lunedì 1 settembre 2014

Misery - Stepehn King

   Una piccola premessa, prima di cominciare con la recensione.
   Io ho paura dei pazzi. Mi spiego meglio. Se vedo un film con gli spiriti, i fantasmi, gli zombie o altri mostri del genere non mi spavento quasi mai. Se vedo film con dei pazzi psicopatici che cercano di ucciderti per il solo motivo che a loro sembra logico e semplice, allora mi spavento. Non so voi, ma gli psicopatici in carne e ossa mi fanno rabbrividire molto di più che un presunto spirito che galleggia per casa. A spaventarmi non è tanto il fatto che sono certa che esistano, ma che sono imprevedibili e incomprensibili.
   Un’altra premessa è che raramente mi sono spaventata con un libro. Ho avuto paura, da bambina, con i libri della serie di Peggy Sue, di Serge Brussolo, perché succedevano cose molto inquietanti delle volte, ma così su due piedi non mi viene in mente nessun libro per il quale io abbia provato veramente paura. Forse una sorta di malessere, come quando leggevo “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” o “Ingannevole è il cuore più di ogni cosa”, ma paura mai. Un po’ perché i libri dell’orrore non sono il mio genere, un po’ perché faccio fatica a spaventarmi.
   Ho appena letto “Misey”, di Stephen King.
   E ho avuto gli incubi.
 
   Stephen King è molto evocativo, per chi non lo sapesse. Talmente tanto, in effetti, che è facile immaginare i suoi libri come scene di un film. Non perché descriva ambienti e personaggi particolarmente bene – anzi, a volte non li descrive affatto – ma perché sa come trasmettere una sensazione. Talvolta sensazioni roboanti, che ci vengono addosso come onde nel mare grosso, e talvolta sensazione sottili, intuizioni o fantasie.
   In “Misery” esistono più sensazioni che descrizioni, e probabilmente è questo che fa crescere l’ansia e la paura man mano che si va avanti a leggere.
   Non vi svelerò la trama se non per informarvi di cosa parla il libro, giusto perché non partiate impreparati.
 
   Paul Sheldon, scrittore della seria di libri che vedono come protagonista l’indistruttibile eroina vittoriana Misery, si sveglia in una stanza che non è un ospedale, dopo un brutto incidente stradale in un luogo isolato che gli ha distrutto entrambe le gambe e gli impedisce di muoversi. A salvarlo dalla morte certa è stata un ex infermiera, Annie Wilkies, che lo porta nel casolare dove abita e comincia a prendersi cura di lui.
   Paul si rende conto presto che Annie è pazza. Volubile e imprevedibile, per mezzo di torture psicologiche e fisiche gli ruba, pian piano quel che è lui. Lima con pazienza ogni suo spigolo, ogni sua forza di replica, e la dignità e l’orgoglio gli vengono succhiati via pian piano.
   Costretto a scrivere per Annie – la sua ammiratrice numero uno – un libro intitolato “Il ritorno di Misery”, Paul combatte per la sua vita e tenta in ogni modo di rimanere sano, in un mondo che non è più il suo: è il mondo di Annie Wilkies, il mondo nel quale se non sei d’accordo con lei ti può venire amputato un pollice, il mondo in cui anche quando pensi di essere salvo ti rendi conto che Annie sa ogni cosa. Un mondo che sta logorando Paul Sheldon, che lo sta lentamente facendo impazzire.

 
   Spero di avervi per lo meno incuriositi, anche se mi rendo conto che la mia piccola anticipazione nulla ha a che vedere con la suspance del romanzo.
   Non ho mai visto il film che ne è stato tratto (“Misery non deve morire”) ma non appena me lo procurerò lo guardo subito! So che Kathy Bates, che nel film è Annie, ha anche preso un oscar per la sua interpretazione. Sono decisamente curiosa di vedere come hanno fatto il film.
   Be’, ora sfido chiunque di voi a leggerlo e a non avvertire almeno un brivido alla schiena.

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