venerdì 19 settembre 2014

Ulisse da Baghdad - Eric Emmanuel Schmitt

   Quando vivevo con mia madre leggere era scontato.
   Tornavo a casa e mi mettevo a leggere, studiavo con qualche amico, mi mettevo a scrivere e poi giù a leggere di nuovo. Era facile, era automatico. Ora che devo pensare alla mia sopravvivenza e inventarmi ogni giorno almeno due consistenti pasti che non si assomiglino troppo, leggere è diventato qualcosa per cui devo essere nel mood giusto. A volte è così facile, dopo una giornata stancante, mettersi semplicemente di fronte alla tv e guardare la prima cosa che ti capita davanti agli occhi, fosse anche la televendita dello chef Tony.
   Solo ora mi rendo conto della quantità assurda di tempo libero che avevo quando studiavo o anche solo quando già lavoravo ma ero ancora a casa dei miei. Se all’epoca mi avessero detto che in sola una mattinata si potevano fare un mucchio di cose (andare a correre, fare la doccia, la spesa e cucinare il pranzo, tanto per dirne qualcuna) non ci avrei creduto.
   Comunque sia, adesso prendo in mano un libro soprattutto prima di andare a dormire – a prescindere dall’ora in cui vado a dormire – e leggo per prendere sonno. Se il libro non è particolarmente interessante allora mi aiuta, se il libro è bello… be’, io sono disposta anche a dormire un po’ meno, pur di continuare a leggere.
   Tutte le sere, immancabilmente, è successo così con il libro di Eric Emmanuel-Schmitt, “Ulisse da Baghdad”. Lo iniziavo dicendomi: «Solo un capitolo poi spengo», e invece finivano per diventare uno e mezzo, due, e perché non tre? Non solo il libro è interessante e ti spinge a proseguire, ma è anche uno di quei libri che ti accompagnano anche dopo che li chiudi.
   Io lo chiudevo e spegnevo la luce, e mi addormentavo pensando a Saad.
 
 
   Saad nasce in Iraq sotto il regime di Saddam Hussein. Da bambino impara a relegare in un angolo il dittatore che governa il paese, onnipresente ma invisibile al tempo stesso. Crescendo, impara che Saddam non poi così innocuo come lo credeva da bambino. Comincia a vedere il lato oscuro del regime, i poliziotti che arrestano persone senza valide accuse e le pestano per far loro confessare colpe mai avute, i libri proibiti unicamente perché inglesi, e la difficoltà di vivere in un paese che l’embargo ha reso povero.
   Nonostante questo la sua vita continua, mentre la famiglia si allarga e le sue sorelle maggiori prendono marito, e suo padre è costretto a vendere sottobanco qualche libro proibito per pagare parte del matrimonio. Saad si iscrive all’università e lì conosce Leila, di cui s’innamora pazzamente, raccontando incantato alla famiglia che avrebbero capito il perché di quella infatuazione «se solo vedeste come fuma una sigaretta.»
   Intanto il paese si fa sempre più povero, in balia degli estremisti islamici e con la minaccia di un monarca da un lato e dell’invasione/liberazione americana dall’altro. Il popolo non sa più che cosa sperare quando, ad un tratto, accade: arrivano gli americani, il governo di Saddam Hussein cade e forse è proprio questo che l’Iraq aspettava per rifiorire.
   O forse no.
   Incompresi e incomprensibili, gli americani si limitano a rimanere a guardia delle loro fortezze, e Saad smette di credere in loro quando un uomo si fa esplodere in mezzo al mercato a Baghdad, mettendo in moto una serie di eventi che lo porterà a fuggire dal suo paese.
 
   Non vi dico di più, ma solo perché il libro è talmente bello che non voglio rovinarvelo, nel caso lo leggiate. Di solito non mi preoccupo troppo di spoilerare, ma ci sono libri in cui lo spoiler è vietato.
 
Eric Emmanuel Schmitt
 
   Sinceramente, non ho una particolare opinione in merito al problema dell’immigrazione. Un po’ perché non sono informata e un po’ perché non sono poi così interessata, lo ammetto (ma dopo aver letto questo libro lo sono un po’ di più).
   Mi viene in mente un cartellone che ho visto almeno cinque anni fa sotto elezioni, di non ricordo quale partito (anche se un’idea ce l’avrei…). C’era un indiano d’America disegnato e sotto la scritta “Loro hanno subìto l’immigrazione. Ora vivono nelle riserve.
   …voglio dire… sul serio?
   Chi è l’idiota che ha paragonato l’immigrazione in Italia di quelli che sono destinati a diventare vucumprà con l’invasione degli europei nei territori indiani?! Insomma, non mi ero accorta che i barconi che arrivano a Lampedusa fossero carichi di aitanti militari che imbracciano fucili e vogliono invadere  il paese. Inoltre, se ci paragoniamo agli indiani del 1400 ci stiamo davvero svilendo!
   Una volta una mia insegnate delle medie disse che tutti quelli che dicevano: «Tornatene al tuo paese!» erano dei cretini. A rigor di logica, posso solo darle ragione. Spero che nessuno di voi lettori pensi seriamente cose del genere, perché altrimenti vi avrei appena dato del cretini, ed è una cosa che tendo a non fare con i (pochi) lettori del mio blog.
   Lasciamo perdere la questione del lavoro e dell’illegalità solo per un momento e concentriamoci su questa frase: «Tornatene al tuo paese.» Sto parlando con te, sproloquiatore seriale: ma se un poveraccio ha usato i risparmi di una vita per attraversare il Mar Mediterraneo assieme ad altre trenta persone in un gommone che ne può contenerne dieci, sarà perché nel suo paese non ci può più stare no? Chi mai si sottoporrebbe a viaggi estenuanti, continui pericoli e futuro incerto per poi arrivare in un paese dove ti disprezzeranno, così, per sport?
   Le persone amano il proprio paese, tutte quante. Chi ostentatamente e chi senza nemmeno accorgersene, ma ognuno ama il posto dove è cresciuto, il luogo del quale conosce le tradizioni, la cucina, la politica, la storia, le persone. Lasciare il proprio paese non è mai del tutto piacevole, nemmeno per chi lo fa come scelta di vita o per lavoro. Quante volte sentiamo italiani che vivono all’estero che spergiurano sulla nonna che un piatto di semplice pasta nessuno lo fa sa fare come lo facciamo qui in Italia? Se una persona fugge dal proprio paese è proprio questo che fa: fuggire. E si fugge solo quando non si ha altra scelta.
   “Ulisse da Baghdad” mi ha fatto pensare a tutte queste cose e a molte altre ancora, ma soprattutto mi ha regalato una bella storia. Reale, attuale, cruda, ma intrisa di speranza.

Nessun commento:

Posta un commento

Ogni commento sarà bene accetto!
Grazie dell'attenzione e del tempo dedicatovi.