ad essere interessanti o ben costruiti. In questo caso si tratta del miniaturista, che rimane una figura misteriosa fino alla fine.
L’unico personaggio che non mi ha catturata è stato Petronella, però non a causa sua piuttosto per una scelta dell’autrice. Petronella arriva a casa Brandt nei panni di una ragazza di campagna. Ingenua, timida, totalmente fuori luogo nella grande città e nei salotti dei mercanti. Tuttavia una scintilla di forza e un carattere deciso si intuiscono fin dalle prime pagine, un carattere che deve solo sbocciare per far fronte ai momenti difficili. Apprezzo che questo avvenga, sul serio. Un personaggio femminile con gli attributi, più scaltra degli uomini, è una delle cose che preferisco in assoluto. Nel caso di Petronella questa trasformazione avviene in maniera troppo repentina. Arriva come un uccellino spaurito ma nel giro di due mesi prende in mano la situazione, fa nascere un bambino e porta a termine una trattativa economica senza averlo mai fatto prima. Perché far succedere tutto in soli due mesi, mi chiedo? Perché non fare due anni? In quel caso avrebbe avuto più senso, visto anche il legame intenso che nonostante tutto si viene a creare fra Petronella e Johannes – che dovrebbero però essere praticamente estranei, dato che il marito lavora tutto il giorno tutti i giorni oppure è in viaggio d’affari.
Altra cosa che non mi è piaciuta è il fatto che, alla fine del romanzo, non si venga a sapere nulla del misterioso miniaturista. Quelle tre domande che ho lasciato alla fine del riassunto non sono casuali. Io vorrei davvero sapere chi è ‘sto miniaturista, come fa a leggere il futuro e perché lo fa?! Domande fondamentali del romanzo, perché attorno a quelle ruota buona parte della storia, e che non ricevono alcuna risposta. Nemmeno una.
Questo mi ha lasciata piuttosto contrariata e mi sento come se mancasse un pezzo di libro, il pezzo finale che svela tutto.
 
Potrebbe sembrare il contrario, dopo tutta questa tiritera, ma “Il miniaturista” mi è davvero piaciuto. Purtroppo se ci ripenso torna in me quel senso di attesa, di aspettativa… va bene, okay, di disperazione profonda!, perché voglio sapere di più e non sono stata accontentata.
Anche questo è indice di quanto mia sia piaciuto il libro: se non fosse stato bello non mi angoscerei più di tanto su come va a finire.

giovedì 7 aprile 2016

Altre cose che si imparano dai libri

La prima cosa che ti dirà un autore, un manuale di scrittura creativa, o anche solo qualcuno con un po’ di buonsenso, è che per imparare a scrivere si deve leggere. Penso che tutti gli aspiranti scrittori lo facciano senza che gli venga neanche detto, perché sono convinta che prima di essere autori si diventi lettori.
Un autore che non ama leggere non è un vero autore a mio avviso. Chi non è amante dei libri e della lettura e non potrà mai trasmettere in uno scritto tutte le emozioni che si celano dietro un romanzo, perché è il primo a non comprenderle o provarle.
Si può essere lettori senza essere autori, ma non il contrario.
La domanda però è un’altra: in che modo la lettura può aiutarmi come autore?
 
 
La prima cosa cui dobbiamo fare attenzione è il genere di cui vogliamo scrivere. Quasi certamente se vogliamo scrivere un fantasy è perché ci piace e avremmo letto milioni di libri fantasy. Lo stesso vale per la fantascienza, il giallo, il romanzo storico o d’amore. Il primissimo modo in cui la lettura ci aiuta è facendoci conoscere i canoni del genere, che sono la cosa fondamentale per scrivere un romanzo. Credo che un autore in erba, o comunque un esordiente, se scrive un romanzo di genere debba cercare di attenersi alle linee guida del genere cui si è avvicinato, quindi deve conoscerlo bene.
Un autore dovrebbe avere un vocabolario ampio, che poi il suo stile sia incasellato in un certo tipo di narrazione, che magari usa termini desueti o giovanili per scelta, quello è un altro discorso. Rimane il fatto che penso sia dovere di uno scrittore avere un grande ventaglio di scelte lessicali. E come si arricchisce un vocabolario se non leggendo? Le parole nuove che incontriamo nei libri andrebbero cercate sul dizionario, perché potrebbero sempre tornare utili.
Punto dolente di molti sono i dialoghi. Uno dei metodi più semplici per scriverli, almeno per me, è riportare alla mente conversazioni che ho già sentito, quindi prendere spunto dalla realtà. Ma non dobbiamo dimenticare che un dialogo, per quanto sia credibile, va letto e non ascoltato. Dobbiamo renderlo naturale ma lasciargli comunque le caratteristiche di un buon dialogo scritto, piacevole da leggere. In questo possiamo prendere esempio dai libri.
 
Penso che queste siano le cose tecniche che tutti possono imparare dai libri semplicemente leggendoli. Poi mi sembra scontato dire che i libri insegnano molto di più, sia in termini di scrittura che personali.
Mi sembra scontato, però l’ho detto.