martedì 30 maggio 2017

Classics today: cosa scriverebbero gli autori del passato se fossero qui oggi?

A volte penso a come sarebbe il mondo se non avessimo inventato i soldi, o se avessimo scoperto l’America nel 1800, il classico se avessimo ucciso Hitler prima che scoppiasse la Seconda Guerra mondiale o come farei a spiegare a un uomo del passato come funzionano le cose oggi.
Questa volta mi sono domandata: se i grandi autori classici fossero vivi oggi, con il loro genio intattato e non disintegrato da cose logiche come “Non-sarebbero-la-stessa-persona”, che tipo di libri potrebbero scrivere? E che tipo di autori potrebbero essere?

Pensavo a Machiavelli, perché sono passata davanti ad una vecchia edizione di “La mandragola”, e ricordando il personaggio storico non ho potuto fare a meno di immaginarlo in una versione contemporanea.
Secondo me se fosse nato ai giorni nostri Machiavelli farebbe il giornalista e scriverebbe saggi e piccoli phamplet di stampo politico (non mi spingo a dire per quale partito potrebbe parteggiare, perché non me ne intendo né di politica attuale, né delle preferenze di Machiavelli in merito). Lo immagino un personaggio pubblico restio, che tiene alla sua privacy e non vuole farsi vedere alle trasmissioni in tv, preferendo magari la radio e i social.
Da qui ho iniziato ad immaginare alcuni altri autori e il primo che mi è venuto in mente è stato William Shakespeare. Immaginarlo nella Londra odierna è stato divertente.
Ecco come sarebbe Shakespeare oggi!
Per qualche motivo la prima immagine di lui che ho avuto è mentre cammina a Camden Town guardandosi attorno pensieroso. Entra in uno Starbucks, si prende un cappuccino e lì, a dove si può restare ore senza che nessuno ti disturbi o ti cacci, si mette a pensare alla sua prossima piéce teatrale. Potrebbe parlare di due giovani innamorati di etnie oggi in contrasto (lei si chiama Juliet, lui Rashid), o magari di un ragazzo che, sotto l’effetto di droghe, riceve una visita dal fantasma del padre che gli rivela di essere stato assassinato dallo zio, e tutto per la multinazionale che possedeva. Quante idee, quanto poco tempo per realizzarle! Finisce il suo cappuccino e se ne torna nello studio, a scrivere.
Da qui il passo verso altri autori, altre epoche e nazionalità, è stato breve. Non ho mai letto nulla di Cervantes, né il famoso Don Chisciotte né qualunque altra cosa abbia scritto. Comunque immagino che la sua fortuna sarebbe simile a quella di Palahniuk.
Comincia a scrivere questa lunga saga con protagonista il tipico ‘nuovo ricco’, lo ridicolizza, lo usa come espediente per una spassosa satira della società moderna, ma nessuno se ne rende conto per un po’ di anni. Poi un giorno qualcuno scopre questo romanzo pubblicato da una piccola casa editrice e ne vede tutto il potenziale. Il libro viene ripubblicato ed è un successo! Di lì a qualche anno un de Cervantes in mocassini griffati firma un contratto per cedere i diritti del libro e farne un film omonimo, intitolato “L’ingegnoso yuppie Don Chisciotte de la Mancha”.
Per la francia ero tentata di scegliere Hugo come autore da trasportare nel presente, poi ho pensato che, date le varie volte in cui l’ho citato, sarebbe meglio lasciarlo in pace. Il secondo che mi è venuto in mente è stato, ancora una volta, un autore che non conosco bene. Forse è più facile portare in questo secolo persone di cui non conosco bene la storia e l’opera, perché con qualcuno che conosco meglio sarebbe più faticoso e mi verrebbero in mente un sacco di problematiche legate allo stile o simili. Invece con il marchese De Sade la fantasia vola.
Prima edizione del Don Chisciotte.
Oggi uscirebbe presto anche l'edizione
tascabile.
Un ricco esponente della Parigi bene, magari figlio di un politico di spicco, il cui scopo sin da giovane sembra essere quello di distruggere il buon nome della famiglia e i cui colpi di testa finiscono sulle prime pagine dei giornali di gossip. I suoi libri non sarebbero romanzi, bensì sottili saggi, o racconti che nascondono – neanche tanto velatamente – un messaggio impudico. I critici lo stroncherebbero come uno scrittore di pornografia oscena, le masse lo conoscerebbero più che per il suo lavoro per lo scalpore che fa. La sua scia di fans difenderebbe a spada tratta ogni scelta dell’autore, ma immagino che oggi la sua fama non sarebbe duratura. Come ogni fama di oggi si estinguerebbe dopo qualche anno, e non per mancanza di talento, bensì perché nella nostra epoca mi sembra che tutto sia passeggero, in primis le notizie che infiammano i tabloid, che vengono sostituite in fretta con novità più scottanti.
Infine ecco un autore di cui ho letto qualcosa. La “Anna Karenina” di Tolstoj ai giorni nostri avrebbe ben altri problemi che non il tradimento del marito e l’affidamento del figlio, ma abbiamo ancora delle stazioni non del tutto in sicurezza che potrebbero garantire una fine al romanzo – anche se per essere più moderni dovrebbe ricorrere alla metro.
Per quanto riguarda l’autore invece, vedo Tolstoj come un paladino dei diritti civili, intento a scrivere mattoni che invece di attaccare la situazione della donna preferiscono temi più caldi, ad esempio la tutela dell’ambiente e i diritti degli animali, la tecnologia da cui ormai dipendiamo anche troppo e i diritti delle minoranze. Diventerebbe subito famoso secondo me, e a differenza di Machiavelli sarebbe ben lieto di esporre le sue idee al pubblico. Avrebbe un codazzo di estimatori e intellettuali che lo venerano, e il suo modo di vestire un po’ scialbo sarebbe considerato un suo tratto distintivo.

Ed ecco qui, cinque autori per cinque epoche storiche, di cinque nazionalità diverse, immaginati nel mondo di oggi dove tutto sembra più vicino e nulla impossibile, ma sempre troppo complesso! E ora, secondo voi, se i grandi autori del passato vivessero oggi, che ‘tipo’ di autori potrebbero diventare?

giovedì 25 maggio 2017

Penna alla mano #3: Il blocco dello scrittore

Sono certa che fra i blog che seguo questo sia un argomento che si è trattato parecchie volte, solo che io ho mancato i post giusti. Non ne ho mai parlato, e in effetti è strano perché a quale autore o aspirante tale non è mai capitato di avere il blocco dello scrittore? Probabilmente viene anche ai blogger, ai giornalisti e quelli che scrivono le quarte di copertina, ma io non ne ho mai parlato.
Eccomi qui a rimediare.
Qualche anno fa ho smesso di scrivere per un po’, perché semplicemente non ne avevo voglia. È stato subito dopo il periodo in cui scrivevo tantissimo, le parole venivano fuori da sole e io sentivo di aver appena scoperto qualcosa di meraviglioso. Leggevo e scrivevo molto, ero sommersa dalle parole e tutto era fantastico e facile. È stato come l’inizio di una relazione: le cose vengono da sé e i piccoli screzi non esistono. Pian piano ho iniziato a rallentare, sempre di più, sempre di più, e un bel giorno mi sono fermata.
Non è stato premeditato, non è stato sofferto, non è stato voluto. È successo e basta. Per qualche mese ho preso le distanze e poi la voglia di scrivere è tornata da sola, sbocciata con una consapevolezza diversa, più matura – mi piace pensarlo – e forte di ciò che avevo imparato.
Eppure io quello non l’ho mai considerato un blocco dello scrittore. Non mi sentivo bloccata, penso che fosse una semplice fase del mio percorso. Credo che il blocco sia diverso, credo che sia la difficoltà nello scrivere quando desideri scrivere. Spremi le meningi e quello che ne esce non ti piace, rileggi, correggi, cancelli tutto e riprovi, ma niente. Sei bloccato.
In questi casi, cosa si può fare?


Ho letto pochissimi manuali di scrittura creativa, ma non ricordo di aver letto del famoso blocco in nessuno di questi. Mi è successo eccome, svariate volte, durante la stesura di racconti lunghi o, più raramente, romanzi. Si arriva ad un certo punto in cui la storia è avviata, l’entusiasmo iniziale si è placato e si cominciano ad avvertire i nodi che vengono al pettine. In questi momenti nessuno ti insegna cosa fare per superare lo scoglio. Quindi, che fare?
Ecco quello che faccio io.

Guida Personalissima per Superare il Blocco dello Scrittore (i risultati possono variare)
Come prima reazione c’è il rifiuto – così insegnano gli psicologi, almeno. Non mi capacito del perché ciò che scrivo faccia acqua da tutte le interlinee. Mi incaponisco su un punto, lo scrivo e lo riscrivo, provo su pc, su carta, provo a fumettarlo, ci penso la notte prima di andare a dormire, sperando che un sogno mi dia indicazioni precise su come fare.
Dopo un po’, niente. Non sono andata avanti, letteralmente, di una virgola.
A questo punto mi prendo una pausa. Pochi giorni, niente di impegnativo, non inizio nuovi progetti, cerco di non pensarci e magari preparo una torta. Torno alla carica con una tazza di tè e il mio dolce, in assetto da battaglia, non appena ho qualche ora libera. Rileggo ciò che ho scritto da qualche pagina alla fine. Riprendo contatto con la storia, la rileggo sforzandomi di correggere poco o niente.
A volte basta questo. Sul serio, ricomincio così, tornando indietro e riprendendo la corsa con nuovo slancio.
Se questo non dovesse bastare vado alla ricerca di un libro a seconda dell’umore del momento. Non deve essere per forza un libro che somiglia a ciò che sto scrivendo, deve solo essere un libro bello. In questi casi scelgo solitamente autori che conosco già, che so di adorare alla follia. Per un po’ mi dedico a loro e, quando la voglia di scrivere ha raggiunto limiti insopportabili (della serie: penso solo a scrivere, tutto il giorno, tutti i giorni), mi metto al lavoro. All’inizio con un un po’ di fatica, ma poi sempre più facilmente, riprendo il viaggio.

In sostanza per superare il blocco dello scrittore devo prendere le distanze, cercare ispirazioni in lavori altrui, respirare un poco di aria fresca anche solo per qualche giorno e poi ricominciare con nuova lena.
Per voi funziona così? O ci sono altre Guide Personalissime di cui dovrei sapere?

venerdì 19 maggio 2017

I miserabili vol. III - Victor Hugo

Ultimo volume dell’edizione dei “Miserabili”, ultima recensione. Lascio l’ammore che ho provato e lo sbrodolare dei sentimenti per dopo, altrimenti non ci sarebbe riassunto. Di recente ho anche rivisto il film musical di qualche anno fa e lo struggimento per i personaggi è, se possibile, aumentato.
La cosa assurda è che ricordo di aver avuto moltissime remore a leggere questo libro, soprattutto per la mole, ma dopo aver visto per la prima volta il film mi era piaciuto così tanto che mi sono detta di provare. L’occasione di leggerlo è capitata per caso, anni dopo, e ho scoperto due cose. Primo, i bei film tratti dai classici mi spingono a volerli leggere a qualunque costo (con i bei film di storie contemporanee non è così scontato). Secondo, posso reggere la lettura di tomi di oltre mille pagine – scritti piccolo, ovviamente – senza crollare, cosa che ho sempre un po’ il timore di fare.
Quindi ecco, a voi l’ultima recensione dei Miserabili, che potrebe essere seguita da molti, moltissimi altri libri cicciotti.


Marius e Cosette si vedono ogni sera di nascosto da Jean Valjean, e sono sempre più innamorati. Il loro idillio viene distrutto quando il padre della ragazza decide di partire per l’Inghilterra, per paura di essere ancora braccato dall’ispettore Javert.
A quella rivelazione Marius torna dal nonno per chiedergli il permesso di sposarsi ma il vecchio, troppo distratto dalla felicità per il ritorno del nipote che ha sempre amato, non lo prende sul serio. Marius torna da Cosette ma la casa è già stata abbandonata. Il giovane decide di unirsi alla rivolta organizzata dagli amici, credendo di non avere più nulla da perdere e preferendo rischiare di morire piuttosto che vivere senza il suo amore.
Il giorno dei funerali del generale Lamarque, personaggio pubblico che sempre era stato dalla parte del popolo, il gruppo di studenti capeggiato dal giovane e carismatico Enjolras, erige una barricata e organizza la resistenza.
Assieme a lui ci sono il piccolo Gavroche, Marius, l’ispettore Javert sotto copertura e la giovane Eponine, travestita da uomo. Poco dopo vengono raggiunti da Jean Valjean che, scoperto l’amore di Cosette per Marius e venuto a sapere che quest’ultimo cerca la morte alla barricata perché crede di aver perso la ragazza, va a vegliare su di lui.
Gli scontri hanno inizio ma Javert viene subito denunciato come infiltrato e improgionato. Il suo destino sarà essere fucilato, ma Enjolras decide di attendere fino a che non saranno quasi finitre le munizioni, per non sprecarne di preziose. Per ovviare allo scarseggiare delle munizioni il piccolo Gavroche supera la barricata e comincia a raccogliere dei bossoli, ma viene ucciso dai soldati. Un ragazzo sconosciuto salva Marius, venendo ferito allo stomaco, e il giovane scopre che si tratta di Eponine, che muore poco dopo. Viene nel frattempo deciso che Javert deve essere fucilato, così Jean Valjean chiede di essere lui a uccidere il traditore ma, quando si trova solo faccia a faccia con Javert, finge solo di ucciderlo e lo libera.

I soldati superano la barricata e uccidono tutti i rivoltosi, tranne Marius. Il ragazzo sviene a seguito di un colpo alla testa, Jean Valjean lo carica sulle spalle e si cala nelle fogne per portarlo lontano dalla battaglia e impedire ai soldati di fucilarlo. Vaga nelle fogne fino a trovare un’uscita, vicino alla quale si nasconde Thenardier.
Una volta salvato Marius, Jean Valjean pensa che Javert, al quale aveva dato il proprio indirizzo per convincerlo delle sue buone intenzioni, stia per andare ad arrestarlo, ma questi non si presenta. L’ispettore Javert, che ha passato tutta la vita a disprezzare i criminali come Jean Valjean, non accetta di essere in debito con lui. Più di tutto non accetta un mondo dove un ex forzato ha lavato le sue colpe, dove tutte le sue sicurezze, di Javert, sono crollate e tutto ciò su cui ha basato la sua vita è falso. Per questo motivo l’uomo si suicida gettandosi nella Senna.

Mesi dopo Marius e Cosette sono sposati, tuttavia il giovane non sa che è stato Jean Valjean a salvarlo e, dopo alcune ricerche, si convince che egli è un ladro, che ha derubato il sindaco Madeline. Lo allontana dalla sua vita e da quella di Cosette. Il vecchio Jean Valjean ne è distrutto e cade in una profonda depressione.
Convinto di ottenere in cambio del denaro, Thenardier si presenta da Marius e svela al giovane che Jean Valjean è un ex detenuto e che per anni si è nascosto sotto il nome di signor Madeline, diventando persino sindaco di una città. Gli dice inoltre che il vecchio è un assassino, che lui stesso lo ha visto mentre trasportava un cadavere nelle fogne. Marius, compreso l’enorme errore che ha fatto, caccia via Thenardier e assieme a Cosette si precipitano da Jean Valjean.
L’anziano signore, provato dall’infelicità, è ormai in fin di vita. L’ultima sua gioia è quella di morire sapendo che Marius lo ha perdonato e che Cosette è felice. Spira mentre i giovani piangono ai suoi piedi.


Mettere per iscritto qualcosa in questo momento mi viene complicato. Nonostante gli alti e bassi (perché di un romanzo di così ampio respiro non si può pretendere di apprezzare ogni singola cosa) ho veramente amato “I miserabili”.
Come sempre ci sono degli approfondimenti particolari su cui Hugo si è soffermato. Quello che non ho apprezzato molto e che ho persino saltato è stato quello sulle fogne di Parigi, senza dubbio interessante ma molto pesante da leggere.
Invece mi è piaciuta molto la digressione sulle barricate, uno dei metodi che furono più in voga fra il popolo per fomentare le rivolte. Quella descritta da Hugo nel libro non è, perdipiù, inventata per l’occasione. Alla morte del generale Lamarque vi furono molti disordini, la barricata è solo uno di quelli e, oltre a far parte del romanzo, fa parte della storia. L’ho apprezzato non solo perché è veritiero, o perché ci fa pensare che questi fatti possano davvero essere accaduti, ma perché porta il lettore ad una consapevolezza nuova. I fatti che mandiamo a memoria per studio o passione diventano un’ideale, un atto di coraggio, perdono la loro umanità. Hugo ha permesso a questi fatti di scomporisi e diventare sfide personali, più vicine a noi. Potranno non essere esistiti proprio Enjolras, o Gavroche, o Eponine, ma l’importante è rendersi conto che non era solo La Barricata, un mostro da considerare per intero, una parola, un atto di ribellione: c’erano le persone, i singoli come ognuno di noi.
Un altro approfondimento che mi ha molto interessato è quello sulla lingua. Hugo racconta di come a Parigi esistesse una sorta di dialetto parlato dalla più bassa estrazione popolare, l’argot, che altro non era che un mix di diversi accenti che si mischiavano e creavano un modo di parlare del tutto diverso. Questa lingua era disprezzata dai letterati, ma Hugo la utilizza per dovere di cronaca, perché quando parla dei Thenardier e degli altri criminali non sarebbe corretto fargli parlare un francese fluido, devono parlare la lingua del popolo, di più, la lingua del popolo basso. Hugo sapeva bene che sarebbe stato criticato per questa scelta. Inserire in un romanzo una lingua così sciatta? Mon dieu! Ma qui Hugo spiega le sue ragioni, che trovo assolutamente condivisibili. La lingua viene creata dall’uomo, modellata a seconda delle necessità, perché è un’invenzione dell’uomo. Non è giusto ostacolarla. La lingua si evolve e cambia con il tempo, cominciare ad utilizzare un linguaggio nuovo in un libro può solo aiutare questa evoluzione. Può favorirla, fornendo regole grammaticali a parole che fino ad ora hanno avuto solo un utilizzo parlato.


Cominciare a lasciare alcuni dei personaggi di Hugo è stato straziante. C’erano dei personaggi cui mi ero fortemente affezionata, ad esempio Eponine e Gavroche.
Lei è un personaggio in cui tutte le ragazze, almeno una volta nella vita, si sono identificate. Capita l’amore non corrisposto, è normale, e la storia di Eponine mi ha fatto tornare in mente tutti i miei struggimenti passati. Il mio lato fangirl è anche risorto giusto per farmi notare che Marius sarebbe stato molto meglio assieme ad Eponine, che non con Cosette, la cui forza d’animo non è così forte e la cui utilità nel libro è fine a sé stessa. Gavroche invece era il monello per eccellenza, quello che immaginiamo sempre in un film in costume. Allegro, birbante, a volte insolente, ma capace di gentilezza e molto astuto.
Alla fine di altri personaggi, invece, ero preparata. Ad un tratto ho iniziato a subodorare il suicidio di Javert ma leggerlo è stato lo stesso emozionante. Hugo è riuscito a spiegare perfettamente l’angoscia di un uomo che vede le sue convinzioni, sulle quali ha basato la sua intera esistenza, venire meno. Non immagino un’altra fine per Javert perché per carattere non è elastico, non è adattibile. Non accetta un mondo dove un ladro può essere un buono, non ha intenzione di scendere a compromessi, quindi sceglie di fare a meno di quel mondo.
Immaginavo anche che non ci sarebbe stata una bella fine per Jean Valjean, anche se è il personaggio che ho amato di più, che ha sofferto di più e che meritava davvero una fine felice. Non è mai completamente buono, anche se dedica la seconda metà della sua vita all’amore e non all’odio. Anche questo però è uno di quei finali ‘corretti’, che non potrebbero essere altrimenti e che, se cambiati, perderebbero molto. Tutto il libro mi ha dato come l’impressione che Jean Valjean stesse facendo enormi sacrifici, che la sua anima fosse perennemente piegata dalle colpe passate e dalla vita in fuga, nella menzogna. La morte del personaggio è stata come una liberazione, almeno io l’ho interpretata così. Riscattatosi agli occhi di chi ama, Jean Valjean è libero di morire dopo una vita ricca di sia di dolore che di amore.

Insomma, penso che si veda che mi è piaciuto. Non so veramente che altro dire, anche perché ho scritto questa recensione tutta d’un fiato e, ripensando a ciò che ho letto, mi sono emozionata di nuovo e di nuovo ho visto la grandezza di questo romanzo.
Non è un libro che consiglierei a tutti, perché è complesso, molto lungo e non è una lettura che si fa per svagarsi. Tuttavia è una storia che tutti dovrebbero conoscere.

martedì 9 maggio 2017

Passaparola #6

Mi sono appena resa conto di avere parecchi post che aspettano di essere pubblicati, più che per una questione di tempo perché il mio pc sta lentamente morendo. Dopo otto anni di onorato servizio dice basta – tutte le volte che la ‘o’ della tastiera salta via dalla sede è come se lo gridasse. Comunque sia ho già deciso che ne prenderò uno nuovo il prima possibile, nel frattempo potrebbe esserci un rallentamento delle pubblicazioni perché accenderlo e ascoltare la ventola che gira vorticosamente è uno strazio.
Oggi vi lascio con la segnalazione di un romanzo per la rubrica Passaparola. Mi raccomando, diffondete il verbo con tutti i lettori romantici che conoscete!


Titolo: Let me kiss you hard 1
Autore: Valentina Bindi
Editore: PubMe
Genere: Narrativa romantica
Prezzo: 9,77 (e-book 1,99)
Pagine: 234
ISBN: 8871630777
Amazon: https://www.amazon.it/Let-Me-Kiss-You Hard/dp/8871630777/ref=sr_1_4?ie=UTF8&qid=1492189082&sr=8-4&keywords=let+me+kiss+you+hard


Anna, una ragazza di ventotto anni di Dublino si ritroverà a scoprire un sogno che non ha mai potuto avere. La sua famiglia è ricca, ma ciò non ha fatto altro che alimentare le sue insicurezze fino a portarla verso brutte strade. Rooney è la sua migliore amica, la sorella mancata, è lei che ogni volta la salverà sempre sull'orlo del precipizio. Ma non potrà evitare che si innamori di un ragazzo alquanto misterioso. Si tratta di Morgan, lui è il figlio della ricca Welsh Beauty Production, la ditta numero uno in Irlanda per profumi e saponi biologici. Tutto nascerà da un incontro casuale alle splendide scogliere Cliffs Of Moher; da una semplice richiesta di scattare una fotografia sboccerà quello che sarà il suo amore più difficile. Da quel giorno la sua vita verrà stravolta, la distanza non potrà mettere freni al loro amore. Ma soltanto un particolare che scoprirà Anna riguardo la famiglia di Morgan la farà allontanare fino a lasciarsi. A cadere tra le braccia di un altro, tra dolore e amore sarà costretta a decidere se seguire il suo amore o lasciare che se ne vada, perché lei ha troppa paura delle responsabilità.