Dopo tanti mesi (da febbraio mi
pare) torno su questi lidi. Si vede che ogni tanto ho bisogno di una pausa dal
blog.
Nonostante il precedente post inviti
alla lettura, di libri in questo periodo ne ho letti pochissimi. Mi è venuto il
blocco del lettore dopo essermi arenata a metà di “Via col vento”, vinta dalla
malignità e cocciutaggine della protagonista – non sono sicura che si possa
detestare Rossella, forse c’è una legge che lo impedisce e io ero l’unica a non
saperlo, perché ho sempre sentito solo parole entusiaste su di lei ma, dopo
averla letta, non me ne spiego il motivo. Ancora non mi sono ripresa del tutto,
anche se “Ritratto in seppia” della Allende sta aiutando parecchio.
Un po’ per questo, un po’ perché
si vede che non era il momento giusto, ho smesso di aggiornare. Non è stato
volontario, semplicemente non avevo ispirazione per scrivere i post. Ma non mi
andava di forzarli, e quindi eccomi qui dopo tanto, tanto tempo.
Una delle cose che mi è sempre
piaciuta dello scrivere è la revisione del testo. Lo so, che tanti autori la
detestano, o la vedono con orrore, o forse che la considerano una delle parti
più noiose, meno creative, una delle cose legate ai doveri dello scrivere, più
che ai piaceri. Eppure a me non è mai pesato particolarmente rileggere,
correggere, fare considerazioni su tutti gli aspetti della storia e modificare
lì dove necessario, anche grandi porzioni di testo. Mi è sempre piaciuto
revisionare, sia sulle mie storie che su quelle altrui, di cui magari mi veniva
richiesto un parere o una piccola correzione.
Non ho mai creduto veramente nei
corsi di scrittura creativa, perché mi sembra che la scrittura sia qualcosa che
non si può insegnare. Nella mia esperienza ciò che serve per migliorare nella
scrittura è leggere tantissimo e fare pratica tutte le volte che si può.
Inoltre sono convinta che ci voglia quel
certo non-so-ché, una sensibilità particolare, un’idea, un modo di mettere
le parole una dietro all’altra e riuscire a infondere a ognuna di esse una
scintilla, e tutte messe assieme quelle scintille fanno dei fuochi d’artificio.
Mica cose che si insegnano a un corso!
Ma per editare ci sono delle
regole, mi sono detta. Quindi ho deciso di iscrivermi ad un corso di editoria.
Poi ho scoperto che, di regole, è
come se non ce ne fossero.
Ho quasi sempre sentito parlare
con sospetto degli editori, di alcuni grandi editori persino con biasimo, di
quelli piccoli invece con grande ammirazione. Sono indubbiamente realtà diverse
ed operano con modalità molto differenti e a volte, mi viene da pensare, con
fini differenti (oltre a quello economico s’intende). Be’ sappiate intanto che
non sono passata al lato oscuro, anzi sappiate che non c’è nessun lato oscuro.
Tutti gli insegnanti del corso
erano persone che da anni lavorano nel settore e se c’è qualcosa che ho notato
con immenso piacere è che tutti – non uno escluso – si sono dimostrati
entusiasti del loro lavoro. Così come noi corsisti, impazienti di imparare e
capire quello che a volte sembra un mondo popolato da leggi proprie, che i
lettori spesso non capiscono e chi aspira a scrivere capisce ancora meno e
guarda con diffidenza, quasi le case editrici fossero un ostacolo alla
pubblicazione e non il tramite.
Inizialmente devo ammettere che
anche io partivo con un’idea dell’editore un po’ falsata. Falsata da ciò che
vedo in libreria, dalle catene di distribuzione, dai grandi gruppi editoriali
che costringono le piccole realtà a sgomitare per sopravvivere, dai romanzi che
cavalcano la cresta dell’onda della moda del momento. Ma non è solo quello, per
fortuna, l’editoria. Certo ci sono molte cose che ho capito e con le quali non
mi trovo d’accordo, tuttavia non posso chiudere gli occhi davanti a un fatto:
chi lavora in ambiente editoriale è, prima di tutto, un lettore appassionato.
Sembra scontato da dire ma vale la
pena ricordarlo, ogni tanto.
Sono lettori appassionati i
professori che ci hanno tenuto lezioni sull’editing e la correzione di bozze,
sulla grafica del libro, sulla filiera della distribuzione, sul marketing e la
vendita del prodotto. Lo sono, o non si sarebbero avvicinati a quel mondo,
perché è uno di quelli difficili da raggiungere e che non paga così tanto o
così in fretta. Così come sono lettori appassionati tutti i corsisti, che se
riusciranno a ritagliarsi il loro spazio in quel settore sarà una gran fortuna,
perché ho conosciuto persone che desiderano davvero dare il loro contributo per
scoprire opere bellissime e farle conoscere a tutti, persone che vorrebbero che
tutti quanti capissero quanto è bello prendere in mano un libro e perdervisi.
E l’ho capito che non è così
romantico, che si tratta soprattutto di duro lavoro, di leggere tantissimo e
trovare pochissimo di veramente bello, di passare tanto tempo a fare ricerche
sui più svariati argomenti, e scervellarsi su una parola o una virgola, e di
scontrarsi con chi ti dice che non crede in un romanzo che ti ha entusiasmato,
e cercare di essere il più empatici possibile con gli autori che ti hanno
affidato la loro opera e magari sono un tantino restii ad accogliere
suggerimenti, e un sacco di altre cose che abbiamo solo percepito, durante
questo corso.
Però, alla fine, dopo tutto
questo lavoro, ecco nascere qualcosa di meraviglioso: un libro. Che non è più
solo dell’autore, ma è anche degli editor che ci hanno lavorato e hanno passato
ore intere a parlare con gli scrittori di questo o quel personaggio o solo di
una frase o di un punto. È del grafico che ha impaginato e pensato alla
copertina, ai colori, al soggetto, così come del marketing che lo ha lanciato
sul mercato e dei librai che lo hanno scelto in mezzo a centinaia di altri.
Ma soprattutto è anche dei
lettori, quelli che si perderanno dentro i fuochi d’artificio.
Non so se questo corso cambierà
qualcosa per me. Intanto ha cambiato il mio modo di vedere gli editori, e di
approcciarmi allo scrivere.
Mi ha fatto capire che un giorno,
se invierò un manoscritto a una qualunque redazione e questa lo vorrà
pubblicare, avrò già trovato qualcuno a cui il mio lavoro è piaciuto, qualcuno che
ci ha creduto. E magari è una sola persona, ma va bene anche così. Perché dopo
di me, che ho investito tempo, speranze, e mi sono rimboccata le maniche e mi
sono messa in gioco per inviare il mio libro a qualcun altro, c’è stato quel
lettore. Quell’unico lettore che lavora in una redazione e ha voluto mettersi
in gioco a sua volta, dicendo che il mio romanzo dovrebbe essere letto.
Ci sarebbe molto da dire
ancora su questo argomento – abbastanza da riempirci un libro, tu pensa! – ma
l’ultima cosa che mi viene da dire è questa: forse, se gli autori e i lettori
che puntano il dito contro le case editrici, perché loro sono il male e si
approfittano di tutto e tutti, se si fermassero un attimo a pensarci
capirebbero che non è proprio così. E magari un giorno, se noi lettori per primi
smettessimo di comprare ai parenti per Natale l’ultimo best seller perché siamo
sicuri che leggeranno solo quello, o il libro che va di moda perché “vediamo
che dice, per essere così venduto”, o la biografia del calciatore scritta da un
ghost writer o chi più ne ha più ne metta, allora forse riusciremmo a ritrovare
quell’editoria di qualità che adesso è solo di nicchia, e che tutti ricordano
con un’espressione sognante che manco Homer Simpson con la ciambella.
Bè a volte capita di non riuscire ad apprezare un personaggio universalmente amato. A me è capitato con Catherine di Cime Tempestose, o con il famoso "piccolo principe" (anch per quello ci deve essere una legge che vieta di detestarlo e io non ne sono a conoscenza). A me Rossella nonostante tutto è piaciuta, ma non chiedermi perchè.
RispondiEliminaNemmeno a me è piaciuta Catherine (se è per questo nemmeno Heathcliff)!
EliminaCapisco perché a molti Rossella piaccia, perché in effetti nonostante tutto si rimbocca le maniche, lavora sodo, riesce a diventare ricca e ad esaudire i propri desideri, senza vergognarsi mai se sono considerati vanesi. Però fa tutto ciò senza amare veramente nessuno, è innamorata dell'idea che si è fatta di Ashley, ma se lo avesse probabilmente si renderebbe conto di non poter amare un uomo come lui. Sembra non provare affetto neanche per i figli!
Riguardo all'ultimo punto (il mancato affetto per i figli) devo proprio darti ragione: anche a me ha dato fastidio in modo incredibile questo fatto. E' una cosa che mi capita in generale non solo con i personaggi dei libir ma anch, ad esempio, con quelli famosi: se uno +è un genitore di mxxxda può essere anche il più grande genio dell'umanità che per me non conta nulla, come ad esempio STeve Jobs (di cui in questi giorni si parla per via delle rivelazioni fatte dalla figlia).In effetti credo proprio che Rossella non ami molto i primi due figli, perchè avuti come inevitabile conseguenza da due matrimoni che non deisderava (e che poteva benissimo evitare), mentre invece ama Diletta perchè avuta da Rhett. A questo riguardo mi è piaciuto molto ivnece Rhett, che considera i figli di Rossella come suoi, tant'è che gli stessi bambini amano più lui della madre (e lui durante una lite glielo rinfaccia). Anche a me è sembrata a tratti una persona che non sa amare, ma ciò non è vero: ama Mammy, ama i suoi genitori, in fondo ama anche Melania, anche se per lungo tempo non lo capisce nemmeno lei stessa. E' un carattere molto particolare, sopratutto per l'epoca in cui vive, che certamente non incoraggiava una donna che volesse vivere libera come lo vuole lei.
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