In zona Navigli, a Milano, c’è una sede
del Libraccio che amo alla follia. Il locale è piccolo e stipato di libri usati
dal pavimento al soffitto. Sono talmente tanti e talmente attaccati fra loro
che, sebbene abbiano tentato di dare un ordine per genere – e per averci
provato li ammiro –, trovare qualcosa che ci interessi è una questione di
fortuna. I titoli si susseguono uno dopo l’altro, attaccati e senza fine.
Quando, qualche settimana fa, vi trovai “Estasi culinarie” di Muriel Barbery,
non esitai a comprarlo.
La trama era interessante, il prezzo
ottimo, ma la cosa che prima di tutte mi tolse ogni dubbio fu il nome
dell’autrice: Muriel Barbery, di cui avevo già letto “L’eleganza del riccio”. Quel
libro mi era piaciuto moltissimo, era semplice nonostante la profondità dei
temi trattati, e anche se la trama aveva qualche piccolo difetto nel complesso
rimane tutt’oggi un libro che ricordo con piacere.
Lo stesso non si potrà dire di “Estasi
culinarie”.
Nel
signorile palazzo di rue de Grenelle, già reso celebre dall'"Eleganza del
riccio", monsieur Arthens, il più grande critico gastronomico del mondo,
il genio della degustazione, è in punto di morte. Il despota cinico e
tremendamente egocentrico, che dall'alto del suo potere smisurato decide le
sorti degli chef più prestigiosi, nelle ultime ore di vita cerca di recuperare
un sapore primordiale e sublime, un sapore provato e che ora gli sfugge, il
Sapore per eccellenza, quello che vorrebbe assaggiare di nuovo, prima del
trapasso. Ha così inizio un viaggio gustoso e ironico che ripercorre la
carriera di Arthens dall'infanzia ai fasti della maturità, attraverso la
celebrazione di piatti poveri e prelibatezze haute cuisine. A fare da
contrappunto alla voce dell'arrogante critico c'è la nutrita galleria delle sue
vittime (i familiari, l'amante, l'allievo, il gatto e anche la portinaia
Renée), ciascuna delle quali prende la parola per esprimere il suo punto di
vista su un uomo che, tra grandezze pubbliche e miserie private, sembra
ispirare solo sentimenti estremi, dall'ammirazione incondizionata al terrore,
dall'amore cieco all'odio feroce. Anche in questo romanzo d'esordio Muriel
Barbery racconta, assieme ai piaceri e alle tenerezze della vita, l'arroganza e
la volgarità del potere (in un ambiente spietato dove - è cronaca di questi
anni - un cuoco si uccide perché ha perso una stella Michelin).
Ci sono principalmente due motivi per
non leggere questo libro.
Il primo in assoluto è che il
protagonista è snob, imbruttito e incattivito nei confronti di chi lo ha amato
di più, la sua famiglia. Forse era questo che voleva l’autrice, forse voleva un
personaggio cinico, ipocrita e con manie di grandezza, tuttavia non so a quanti
piace sul serio uno così.
Il secondo è che il linguaggio è pomposo
e a tratti talmente zeppo di aggettivi e parole altisonanti da risultare
noioso.
So
che due motivi non sono molti, ma sono importanti. Per cui non ve lo consiglio
affatto.
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