lunedì 28 settembre 2015

La trama secondo me

Ultimamente per iniziare i post mi affido al dizionario. Il mio preferito, online, è quello dell'enciclopedia Treccani. Non so perché, non vedeteci una presa di posizione, forse è solo perché è uno di quelli che ho conosciuto per primi, quindi è decisamente una scelta affettiva. Comunque sia cercando la parola ‘trama’, Treccani risponde dicendo che si tratta di un insieme di fatti che formano un’opera narrativa.
Detta così, la trama è di una semplicità disarmate. Ci si chiede come mai ogni giorno chi scrive – o chi tenta di scrivere – vi si arrabatti tanto. Peccato che per essere buona una trama debba avere, secondo il mio modesto parere, almeno tre caratteristiche. Deve essere solida, avvincente e deve proseguire in maniera quasi automatica grazie ad un meccanismo di causa-effetto. Lasciamo perdere i modi per scriverla, una trama. Non mi ritengo particolarmente brava in questo campo. Ho portato a termine veramente poche trame, nella pratica, per poter mettere giù un post con obbiettività, ordine e senza perdermi in vaneggiamenti.
Parliamo della trama dal punto di vista del lettore.
 
Come lettrice pretendo molto da una trama. Per prima cosa mi piace il meccanismo di causa-effetto perché in questo modo tutti gli avvenimenti sono collegati.
Ciò che leggo a pagina uno mi porta alla pagina dieci, poi alla cento e così via. Sapere che si tratta di un susseguirsi di situazioni collegate mantiene la mia attenzione alta, ogni scena che leggo acquista importanza di per sé, e non è subordinata a ciò che racconta. In ogni riga potrebbe nascondersi un passaggio fondamentale, che mi porta all'avventura successiva, così che quando leggo tengo l'attenzione ben alta, a prescindere dal fatto di avere di fronte una scena d'avventura, romantica, divertente o drammatica. Non capisco chi non utilizza questo modo di portare avanti una storia, forse perché non amo le storie senza questo particolare modo di scrivere.
Già solo questo maccanismo ha le potenzialità per tenermi incollata al libro. Per considerarlo però un ottimo libro mancano le altre due caratteristiche reputo importantissime.
Le trame che ho trovato più avvincenti sono quelle che lasciano spesso qualcosa in sospeso per riprenderlo più avanti. Adoro infatti avere più di un personaggio che agisce in maniera indipendente, in un romanzo, per poter saltare da un personaggio all’altro e scoprire in contemporanea le vicende di tutti, lasciandole però allo stesso tempo tutte in sospeso.
Questo potrebbe essere un modo per rendere una trama avvincente, ed è il mio preferito (personalmente, mi spinge a continuare una lettura persino alle tre di notte!), ma possono essercene altri mille, di modi per stimolare la curiosità del lettore.
Infine, una trama deve essere solida. Si sente dire spesso, tuttavia credo che pochi sappiano spiegare appieno che cosa significhi. Io non sono una di quelle persone. Per me una trama solida è qualcosa che non si può ‘sfasciare’ facilmente, quindi un insieme di caratteristiche che rendono il nostro libro inoppugnabile. Ogni sentimento dei personaggi, ogni mossa che compiono, ogni pensiero che fanno, deve avere una motivazione ben precisa. Senza motivazioni solide posso in qualsiasi momento distruggere il castello di carta che è la trama togliendo un pezzettino alla base.
Penso che si tratti di un giudizio personale. Forse qualcun altro considera una trama solida qualcosa con caratteristiche molto diverse dalle mie. Mi chiedo, a questo punto, se esista qualcosa di veramente oggettivo nella letteratura.
 
Ma questo è un altro post. Per ora parliamo solo di trama e, già che ci siamo, vi domando che cosa ne pensate voi. Cos’è che una trama deve avere per essere una trama ben fatta?

martedì 8 settembre 2015

Mansfield park - Jane Austen

Sin da quando lessi “Orgoglio e pregiudizio” per un compito scolastico, ho adorato Jane Austen e i suoi romanzi. Non li ho ancora letti tutti, perché secondo me c’è un momento giusto per leggere i suoi romanzi. Solitamente si piazzano dopo qualche romanzo d’avventura, magari uno o due storici, e un racconto romantico. Allora sì che viene voglia di leggere Jane Austen, immergersi nell’atmosfera dell’Inghilterra di metà ottocento.
Attenzione però! L’Inghilterra di metà ottocento della classe medio alta. Quei salotti dove si passava il tempo a motteggiare allegramente, ad ascoltare musica dal vivo, a giocare a carte o, magari, si sceglieva di uscire all’aperto a fare una passeggiata attorno alla proprietà, per parlare in serenità in qualche parco ben curato e un po’ nascosto con un gentiluomo dal bel portamento inglese.
 
Nonostante questi tipi di letture un po’ idealizzino, a mio parere, l’idea che abbiamo dell’epoca di quel tempo, rendono in maniera molto verosimile se non altro una parte di popolazione, e la natura umana tutta.
L’idealizzazione sta nel fatto che, all’infuori delle piccole società che la Austen crea, unendo due o tre famiglie e pochi altri elementi, pare non esserci nulla. Non un servitore in casa (compaiono molto raramente nella narrazione, appena di sfuggita se non mai, seppure la loro presenza in quegli anni fosse costante nelle case di borghesi e nobili), non un popolano per le vie, né apparentemente uno stato, un popolo, una monarchia o famiglia reale che sia, di cui oggi invece si ama discutere per ogni quisquilia. Sembra quasi che questi nobili vivessero in una bolla di vetro opaco, senza vedere nulla al di fuori di ciò che il racconto della Austen suggerisce, nulla che non abbia a che fare con la trama stessa. Forse era davvero così. Forse i nobili inglesi dell’epoca preferivano davvero essere sordi alla politica, ciechi alla povertà, e semplicemente si chiudevano nei loro palazzi londinesi o nelle loro regge di campagna in estate. Chi lo sa?
Eppure c’è un fondo di verità che aleggia lungo tutta la narrazione. Una delle cose che più preferisco di Jane Austen è la sua capacità di comprendere la natura umana. Quella sì non cambia di molto negli anni, uomini e donne possono essere solari, umili, meschini, sciocchi e un sacco di altre cose belle o brutte, ora come allora. Dei suoi personaggi amo il fatto di riuscire a comprenderli sempre e in toto, senza sforzo o pregiudizio, perché hanno un carattere reale che agisce e reagisce in maniera coerente a sé stesso.
Una sola cosa posso dire di male ai personaggi di Jane Austen: in ogni romanzo che ho letto sin ora c’è un personaggio (spesso femminile) che sembra voler incarnare tutte le qualità positive e allontanare quelle negative. Ho sistematicamente detestato tutti quei personaggi, e mi andava anche bene finché erano personaggi minori o comunque non i principali. Ma poi ho letto “Mansfield Park”. Ho incontrato quella che sembra essere l’eroina preferita della Austen, la più perfetta e la più arrogante nella sua rappresentazione: Fanny Price.
 
Per chi non ha letto Mansfield Park faccio un riassunto (spoiler alert!).
A dieci anni Fanny Price si trasferisce a casa degli zii nella magione di Mansfield Park. Provenendo da una famiglia piuttosto povera e rozza, essere a Mansfield e poter godere di privilegi quali l’educazione scolastica, la conoscenza di persone altolocate, l’adozione di maniere raffinate, è per Fanny una vera fortuna. Nonostante questo rimane sempre relegata ad un ruolo inferiore rispetto ai cugini, perché loro occupano un gradino più alto in società.
Fanny cresce così misurando costantemente la distanza fra sé e la due cugine. Mentre lei studia e si meraviglia di ciò che apprende, loro si annoiano e pensano che l’educazione sia solo un mezzo per apparire intelligenti, mentre Fanny si rende utile in casa loro pensano a passatempi poco faticosi e più ludici, mentre lei rimane nelle retrovie nella società le due cucine non vedono l’ora di lanciarcisi.
In gran segreto Fanny s’innamora del cugino Edmund, che però è interessato ad una nuova vicina che è in visita assieme al fratello. I due nuovi arrivati sono Mr. e Miss Crawford, entrambi viziati e vanesi, egoisti e con poco senno. Edmund inizialmente s’infatua di Miss Crawford ma desiste nel chiedere la sua mano quando si rende conto della natura negativa della ragazza. Mr. Crawford invece è innamorato di Fanny a dispetto del suo rango inferiore e chiede la sua mano. Lei lo rifiuta, scatenando lo sdegno e lo stupore di tutti. Non a torto, però, lo fa, perché pochi mesi dopo aver chiesto la sua mano Mr. Crawford verrà coinvolto in uno scandalo con la più sciocca delle cugine di Fanny, che fra l’altro si era appena sposata.
Infine Fanny, grazie alla sua perseveranza, onestà e umiltà sposa il cugino Edmund.
 
Orbene, ci sono parecchie cose da dire su questo romanzo. Mi ha presa, su questo non c’è dubbio. L’ho letto più velocemente di quanto credessi possibile! Tuttavia ci sono parecchie cose che non ho apprezzato in questo libro, come molte altre invece mi hanno fatta riflettere.
La prima, come già accennavo, è la protagonista. Incarna tutte le qualità che una persona può incarnare, è talmente perfetta da dare la nausea. Inoltre la sua relazione con Edmund è delle più tristi. Forse la Austen intendeva essere ironica, ma se è così allora qualcuno deve dirmelo perché io non l’ho capito. Edmund sposa Fanny, ma non c’è traccia di romanticismo fra i due, per lo meno da parte di lui. Per come l’ho interpretata io, Edmund sposa Fanny perché è quella che più si avvicina al suo ideale di moralità, ma non la ama. Come può amarla? Fanny è grigia, noiosa, prevedibile, fa quel che la gente farebbe se si comportasse sempre bene. Ma non è bello ogni tanto comportarsi male? Invece Fanny ama Edmund dell’amore più ingenuo che può esserci. Non si arrabbia con lui nemmeno quando va contro a tutti i suoi ideali, nemmeno quando si rimangia la parola data perché caduto come uno scemo nelle malie di Miss Crawford. A Edmund, Fanny si asservisce perché è l’uomo che ama.
Non ho capito poi che cosa ci fosse di tanto male in Miss Crawford. Personalmente l’ho trovata più simpatica di Fanny, più naturale e sicuramente meno musona. Certo nel libro viene descritta in maniera negativa, è ricca e quindi viziata, è avida e quindi opportunista. Ma quel che ho visto io invece è una donna furba e sicura di sé, in un’epoca in cui le donne sciocche e insicure erano purtroppo la maggior parte, causa una società che le costringeva al ruolo di grazioso soprammobile. Una donna come Miss Crawford forse ha meno scrupoli, pensa più al profitto, ma per vivere serenamente sono convinta che molte donne dovessero fare così in quell’epoca.
Quindi meno Fanny e più Miss Crawford per tutti! Perché di donne furbe sicure di sé il mondo non avrà mai abbastanza.
 
Ho sentito dire che Jane Austen considerava “Mansfield Park” uno dei suoi libri più importanti poiché l’educazione – in particolare quella femminile – era al centro della narrazione. Si stupì molto quando venne a malapena notato dai critici, passato quasi sotto silenzio rispetto ad altri suoi precedenti lavori come ad esempio “Orgoglio e pregiudizio”. Credo che fosse un tema più scottante, che ai critici conveniva far passare dietro le quinte piuttosto che sul palcoscenico, perché era un tema che avrebbe suscitato polemica.
Con il messaggio che il romanzo mi ha trasmesso sono del tutto d’accordo. Fanny riesce a raggiungere il suo ideale di felicità grazie alla caparbietà e serietà che ha maturato nel corso degli anni. Queste gli vengono non solo dall’educazione aristocratica, ma anche e forse soprattutto dalla distanza che tiene da essa. La Austen dimostra proprio che coloro che hanno tutto, che sono vezzeggiati e adulati sin dall’infanzia, crescono con una percezione distorta di loro stessi, una percezione troppo alta rispetto a ciò che è la realtà. Mentre chi viene relegato nell’angolo può vedere le cose da un punto di vista più ampio, il cui centro sono le cose che contano, e non sé stessi.
Pienamente d’accordo! Qui la Asuten si è guadagnata il mio pollice alzato.
 
In generale direi che questo romanzo mi è piaciuto, nonostante i suoi lati negativi. Forse proprio per quelli perché, nonostante tutto, mi è piaciuto analizzarlo, trovare le ragioni per cui non sono d’accordo con questa o quella affermazione.
Penso che un romanzo che ci fa ragionare, discutere, che ci spinge all’analisi, anche se considerato un cattivo romanzo, sia sempre meglio di un romanzo che passa sotto silenzio senza stuzzicare nemmeno una corda della nostra voglia di dibattito.