lunedì 10 ottobre 2011

L'arte di sperare

Rispolverando vecchi classici ho trovato un film che avevo visto tempo fa, e che per questo motivo non avevano mai capito a fondo: avevo sì e no tredici anni, capitemi. Il film in questione è “Le ali della libertà” (o, il titolo originale: “The Shawshank redemption”), regia di Frank Darabont, del 1994. A dirla così sembra vecchissimo, ma io già c'ero nel '94 quindi è inutile tirarsela troppo.
Allora, io ricordavo di aver già visto questo film, e sapevo che era molto triste ma aveva un finale parecchio soddisfacente, perciò quando mi hanno proposto di rivederlo mi andava bene. Il problema era che non sapevo veramente che cosa aspettarmi perché non ricordavo assolutamente niente del film, e quel poco che ricordavo era la fine, in particolare la gloriosa scena della fuga, molto, molto bella e che mi riempie di emozioni. Quando avevo visto il film un po’ di anni fa (ed era già considerato abbastanza vecchio in quest’epoca che considera fuori moda un vestito dell’anno prima) non lo avevo capito del tutto. Certi meccanismi, certe scene, certe frasi, e così riguardarlo a distanza di anni, in un’età più consapevole di molte cose, è stato come vederlo per la prima volta.
Oggi non vi risparmierò nemmeno un pezzttino di trama, sia perché questo film l’hanno visto in molti e magari anche qualche lettore l’ha già visto (nel caso contrario guardalo se vuoi sentirti spiritualmente elevato, a me fa questo strano effetto), ma anche perché voglio parlarne.

Siamo negli anni ’40 del 1900 e Andy Dufresne (Tim Robbins), un giovane banchiere, viene accusato di aver assassinato la moglie e il suo amante, con il quale era fuggita. Forse la cosa potrebbe darci meno fastidio se per caso lui fosse davvero colpevole, anche se personalmente credo che una situazione come quella a cui andrà incontro sia orribile a prescindere della colpevolezza di un uomo (che poi uno se lo meriti o meno è un discorso diverso sul quale non mi dilungherò e sul quale non basterebbe scrivere un libro), ma il problema è che noi sappiamo bene che Andy non è affatto colpevole. Sebbene ci siano momenti di tensione nella scena nella quale lui impugna la pistola fuori dalla casa nella quale si trovano moglie e relativo amante, ma poi ci ripensa e noi ci chiediamo come diavolo lo abbiano incastrato.
Il pensiero che quell’uomo innocente, e all’apparenza così fragile – ha un viso che sembra quello di un bambino sgridato dalla mamma, al suo arrivo in carcere – fa venire il magone. Nonostante questo sembra quasi che la prigionia non lo tocchi, ha quella strana aurea di fredda intoccabilità che per un attimo ci fa dubitare che soffra, ma con l’andare avanti dei minuti Andy non può fare a meno di starci simpatico, perché con il suo modo di fare gentile, i suoi sorrisi sinceri e le parole di speranza che ha sempre sulle labbra, be’, non si può non adorarlo. Lui è un uomo di fede, non nel senso religioso, ma nel senso che lui crede che qualcosa cambierà, lui crede nella vita e nella speranza di poter ancora assaporare la libertà. Nonostante tutto quello che ha vissuto, quel che potrebbe accadere da un momento all'altro, nonostante la vita - e la morte - siano sempre dietro l'angolo per lui, Andy è ancora capace di sperare.
Tim Robbins, nel ruolo di Andy Dufresne
Un personaggio che adoro è Red (Morgan Freeman). Lui semplicemente è “i grandi magazzini” di Shawshank. Divertente, realista, amichevole, si definisce l’unico colpevole di quella prigione, e infatti in trent’anni che è lì dentro ha provato più volte a convincere una giuria di periti, avvocati e psicologi che lui è pentito, sempre con la stessa frase: “In tutta onestà, adesso, mi sento un altro uomo”. E probabilmente è vero, in un certo senso, ma è una frase fatta di quelle che le persone che non sanno cosa dire spiattellano fuori senza pensare, e così fa lui ogni dieci anni. Il colmo è che proprio quando dirà esattamente ciò che pensa lo lasceranno andare, ed è una cosa che mi fa impazzire!
Bene, torniamo ad Andy, che era appena entrato nella prigione di Shawshank e subito era stato preso di mira da ‘Le sorelle’, un gruppo di violentatori che prendevano con la forza qualunque persona che rispondesse a chissà quali strani requisiti che avevano nella loro mente psicopatica. Per due anni va avanti così, Andy, con qualche occasionale cazzotto sul quale non dice una parola al riguardo, e che le guardie lasciano tranquillamente correre. Fino a che non succede qualcosa...
Da esperto banchiere che conosce tutti procedimenti burocratici alla perfezione, Andy aiuta una delle guardie a tenersi alcuni soldi che gli sarebbero stati sottratti dallo stato tramite una legalissima scappatoia. Da allora diviene il carcerato che fa la dichiarazione dei redditi a tutti i secondini della prigione, e anche al direttore (Bob Gunton), un uomo avido che lo userà da ora in avanti per truffare la società e guadagnare milioni di dollari. Gli conviene talmente tanto avere Andy Dufresne a fargli i documenti che, quando si presenta l’opportunità per questi di uscire di prigione, il direttore fa uccidere l’unico testimone che avrebbe potuto salvarlo. Andy capisce che non uscirà mai di lì, se non dentro ad una bara o quando ormai sarà un vecchio abituato alle rassicuranti mura della prigione.
Il giorno in cui esce da due mesi in totale isolamento tutto lascia supporre che Andy voglia suicidarsi. Il giorno dopo, quando viene fatto l’appello, Andy è letteralmente scomparso.
Sono passati diciannove anni da quando è arrivato alla prigione, e ci viene rivelato che da allora lui non fa altro che scavare, di notte, un tunnel che lo porta alle tubature delle fogne della prigione. In una notte tempestosa, con una busta di plastica legata alla caviglia, attraversa il tunnel, spacca una delle tubature con una roccia e striscia per 500 metri. Quando esce dalla merda è un uomo libero.
Nessuno lo troverà mai più, ma lui è ricco, grazie ai documenti che ha rubato al direttore e dei quali si è servito per ritirare una grossa somma di denaro. Ha coronato il suo sogno di noleggiare barche in Messico.
L’unico da cui vuole farsi trovare è il suo amico, Red, che dopo anni otterrà di uscire di prigione, e smetterà di avere paura del mondo di fuori, al quale non è più abituato dopo quarant’anni passati dietro le alte mura che lo proteggevano e lo rinchiudevano. E rimarranno loro due, assieme: due uomini liberi.

Morgan Freeman, nel ruolo di Red

Una cosa che sicuramente si nota molto nel film è il dettaglio riguardo agli anni che passano: il trucco è perfetto, gli anni scorrono con naturalezza minuto dopo minuto, e prima che riusciamo a rendercene veramente conto un paio di capelli bianchi sono spuntati non solo al protagonista, ma anche ai secondini.
Altra caratteristica senza la quale questo film non sarebbe stato quel che è, ovviamente la recitazione degli attori. Sapevo già che Morgan Freeman era un maledetto genio, io lo adoro, i suoi ruoli sono sempre divertenti e lui ha uno sguardo diverso per ogni volto che deve far nascere davanti a schermi differenti. Ma non avevo mai visto Tim Robbins prima d'ora e, inutile dire che... ho adorato anche lui. Forse più che lui il suo personaggio, Andy. Per tutto ciò che ho detto prima, e per tutto quel che riusciva a farmi sentire quando faceva quell'espressione da bimbo speranzoso, un po' birichino.
Questo è un film davvero meraviglioso. Credo che tutta la nuda crudeltà alla quale ci sottopone sia, alla fine, necessaria per renderci finalmente più speranzosi poi, con un finale crudo anch’esso, pieno di tensione e risvolti amari, ma bellissimo e indimenticabile.





Per concludere vi allego un video, la mia parte preferita del film (purtroppo l'ho trovata solo in inglese): la fuga di Andy.
Inoltre vi lascio una delle citazioni più belle (ed è stata dura sceglierla, perché ci sono frasi di pura poesia qui dentro, così come cose che fanno sganasciare dalle risate!, anche se è incredibile, lo so):

Sono così eccitato che non riesco a stare seduto, ne a concentrarmi su qualcosa. Credo sia l'emozione che solo un uomo libero può provare. Un uomo libero all'inizio di un lungo viaggio la cui conclusione è incerta.
Spero di farcela ad attraversare il confine. Spero di incontrare il mio amico e stringergli la mano. Spero che il Pacifico sia azzurro come nei miei sogni. Spero. (Red)

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