domenica 28 febbraio 2016

Acheron books

Buondì a tutti, questo è un post piccolo, con qualche informazione.
Intanto vi dico subito che i post sono rallentati perché sono molto impegnata oltre che a fare le solite cose che fanno tutti, anche a scrivere e a cercare casa. Ma non vi preoccupate, i post ci sono, molti sono già pronti, devo solo prendermi un attimo con calma per rileggerli e postarli.
Tuttavia devo ammettere che mi piace avere dei tempi lunghini fra un post e l’altro, perché non vedo il motivo di rimpinzare il blog di articoli che non mi interessano davvero o che ho dovuto scrivere di fretta.
 
Vorrei ringraziare la casa editrice Acheron Books, per avermi inviato il romanzo fantasy storico di Livio Gambarini, “Eternal war”. Quindi aspettatevi presto una recensione, perché ho appena iniziato a leggere il libro e penso che non mi ci vorrà molto per ultimarlo, oltre che per scriverne una recensione.
Approfitto per ringraziare la Acheron Books e vi lascio un link al loro sito qui. Dopo essere andata a leggere di cosa si trattava il romanzo di Gambarini e aver accettato l’offerta di recensire il libro sono andata a dare un’occhiata al loro catalogo. Ho trovato dei romanzi molto curiosi e delle copertine stupende, quindi se siete curiosi anche voi ecco, spero troviate qualcosa che vi piaccia.
 
E dopo questo piccolo post informativo vi lascio e vi auguro buonsalve (che va bene per il mattino, il pomeriggio e la sera!).

domenica 21 febbraio 2016

Passaparola #3

Era da un po’ che non pubblicavo questa rubrica, ma ne approfitto per dire a tutti gli autori in ascolto (o meglio, in lettura) che se desiderate segnalare il vostro romanzo o racconto in questo blog potete tranquillamente scrivermi.
Quindi ecco a voi la segnalazioni di oggi!
 
 
Due colleghi psicologi e amici di lunga data ideano un progetto che vede protagonisti due loro pazienti, diversi in tutto ma uniti dalla profonda sofferenza che li ha segnati e inaspettatamente dalla musica classica. Il desiderio della giovane Irina, martire di violenze e abusi, di vivere l’esistenza di una comune adolescente si fonderà con la speranza di Philippe di superare il rimorso di aver permesso che la moglie e il figlio, vittime della sua effimera esistenza, morissero. Faranno da cornice ai loro desideri e speranze l’energia della dottoressa Jean La Mot, che considera il suo operato una missione, la determinazione e il coraggio di Etienne, deciso a percorrere la lunga strada che dista dal proprio cuore a quello della ragazza che ama e l’ossessione di Pierre Danton, un efferato criminale, di riavere accanto a sé la sua donna. Ogni parte del progetto è studiata nei minimi dettagli, niente andrà storto o forse niente andrà per il verso giusto…

Titolo: Beethoven’s Silence ‘… io sono Irina e sono Elise…’
Autore: Sonia Paolini
Formato: E-Book (versione cartacea entro febbraio)
Lunghezza: 362 pagine
Genere: Romanzo Rosa, Narrativa Contemporanea
Editore: Lettere Animate Editore (13 gennaio 2016)
Lingua: Italiano
ISBN: 9788868826765
Prezzo: 1,99 E
Alcuni link per l’acquisto:
 
 
 

domenica 14 febbraio 2016

Va’, metti una sentinella – Harper Lee

Iniziare una recensione come questa ha richiesto delle ricerche e molte riflessioni. Perché non è solo una recensione ma anche un pensiero.
Lessi “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee quando andavo al liceo. Ero infervorata nella lettura, piena di ideali illuminati, pensieri profondi, e un nodo alla gola quando pensavo a tutti i temi che questo romanzo porta con sé – che non vengono mai alla mente con leggerezza, né si possono spazzare via con una scrollata di spalle. Mi piacque moltissimo e non manco di ricordarlo ogni tanto.
Quando seppi che era uscito il seguito ne rimasi stupita. Per me quella storia non aveva un seguito, finiva lì, ed era completa e perfetta così com’era. Nonostante questo non ebbi dubbi nel comprarlo e lo lessi avidamente, anche se un po’ perplessa. Non sapevo cosa aspettarmi, dove mi avrebbe portata, se essere curiosa o sulle mie.
Prima di dirvi ciò che penso, però, un piccolo excursus.
 
Lo dico per chi non ha sentito parlare della vicenda, ma si vocifera che la Lee non sia stata particolarmente d’accordo con l’idea di pubblicare “Va’, metti una sentinella”. Alcuni sostengono che sia stata convinta, altri che sia stata costretta. Aldilà di tutte le teorie che possono esserci, vorrei sottolineare un fatto.
“Va’, metti una sentinella” è stato scritto prima di “Il buio oltre la siepe”. Lee lo sottopose a un editore ma questi lo rifiutò, consigliandole di presentare la sua protagonista, Scout, da bambina. Sappiamo tutti che lo fece con grande successo, e dopodiché lasciò il suo primo romanzo nel cassetto. Pare che lo tenesse sottochiave, in una cassetta di sicurezza. Di certo dopo il successo che ebbe “Il buio oltre la siepe”, Harper Lee si rendeva bene conto dell’importanza che poteva avere quel manoscritto, ma ha scelto di non pubblicarlo.
I motivi per i quali lo ha conservato possono essere molteplici, forse puramente affettivi. Fatto sta che per cinquant’anni ha deciso di lasciarlo nell’ombra, di dimenticarlo, e di far sì che tutti quanti lo dimenticassero.
 
Se qualcuno di voi ha letto “Va’, metti una sentinella”, sa benissimo che cosa accade. (E badate bene che sto per dirlo, quindi se ancora non lo avete letto fuggite, sciocchi!). Atticus Finch è invecchiato, e ora che i diritti dei neri stanno davvero prendendo piede ha paura. Paura di ciò che potrebbe accadere, di vedere un nero essere suo pari, di poter essere forse scavalcato da un nero, e di dovergli lo stesso rispetto e le stesse identiche premure che si devono a un bianco. A dargli contro l’ormai cresciuta Scout, che accetta a braccia aperte un mondo dove i diritti civili sono uguali per tutti e che rimane allibita e annientata nello scoprire che l’uomo che ha sempre ammirato, suo padre, è uno di quegli uomini che lei disprezza di più.
Sono rimasta allibita e annientata come Scout.
Harper Lee
Il personaggio di Atticus Finch è diventato simbolo, per intere generazioni, di rettitudine, onestà, lealtà. Vederlo così trasfigurato mi è dispiaciuto molto, perché il mito che gli si era creato attorno era sì irraggiungibile (perché una persona così perfetta è difficile che esista) ma dava esempio e speranza.
Mi piaceva pensare che esistesse, anche solo nella fantasia collettiva, qualcuno come Atticus Finch. Qualcuno che si sarebbe sempre alzato per proteggere chi non poteva farlo, per dire le cose come stanno davvero e cercare di cambiare ciò che non è giusto. Perché se esiste nella nostra fantasia, allora forse potremmo trovare il coraggio di agire nella realtà.
Mi rendo conto che sto parlando di cose molto astratte, ma ecco che arrivo alla conclusione.
Se Harper Lee aveva deciso di mettere sotto chiave “Va’, metti una sentinella”, forse c’era un motivo. Forse anche lei si è resa conto che “Il buio oltre la siepe” è stato molto più che un romanzo, ha influenzato moltissima gente in maniera positiva, ha portato con sé un ideale importante. Questo ideale era incarnato da Atticus Finch.
“Va’, metti una sentinella” distrugge questo personaggio.
 
Per fortuna non sono morti gli ideali di Atticus, tuttavia mi dispiace molto il fatto che sia stato trasformato in un anziano fragile, atterrito dalla novità e dalla possibilità di condividere dei privilegi con prima erano solo suoi. Scout non è abbastanza forte come personalità contrastante, non è abbastanza saggia, carismatica né convincente per sostituirlo quindi ecco, penso che con questo romanzo abbiamo perso qualcuno a cui ci si poteva ispirare.
Per quanto mi riguarda cercherò di fare in modo che “Va’, metti una sentinella” scompaia dalla mia memoria. Preferisco ricordare Atticus Finch come Harper Lee ha voluto mostrarcelo per oltre cinquant’anni.
 
Atticus Finch
 

sabato 6 febbraio 2016

On writing - Stephen King

Il Fidanzato questo Natale mi ha regalato “On writing”, e ha azzeccato tutto ciò che poteva azzeccare. Quale regalo migliore per un lettore, di un libro? E per un estimatore di Stephen King, un romanzo di Stephen King? E per un aspirante autore, un manuale di scrittura? Ecco, “On writing” incarna tutto questo in un paio di centinaia di pagine!
Leggerlo è stato divertente, istruttivo, illuminante, interessante. Uno stile diverso da quello dei romanzi, giustamente, ma non perché si tratta di un manuale ci troviamo davanti ad un testo noioso, prettamente didattico. Leggere “On writing” è stato come prendere fiato per prepararsi ad un’apnea di concentrazione, saltare dal trampolino e rendersi conto che si è atterrati su una collina ricca di aria fresca.
Ho trovato bello il fatto di aggiungere una parte riguardo alla vita dell’autore, perché oltre ad essere spassosa ti fa anche pensare a come tu ti sei avvicinato alla scrittura. Motiva molto, si innesca una catena di ricordi, legati a sogni, speranze, legate al fatto che sì, amo scrivere, ed è proprio quello che farò non appena chiuso questo libro.
Consiglio di leggerlo a chiunque abbia questo sogno nel cassetto, o anche fuori dal cassetto e stia cercando di renderlo reale. Non è tecnico come altri manuali, tuttavia di manuali tecnici che ne sono a bizzeffe. E dato che la scrittura è anche una questione di cuore è bello che ci sia anche un manuale che lo dice chiaro e tondo.
 
Leggere tantissimo, scrivere tantissimo
Può effettivamente sembrare scontato, ma va detto. Se si vuole scrivere non si deve essere lettori pigri, perché dai romanzi altrui si può apprendere moltissimo. Inoltre ci sono autori che ispirano, che danno esempio, e leggerli è il primo passo per poi produrre qualcosa di nostro. Prima di amare la scrittura si deve imparare ad amare la lettura.
Per scrivere un libro, poi, si deve scrivere. Anche questo può sembrare scontato. Quel che consiglia King è di non aspettare l’ispirazione, non sperare che la prima stesura sia perfetta, cominciare a mettere per iscritto una parola dopo l’altra, anche quando non ci convince, anche se non ci sembra il massimo o quando ci siamo spremuti come un limone per dieci misere righe. Continuare, perché prima o poi la storia uscirà da sola, andremo avanti portati dall’entusiasmo, dalla voglia, dalla curiosità. Se invece non scriviamo niente, nulla potrà andare avanti.
 
Scrivere qualcosa che ci piace
Penso che questo consiglio sia seguito un po’ da tutti in maniera automatica. Ovviamente è meglio scrivere di qualcosa che ci appassiona, perché lo faremo con la voglia di arrivare alla fine.
Credo che un autore alla prime armi voglia scrivere perché si è innamorato di un genere o uno stile, e la prima cosa che si fa è voler emulare quel che abbiamo amato. Forse inconsciamente, o forse proprio con l’intenzione di fare un omaggio.
 
Vocaboli spontanei e vocabolario adatto
La poetica non è qualcosa che appartenga molto a King. Certo è evocativo, ma non è particolarmente poetico, utilizza un linguaggio immediato, conciso, senza fronzoli. Può piacere o non piacere, questa è solo una questione di gusti.
Nella sua esperienza – che direi è vastissima, più di così non possiamo chiedere insomma – consiglia di usare il vocabolario che siamo abituati ad usare tutti i giorni. Solo perché stiamo scrivendo un libro non significa che dobbiamo adottare termini più bassi o più alti di quelli a cui siamo abituati. È giusto cercare le parole più adatte, infatti il dizionario deve essere sempre alla mano, ma non volere a tutti i costi una parola astrusa solo perché è astrusa, o per farci belli agli occhi del lettore. Nessun lettore, leggendo dei vocaboli ricercati, penserà “Ma tu guarda che bravo Pinco Pallo, è così colto!”.
Inoltre dobbiamo ricordarci di utilizzare un vocabolario adatto alla situazione e ai personaggi, perché un contadino nato negli anni ’30 non potrà mai parlare come un ragazzino del ’70.
 
Verosimiglianza
Altrove, non in questo manuale, avevo letto che King consigliava di ascoltare le persone quando parlano fra loro, nei bar, nei negozi, o attingere alla propria esperienza personale quando si deve scrivere un dialogo, per fare sì che sia il più realistico possibile. Infatti uno dei suoi consigli è di rendere i dialoghi veri, perché non c’è nulla di peggio che leggere dei dialoghi terribili in un bel romanzo.
Allo stesso tempo dobbiamo fare attenzione a rendere le azioni dei nostri personaggi verosimili, dare loro le giuste leve per reagire e costruire la trama. Oltre che rispettare la realtà intorno alla quale costruiamo la nostra storia.
 
Non pianificare
Un consiglio che io, onestamente, non credo seguirò, è questo: non pianificare la trama, lasciare che si sviluppi da sola piano piano.
Ora, io scommetto che ci sono autori che sono capacissimi di farlo, ma io non sono uno di quelli (come se fossi un autore, oh! *sbarella*). Ci ho provato, immaginando appunto che le cose sarebbero andate avanti da sole, ma non è stato così. Però immagino che, se si vuole, si può provare questo metodo e vedere che ne esce.
Per me non funziona, ma per voi, chissà…
 
 
Trovare un significato, non partire dal significato
Mi piace che le storie abbiano un significato, un messaggio da passare, e non siano meri racconti. Però è anche vero che ognuno legge nei libri il significato che vuole, quindi voler dare un certo significato ad una storia non è così facile come può sembrare.
Trovo che questo consiglio sia molto azzeccato, per una questione molto semplice. Tutti noi abbiamo opinioni sul mondo che ci circonda, e se vogliamo scrivere un romanzo ci portiamo dietro quel bagaglio di esperienze, idee e appunto opinioni che abbiamo tutti i giorni da quando apriamo gli occhi al mattino. Cercare un significato prima di scrivere un libro è come tentare di bere il latte di cocco senza aver prima rotto il guscio.
Il significato c’è, non è quello il problema, perché diamo significato a tutto nella nostra vita. Ma nella nostra storia dobbiamo scoprirlo man mano, dobbiamo rompere il guscio e tirarlo fuori, perché è sempre stato lì nella nostra mente. Gettarlo nel libro, anche in maniera inconsapevole, è inevitabile.
 
Seconda stesura = prima stesura – 10%
Non c’è molto da dire su questo, mi sembra chiaro. King tende a tagliare, in revisione. Io penso che dipenda da molti fattori e scommetto che ci sono ottimi autori che invece di togliere qualcosa aggiungono testo, alla seconda stesura.
Dobbiamo solo capire che tipo di autori siamo. (Io taglio.)
 
Scrivere perché…
L’ultimo consiglio di questo manuale, al quale viene dedicato un capitolo intero, è quello che può sembrare più ovvio. Oggi però, in un mondo in cui esiste il self-publising (che non nego sia una grande idea e di certo non è nato per caso, ma come tutto ha i suoi risvolti positivi e negativi), è bene ricordarlo.
Non scrivete per rendere il posto un mondo migliore, per i soldi, per dimostrare agli altri qualcosa, perché sembra facile. Scrivete perché amate farlo. Perché tutto di quel processo vi affascina e vi fa sentire bene, perché è ciò a cui pensate con più entusiasmo!
Se si scrive così, allora è la cosa giusta da fare.

lunedì 1 febbraio 2016

I libri migliori hanno le peggiori recensioni

Negli ultimi tempi mi sto impegnando molto a scrivere racconti più o meno lunghi (non dico romanzi per non tirarmi la sfiga addosso, dato che ne ho uno in corso di cui scorgo a malapena la metà), e in contemporanea mando avanti il blog. Le recensioni, che hanno sempre fatto parte di questo spazio da quando il blog è nato, mi sembrano diverse da un tempo.
Sicuramente dipenderà dal fatto che sono passati gli anni e si cambia anche nei giudizi e nelle letture. Cambia anche il modo di scrivere, e già solo lo scrivere dona una prospettiva differente su ciò che leggiamo. Ma spesso mi domando in che modo avere una passione per la scrittura influenza la lettura e le eventuali recensioni di un romanzo. È fuor di dubbio che si ha un approccio più tecnico, si tende a porsi più domande durante le lettura.
Innanzitutto però diciamo ci sono due tipi di romanzi, e in primis in base a questo la mia lettura e la conseguente recensione è influenzata. I romanzi che mi piacciono e quelli che non mi piacciono.
Molto semplice.
 
Per i libri che mi piacciono fila sempre tutto molto liscio. Vengo talmente presa che me ne frego dei dettagli tecnici, di farmi mille domande sulla trama, di chiedermi come mai un personaggio funziona così bene eccetera eccetera. Queste cose passano in secondo piano e, quando mi ritrovo a recensire un libro che ho amato, spesso diventa un’ode in suo onore, sbrodolante aggettivi superlativi, dall’aria solenne e nostalgica.
Con i libri che invece non mi piacciono sono pignola oltre ogni dire. Riesco a trovare tutto ciò che mi infastidisce, che si parli di trama, personaggi, tecnica, messaggio che recepisco, qualsiasi cosa! I poveri libri in questione si trovano così dissezionati – vivisezionati, vista la crudeltà che mostro nei loro confronti – fin nei minimi dettagli.
Quindi ecco, non lo avevo mai pensato in maniera chiara, non me ne ero mai resa conto, ma scrivere questo post mi ha fatta rendere conto di una cosa: non sono affatto oggettiva. Poco male. In fondo non è il mio lavoro e, anzi, è proprio per dire la mia in libertà che ho aperto il blog. Il politically correct non farà mai parte di questo spazio, che invece serve proprio per dire ciò che penso, senza offendere certo, ma con una serenità che un professionista non sempre può permettersi.
 
 
Chiariti questi punti, penso che sia inevitabile per qualcuno che scrive avere un approccio più pragmatico ad un romanzo. Ma è una cosa buona?
Se si trattasse solo di scrivere recensioni sarebbe una cosa ottima. Un lettore/autore che analizza un libro può avere una comprensione a mio parere più completa di un testo, e magari notare sottigliezze che all’occhio di un lettore medio sfuggono. In questo modo sicuramente la sua recensione potrà essere più ricca, interessante, accattivante, o semplicemente fornire più pareri sul romanzo in questione.
Ma leggere non si tratta solo di analizzare un testo, si tratta prima di tutto di un passaggio di emozioni. Conoscere le tecniche per scrivere, maneggiarle con più o meno sapienza, possono intaccare la lettura? Possono rovinare un poco quello scambio emotivo?
Dalla mia esperienza devo dire che, purtroppo, sì. Faccio molta più fatica di prima ad amare incondizionatamente un romanzo. Non so se dipenda dal fatto che ho maturato un gusto più ricercato, più… snob?, o proprio dal fatto che mi sto impegnando molto di più nella scrittura, ma è così.
Mi viene da pensare che sia un piccolo prezzo da pagare per portare avanti la mia passione per scrivere. Ma d’altronde mi dico che il mondo è pieno di romanzi, e di certo non ficco il naso nelle pagine con l’intento di rimanere delusa, perciò leggo con entusiasmo e ottimismo in attesa di trovare il prossimo libro che mi conquisterà. Quindi è un prezzo che posso pagare senza troppi patemi, soprattutto perché le sempre più rare volte in cui trovo una storia che mi fa perdere la testa e non riesco affatto a recensirlo in maniera oggettiva, sono le migliori.
Ecco la crudele verità, lettori di questo blog: diffidate delle mie recensioni, quelle più sconclusionate, disordinate e romantiche sono quelle dei libri più belli.