Sin da quando lessi “Orgoglio e
pregiudizio” per un compito scolastico, ho adorato Jane Austen e i suoi
romanzi. Non li ho ancora letti tutti, perché secondo me c’è un momento giusto
per leggere i suoi romanzi. Solitamente si piazzano dopo qualche romanzo
d’avventura, magari uno o due storici, e un racconto romantico. Allora sì che
viene voglia di leggere Jane Austen, immergersi nell’atmosfera dell’Inghilterra
di metà ottocento.
Attenzione però! L’Inghilterra di metà
ottocento della classe medio alta. Quei salotti dove si passava il tempo a
motteggiare allegramente, ad ascoltare musica dal vivo, a giocare a carte o,
magari, si sceglieva di uscire all’aperto a fare una passeggiata attorno alla
proprietà, per parlare in serenità in qualche parco ben curato e un po’
nascosto con un gentiluomo dal bel portamento inglese.
Nonostante questi tipi di letture un po’
idealizzino, a mio parere, l’idea che abbiamo dell’epoca di quel tempo, rendono
in maniera molto verosimile se non altro una parte di popolazione, e la natura
umana tutta.
L’idealizzazione sta nel fatto che,
all’infuori delle piccole società che la Austen crea, unendo due o tre famiglie
e pochi altri elementi, pare non esserci nulla. Non un servitore in casa (compaiono
molto raramente nella narrazione, appena di sfuggita se non mai, seppure la
loro presenza in quegli anni fosse costante nelle case di borghesi e nobili),
non un popolano per le vie, né apparentemente uno stato, un popolo, una
monarchia o famiglia reale che sia, di cui oggi invece si ama discutere per
ogni quisquilia. Sembra quasi che questi nobili vivessero in una bolla di vetro
opaco, senza vedere nulla al di fuori di ciò che il racconto della Austen
suggerisce, nulla che non abbia a che fare con la trama stessa. Forse era
davvero così. Forse i nobili inglesi dell’epoca preferivano davvero essere
sordi alla politica, ciechi alla povertà, e semplicemente si chiudevano nei
loro palazzi londinesi o nelle loro regge di campagna in estate. Chi lo sa?
Eppure c’è un fondo di verità che
aleggia lungo tutta la narrazione. Una delle cose che più preferisco di Jane
Austen è la sua capacità di comprendere la natura umana. Quella sì non cambia
di molto negli anni, uomini e donne possono essere solari, umili, meschini,
sciocchi e un sacco di altre cose belle o brutte, ora come allora. Dei suoi
personaggi amo il fatto di riuscire a comprenderli sempre e in toto, senza
sforzo o pregiudizio, perché hanno un carattere reale che agisce e reagisce in
maniera coerente a sé stesso.
Una sola cosa posso dire di male ai
personaggi di Jane Austen: in ogni romanzo che ho letto sin ora c’è un
personaggio (spesso femminile) che sembra voler incarnare tutte le qualità
positive e allontanare quelle negative. Ho sistematicamente detestato tutti
quei personaggi, e mi andava anche bene finché erano personaggi minori o
comunque non i principali. Ma poi ho letto “Mansfield Park”. Ho incontrato
quella che sembra essere l’eroina preferita della Austen, la più perfetta e la
più arrogante nella sua rappresentazione: Fanny Price.
Per chi non ha letto Mansfield Park
faccio un riassunto (spoiler alert!).
A dieci anni Fanny Price si trasferisce
a casa degli zii nella magione di Mansfield Park. Provenendo da una famiglia
piuttosto povera e rozza, essere a Mansfield e poter godere di privilegi quali
l’educazione scolastica, la conoscenza di persone altolocate, l’adozione di
maniere raffinate, è per Fanny una vera fortuna. Nonostante questo rimane
sempre relegata ad un ruolo inferiore rispetto ai cugini, perché loro occupano
un gradino più alto in società.
Fanny cresce così misurando
costantemente la distanza fra sé e la due cugine. Mentre lei studia e si
meraviglia di ciò che apprende, loro si annoiano e pensano che l’educazione sia
solo un mezzo per apparire intelligenti, mentre Fanny si rende utile in casa
loro pensano a passatempi poco faticosi e più ludici, mentre lei rimane nelle
retrovie nella società le due cucine non vedono l’ora di lanciarcisi.
In gran segreto Fanny s’innamora del
cugino Edmund, che però è interessato ad una nuova vicina che è in visita assieme
al fratello. I due nuovi arrivati sono Mr. e Miss Crawford, entrambi viziati e
vanesi, egoisti e con poco senno. Edmund inizialmente s’infatua di Miss
Crawford ma desiste nel chiedere la sua mano quando si rende conto della natura
negativa della ragazza. Mr. Crawford invece è innamorato di Fanny a dispetto
del suo rango inferiore e chiede la sua mano. Lei lo rifiuta, scatenando lo
sdegno e lo stupore di tutti. Non a torto, però, lo fa, perché pochi mesi dopo
aver chiesto la sua mano Mr. Crawford verrà coinvolto in uno scandalo con la
più sciocca delle cugine di Fanny, che fra l’altro si era appena sposata.
Infine Fanny, grazie alla sua
perseveranza, onestà e umiltà sposa il cugino Edmund.
Orbene, ci sono parecchie cose da dire
su questo romanzo. Mi ha presa, su questo non c’è dubbio. L’ho letto più velocemente
di quanto credessi possibile! Tuttavia ci sono parecchie cose che non ho
apprezzato in questo libro, come molte altre invece mi hanno fatta riflettere.
La prima, come già accennavo, è la
protagonista. Incarna tutte le qualità che una persona può incarnare, è
talmente perfetta da dare la nausea. Inoltre la sua relazione con Edmund è
delle più tristi. Forse la Austen intendeva essere ironica, ma se è così allora
qualcuno deve dirmelo perché io non l’ho capito. Edmund sposa Fanny, ma non c’è
traccia di romanticismo fra i due, per lo meno da parte di lui. Per come l’ho
interpretata io, Edmund sposa Fanny perché è quella che più si avvicina al suo
ideale di moralità, ma non la ama. Come può amarla? Fanny è grigia, noiosa,
prevedibile, fa quel che la gente farebbe se si comportasse sempre bene. Ma non
è bello ogni tanto comportarsi male? Invece Fanny ama Edmund dell’amore più
ingenuo che può esserci. Non si arrabbia con lui nemmeno quando va contro a
tutti i suoi ideali, nemmeno quando si rimangia la parola data perché caduto
come uno scemo nelle malie di Miss Crawford. A Edmund, Fanny si asservisce
perché è l’uomo che ama.
Non ho capito poi che cosa ci fosse di
tanto male in Miss Crawford. Personalmente l’ho trovata più simpatica di Fanny,
più naturale e sicuramente meno musona. Certo nel libro viene descritta in
maniera negativa, è ricca e quindi viziata, è avida e quindi opportunista. Ma
quel che ho visto io invece è una donna furba e sicura di sé, in un’epoca in
cui le donne sciocche e insicure erano purtroppo la maggior parte, causa una
società che le costringeva al ruolo di grazioso soprammobile. Una donna come
Miss Crawford forse ha meno scrupoli, pensa più al profitto, ma per vivere
serenamente sono convinta che molte donne dovessero fare così in quell’epoca.
Quindi meno Fanny e più Miss Crawford
per tutti! Perché di donne furbe sicure di sé il mondo non avrà mai abbastanza.
Ho sentito dire che Jane Austen
considerava “Mansfield Park” uno dei suoi libri più importanti poiché
l’educazione – in particolare quella femminile – era al centro della
narrazione. Si stupì molto quando venne a malapena notato dai critici, passato
quasi sotto silenzio rispetto ad altri suoi precedenti lavori come ad esempio
“Orgoglio e pregiudizio”. Credo che fosse un tema più scottante, che ai critici
conveniva far passare dietro le quinte piuttosto che sul palcoscenico, perché
era un tema che avrebbe suscitato polemica.
Con il messaggio che il romanzo mi ha
trasmesso sono del tutto d’accordo. Fanny riesce a raggiungere il suo ideale di
felicità grazie alla caparbietà e serietà che ha maturato nel corso degli anni.
Queste gli vengono non solo dall’educazione aristocratica, ma anche e forse
soprattutto dalla distanza che tiene da essa. La Austen dimostra proprio che
coloro che hanno tutto, che sono vezzeggiati e adulati sin dall’infanzia,
crescono con una percezione distorta di loro stessi, una percezione troppo alta
rispetto a ciò che è la realtà. Mentre chi viene relegato nell’angolo può
vedere le cose da un punto di vista più ampio, il cui centro sono le cose che
contano, e non sé stessi.
Pienamente d’accordo! Qui la Asuten si è
guadagnata il mio pollice alzato.
In generale direi che questo romanzo mi
è piaciuto, nonostante i suoi lati negativi. Forse proprio per quelli perché,
nonostante tutto, mi è piaciuto analizzarlo, trovare le ragioni per cui non
sono d’accordo con questa o quella affermazione.
Penso
che un romanzo che ci fa ragionare, discutere, che ci spinge all’analisi, anche
se considerato un cattivo romanzo, sia sempre meglio di un romanzo che passa
sotto silenzio senza stuzzicare nemmeno una corda della nostra voglia di
dibattito.
Anche io l'ho riletto da poco e devo dire che mi trovo d'accordo con le tue affermazioni riguardo Miss Crowford, però io ho trovato Fanny un personaggio con sfaccettature più ampie di quelle che potrebbero apparire a prima vista. La vedo come un capro espiatorio per denunciare "un'ipocrisia delle buone maniere", se così la posso definire, perchè in fondo Fanny non è la santina del presepe come vorrebbe far apparire. Odia Miss Crowford ma davanti le fa la bella faccia, inoltre anche il finale io non lo vedo molto come un happy ending considerando che alla fine lei è stata la seconda scelta di Edmund. Sarà che la sagacia della Austen mi porta a vedere della malizia e a leggere dei sottotesti inespressi, però mi piace pensare a questo romanzo così. :)
RispondiEliminaIn effetti non l'avevo considerata da questo punto di vista, forse proprio perché ho visto in Fanny tutto il male sin dal principio!
EliminaInoltre è vero che lei è la seconda scelta di Edmund ma la cosa che mi infastidisce di più è che Fanny sembra esserne grata, entusiasta. Non le viene nemmeno un po' di stizza.
Hai ragione a dire che la sagacia della Austen però è carica di sottintesi.
Della Austen ho letto e adorato Orgoglio e Pregiudizio, Ragione e Sentimento e Emma. Questo mi manca, quindi non posso entrare nel merito. Quello che amo delle sue protagoniste è che sanno giocare con le regole della società senza esserne asservite. Hanno uno sguardo critico sul presente, sul ruolo a cui una donna è destinata, ma non creano scandali, non si mettono in cattiva luce, sanno che da sole la rivoluzione non si fa e che la loro intelligenza le rende spesso sole e isolate. Però riescono sempre, però, ha ritagliarsi degli spazi di manovra all'interno dell'area della rispettabilità. Tra l'altro sia Emma che Marianne sposano uomini più anziani, posati, non passionali di cui non si innamorano subito. Anzi, sembra quasi che alla fine capiscano che più che con un uomo passionale sia meglio dividere la vita con un caro amico intelligente e affidabile.
RispondiEliminaIo devo ancora leggere Emma, L'abbazia di Northanger e Persuasione. Non so se li leggerò tutti però, penso che preferirò quelli che mi ispirano di più!
EliminaQuella che esponi in effetti sembra la tesi della Austen, che torna spesso nei suoi romanzi. La passione è pericolosa, ti porta a fare cose che la società disdegna. L'affetto lento e ponderato invece è la chiave della felicità, del vivere sereni.
Un'altra cosa che ho notato, sempre parlando di facciate, è che i personaggi maschili della Austen più sono affabili e ben visti in società, più alla fine si rivelano essere persone sgradevoli e false.
Mi piace il modo in cui analizzi i libri che leggi, la tua attenzione va sempre nei punti giusti: ho letto Orgoglio e pregiudizio, moltissimi anni fa; questo della Austen, invece, lo sconosco; tuttavia, leggendo la tua recensione, ho come sbirciato dentro questa storia e so già che proverei lo stesso fastidio che hai riconosciuto tu nel personaggio.
RispondiEliminaL'attenzione sulle cose che contano è un insegnamento che vale in ogni tempo.
Grazie per i complimenti!
EliminaComunque sia rimane un romanzo della Austen e vale la pena leggerlo. Solo, non si deve essere allergici ai personaggi troppo perfettini per goderselo appieno.
Anche a me manca questo romanzo della grande Jane Austen, per cui ho letto solo metà del tuo post!
RispondiEliminaHai ragione quando dici che questo microcosmo sembra come cristallizzato su se stesso. L'autrice non sembra molto interessata ai problemi delle classi sociali inferiori, ma secondo me fa parte del suo sguardo sul mondo ed è giusto che sia così. Se ci avesse infilato qualche personaggio con rivendicazioni salariali, avrebbe guastato l'armonia del romanzo. Cosa che invece ritrovi in Anthony Trollope, ad esempio (gustosissimo!). Una cosa che ho notato, anche, è che nessun personaggio nei romanzi di Jane Austen è religioso o particolarmente devoto. Non si menziona quasi mai il fatto che partecipino a funzioni religiose, e sì che all'epoca era un "must", per così dire. Tutto si gioca sulle classi sociali e sulle interazioni tra loro.