Diversi anni fa vidi il film de “La
custode di mia sorella” e me ne innamorai perdutamente. Un po’ perché c’era
Abigail Breslin, mia eroina indiscussa, un po’ perché la storia era
particolare. Interessante, intrigante, ma anche delicata e drammatica. Amo i libri e i film
che raccontano di vicende familiari e questo era quindi adatto a me, con
l’aggiunta di una malattia incurabile e di una causa (datemi un avvocato e
delle arringhe pungenti e mi renderete una persona felice).
Non so perché ci ho messo così tanto a
decidermi di leggere il libro, probabilmente perché penso sempre che «ci sono così
tanti libri e questo, in fondo, lo conosco già. Meglio leggerne uno
completamente nuovo no?» Però, insomma, l’ho visto in biblioteca e non sono
riuscita più a separarmene.
Sara e Brian Fitzgerald sono allibiti
quando vengono citati in causa dalla minore delle loro figlie, Anna, che vuole
ottenere l’emancipazione medica per non dover donare un rene alla sorella
maggiore Kate, malata di leucemia già dall’età di cinque anni.
Anna si rivolge ad un famoso avvocato,
Campbell Alexander, spiegandogli che i suoi genitori l’hanno concepita con una
precisa combinazione genetica per aiutare la sorella Kate che si era ammalata.
L’idea era quella di utilizzare il sangue del cordone ombelicale di Anna, e
funziona: Kate va in remissione e l’incubo sembra terminato. I Fitzgerald sono
di nuovo una famiglia e, con un nuovo membro a farne parte, si sentono più
fortunati di prima.
Qualche anno dopo Kate si ammala di
nuovo e l’unica ad essere in tutto e per tutto compatibile con lei è Anna.
Comincia così una travagliata vita per i Fitzgerald, fatta di ricoveri
improvvisi per Kate, ricoveri programmati per Anna, mentre il fratello maggiore
Jessie viene lasciato a sé stesso.
La richiesta di emancipazione medica di
Anna arriva come un fulmine a ciel sereno, che scuote il già precario
equilibrio della famiglia. Dopo dieci anni di terapie il corpo di Kate sta
cedendo e ha bisogno del trapianto di rene per affrontare cure devastanti
quanto la malattia stessa. In base a quello che deciderà il giudice Anna potrà
decidere da sola se donare o meno un rene a sua sorella, facendo la differenza
fra la vita e la morte di Kate, ma anche di tutta la famiglia.
Il fatto di aver visto il film almeno
cento volte e averlo adorato probabilmente ha smorzato un po’ il mio entusiasmo
di fronte al libro, che comunque differisce per alcune cose dal film ma ho
appezzato i cambiamenti (anche se sono combattuta sul finale, che non ho
intenzione di rivelarvi).
Jodi Picoult |
Lo stile del romanzo è scorrevole, cosa
apprezzabilissima date le tematiche importanti. Se anche lo stile si fosse
rivelato complesso leggerlo sarebbe stato senza dubbio più difficile, invece
“La custode di mia sorella” si finisce in un battito di ciglia. Rapisce sin
dalle prime pagine e non risulta mai noioso poiché presenta i punti di vista di
ogni personaggio. Così facendo l’autrice ci fa capire le emozioni di tutti, il loro ruolo nella storia, e si scopre la vicenda dal punto di
vista di ogni persona coinvolta.
Purtroppo la forza di questo libro è
anche la sua debolezza. Infatti ogni narrazione è in prima persona, quindi
vediamo le cose da un punto di vista totalmente soggettivo. Il problema è che
la Picolut non si è sforzata di cambiare registro per ogni personaggio, cosa
che secondo me avrebbe dotato di personalità tutti quanti. Andava fatto anche
solo per essere verosimili: una tredicenne (Anna) non parla né pensa come un
diciannovenne (Jesse), che a sua volta non pensa come un trentenne single
(Campbell), che è ancora diverso da una madre ultraquarantenne (Sara). Dando
uno stile uguale a tutti i personaggi si appiattiscono anche le loro
personalità.
Mi è piaciuto leggere in maniera più
approfondita dell’avvocato, la sottotrama che riguarda la sua vita è un bel
diversivo in una storia che, senza qualcosa che ci faccia distaccare dai
personaggi principali, risulterebbe un po’ troppo pesante.
“La custode di mia sorella” è un libro
che consiglio a chi non si sgretola di fronte alle storie drammatiche, perché è
onestamente molto triste e fa indignare molto spesso. Il problema è che la nostra indignazione resta dentro di noi, non possiamo fare altro che leggere per farcela passare, sperando che il nostro personaggio preferito abbia una sorta di rivincita. Il libro offre inoltre interessanti spunti di riflessione riguardo
alla linea di confine fra ciò che è giusto fare e ciò che siamo disposti a
fare. L’etica non è mai un argomento facile.
A posteriori posso comunque dire che ad
avermi emozionata di più è stato il film. Forse perché l’ho visto per primo, ed
era una totale novità per me, tuttavia penso che lo riguarderei volentieri,
mentre il libro… è stato bello finché è durato, ora è finito e non credo che lo rileggerò.
Una scena tratta dal film, i fratelli Fitzgerald. |
A me è successa esattamente la cosa opposta. Ho adorato il libro così tanto e nonostante la tristezza del finale. Quando sono arrivata a vedere il film e ho visto che hanno cambiatola fine inceramente ci sono rimasta malissimo :( E' una storia così forte nella sua asprezza, di battaglie vinte e perse, di rinunce e piccole gioie. Una storia che parla anche di libertà. Mi ha fatto piacere leggere la tua recensione :) E' bello confrontarsi. Un bacio.
RispondiEliminaCi ho messo una vita a rispondere (e, mea culpa, non perché sono in vacanza)!
RispondiEliminaLa storia mi è piaciuta moltissimo e secondo me entrambi i finali sono belli e portano tutti e due e ragionamenti diversi ma ugualmente intensi.
Una delle cose belle di seguire i blog, comunque, è proprio quella di confrontarsi ;)