mercoledì 23 gennaio 2013

La bambina che amava Tom Gordon - Stephen King

   Mi sono ricreduta su Stephen King grazie ad un solo libro letto più che altro per curiosità: con 22/11/’63 Stephen ha guadagnato una nuova adepta.
   Essendo, prima di Natale, a corto di libri da leggere, ho sbirciato nella piccola ma importante (nel senso di pesante letterariamente parlando!) libreria del mio fidanzato e ho trovato un vecchio libro con le pagine un poco ingiallite e spesse. Era “La bambina che amava Tom Gordon”, e siccome il titolo mi sconfinferava ho deciso di leggerlo.
 
 
La trama
   Patricia – Tricia – McFarland è la sorella minore (nove anni) in una famiglia che conta lei, suo fratello e i suoi genitori, che si stanno separando. Durante una gita domenicale nel bosco assieme alla madre e al fratello Tricia decide di lasciare il sentiero perché le scappa la pipì, senza che nessuno dei suoi familiari se ne renda conto, dato che entrambi sono impegnati in un acceso quanto estenuante litigio.
   Dopo aver espletato i suoi bisogni al riparo degli alberi, Tricia decide di continuare a camminare in mezzo al bosco per raggiungere di nuovo il sentiero in un secondo momento. Comincia a camminare dritto e prosegue per qualche ora, fino a che non si rende conto di essersi persa. La paura e la sorpresa sono tali che Tricia inizia a correre e finisce dentro ad un tronco che contiene un nido di vespe. La bambina fugge e cade vicino ad un ruscello, ma ormai è irrimediabilmente perduta, piena di punture, sporca e impaurita.
   Con nello zaino una bottiglia di limonata e una di acqua, un sandwich al tonno, un uovo bollito e delle merendine decide di seguire il percorso del fiume, pensando che la porterà in qualche luogo abitato.
   Passa un giorno e una notte, nella quale Tricia impara le più semplici regole della sopravvivenza grazie all’esperienza diretta: per non farsi pungere dagli insetti si spalma di fango, per dormire si ripara sotto a dei rami, raziona le sue scorta di cibo (che comunque durano solo per i primi due giorni) e cerca di risparmiare più energia possibile.
   Senza che se renda conto il fiume che sta seguendo diventa sempre più flebile. Scompare e si trasforma in una palude.
   Dopo qualche tentennamento Tricia decide di guadare la palude e, scarpe da ginnastica legate al collo, la attraversa. Perde molte delle sue energie nell’attraversamento della palude e lì comincia ad avere il primo sentore di qualcosa, nel bosco, che la segue. Un mostro, pensa l’immaginazione di Tricia, un mostro orribile che vuole mangiarmi. Ma se si tratta solo dell’immaginazione di una bambina, allora come si spiegano le carcasse di animali morti?
   Tutte le notti, avida di contatto umano, Tricia tira fuori il suo walkman e cerca alla radio le partite dei Red Sox, per i quali gioca il lanciatore Tom Gordon, il giocatore preferito di Tricia. Sa anche, grazie alle notizie sentite alla radio, che le ricerche per la sua scomparsa sono iniziate già dalla sera stessa in cui si è persa, ma sarebbe estremamente delusa se sapesse che già nei primi tre giorni si è allontanata di nove miglia dal raggio di ricerca stabilito dalla polizia.
   I giorni passano e, uscita dalla palude, Tricia finisce le sue scorte di acqua. Disidratata e affaticata, trova per sua grande fortuna un grosso fiume ma, bevendo a grandi quantità l’acqua all’apparenza limpida, la prima volta si sente male. Dopo un po’ il suo corpo si abitua e la bambina riesce anche a fare scorte di cibo grazie delle bacche acidule e delle piccole ghiande, di cui si riempie lo zaino.
   La sera continua a tifare i Red Sox ma si sta ammalando, e durante il giorno la stanchezza e la malattia la inducono a visioni terrificanti: il mostro misterioso continua a seguirla, un sacerdote con la testa foramta da un nido di vespe la reclama, e radure piene di animali morti e gocciolanti sangue la perseguitano. Si ritrova a parlare con Tom Gordon stesso, con suo padre o con la sua migliore amica Pepsi, salvo poi per scoprire che non sono mai stati con lei.
   Tricia arriva ad una seconda palude ma, erroneamente, non la attraversa. Peccato, perché al di là della palude c’era un laghetto molto frequentato dai pescatori. Tormentata dal mal di gola e dalla febbre, la bambina continua il suo cammino.
   Quando è al limite delle sue forze sente il rumore di una furgoncino e sa che sta per giungere ad una strada, ma proprio in quel momento la presenza che le è stata tanto vicina in quei giorni, il mostro che aveva persino dormito al suo fianco una notte, la raggiunge: un orso.
   L’animale si avvicina tanto da annusarle il viso e la bambina, imitando la mossa di Tom Gordon, afferra il suo walkman ormai scarico e lentamente si piega con il braccio all’indietro a prepararsi al lancio. L’orso comincia a ritirarsi, come allarmato dalla curiosa mossa di quell’esserino dall’aria risoluta, e fugge definitivamente quando un cacciatore che ha visto tutta la scena da lontano gli spara ad un orecchio.
   Tricia viene salvata dal cacciatore e ricoverata d’urgenza in ospedale, ma prima di addormentarsi guarda suo padre negli occhi e punta un dito al cielo, come fa Tom Gordon quando chiude la partita.
 
Stefano Re
(Conosciuto anche con l'mproprio nome di Stephen King)
 
Lo stile
   La storia è semplice e un poco scarsa per quanto riguarda i fatti accaduti (si potrebbe facilmente descrivere come “la storia di una bambina che si perde nel bosco”) e a questo Stephen King ha contrapposto una narrazione ricca di dettagli. A volte scorrevole, a volte, devo ammettere, mi annoiava.
   Il narratore è onnisciente, per cui il lettore sa tutto quel che la protagonista ignora: sa che se avesse attraversato la seconda palude avrebbe trovato subito delle case, sa che se avesse continuato a tirare dritto per un po’ avrebbe ritrovato il sentiero, sa che anche se stanno cercando la protagonista sono del tutto fuori strada. Sono dettagli che non dovevano essere per forza dati al lettore, ma se la vicenda ti ha coinvolto è assicurato che ti esasperino. Viene voglia di poter parlare con Tricia per dirle dove deve andare!
 
Dantesco
   L’unico personaggio veramente approfondito è per l'appunto Patricia, mentre tutti gli altri, per quanto vengano citati, sono visti solo dal punto di vista della bambina.
   Verso la fine del romanzo tutto comincia a diventare molto inquietante e soprattutto incalzante, perché sembra di essere sempre arrivati al limite fisico e mentale di Tricia. In questo punto della narrazione compare più tangente che mai il personaggio di Tom Gordon.
   Lui è la ragione di Patricia, le consiglia come fare per risparmiare energie, la sprona, la aiuta quando lei ha la mente talmente annebbiata che non riesce a ragionare. Questo mi ha fatto venire un po’ in mente il Virgilio di Dante; Tom Gordon diventa una sorta di guida, anche se è molto più pratico di Virgilio, adatto al viaggio per nulla spirituale di Tricia.
 
Tom Gordon
 
Non sono convinta
   La sola cosa, purtroppo, che non mi convince di questo libro è anche una cosa fondamentale, una cosa che sta alla base della storia. Per dirla in breve: Tricia non si comporta come una bambina.
   Sì, forse io sono esigente in termini di personaggi, soprattutto quando si tratta di bambini, perché ne trovo a iosa che non sembrano affatto bambini ma si comportano e pensano come adulti. Ce ne sono veramente pochi, di cui ho letto, che mi sono sembrati personaggi veritieri e coerenti.
   Anche Stephen King è caduto nella trappola del “personaggio bambino”!
   Tricia ha dei comportamenti tipici di quelli dei bambini, ad esempio si dispera e diventa isterica delle volte, piange e dopo che si è sfogata si sente molto meglio, scioccamente invece di stare ferma in un posto attendendo pazientemente i soccorsi decide di continuare a camminare, e queste sono tutte cose che un bambino potrebbe benissimo fare. Però le viene in mente di seguire il fiume quando ne trova uno, le viene in mente di non mangiare certe foglie con del sangue di animale sopra, le viene in mente di seguire un certo percorso invece di un altro quando comincia a trovare tracce di civiltà, e un sacco di altre cose che i bambini non sanno. Non credo che a nove anni ti venga in mente di razionare del cibo dalle prime ore in cui sei perso nel bosco, dai per scontato che verrai presto ritrovato!
   Questa obiezione potrebbe sembrare poca roba, ma secondo me è importante, perché se Tricia si fosse comportata come i bambini di nove anni che conosco io, il libro avrebbe avuto una tragica e veloce fine.

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