I romanzi che hanno come tema l’arte sono
i miei preferiti. Sin ora, purtroppo, ne ho trovati pochissimi che mi piacciano
davvero. Devono avere la giusta dose di romanzo e arte. Devono saper miscelare
la vicenda, i personaggi e i fatti storici (che molto spesso in questo genere
giocano se non un ruolo fondamentale, almeno un ruolo importante) con la parte
artistica, a volte tecnica ma molto spesso anche e soprattutto emozionale.
Immaginavo di imbarcarmi in una storia
più d’amore che di arte e storia, quando iniziai “La ragazza con l’orecchino di
perla”. Le storie romantiche non mi prendono né emozionano quasi mai, tuttavia
scelgo questi libri un po’ come scelgo di andare a vedere una mostra: mi piace
l’artista?, bene, lo leggo.
Probabilmente è una scelta sbagliata,
come dimostrerà questa recensione, ma la curiosità mi batte sempre. Che posso
fare? Mi disegnano così.
Siamo a Delft, piccola cittadina
olandese, alla fine del 1600. La giovane Griet, a causa di un incidente che ha
reso il padre completamente cieco, è costretta a trovare un lavoro per dare
sostegno economico ai suoi cari. Da lei dipendono i genitori, la sorella minore
e il fratello, su cui la famiglia ha investito tanto perché lavori in un forno
che produce ceramiche.
Griet si ritrova quindi nella casa del
maestro Jan Vermeer, famoso e stimato pittore, a lavorare come domestica.
Inizialmente turbata dal lusso della casa e dalle immagini religiose che si
allontanano dalla sua fede, essendo lei protestante e i Vermeer cattolici,
Griet pian piano si abitua alla sua nuova vita e al lavoro. Inizia a
comprendere la dinamiche che vigono all’interno della famiglia e a destreggiarsi
fra le varie personalità con cui ormai convive.
Il pittore lascia che sia la suocera,
Maria Thins, a occuparsi di governare la casa e vendere i suoi quadri su
commissione. Lui si occupa soprattutto della pittura, dell’arte, e lo fa con i
suoi modi e i suoi tempi. La moglie, Catarina, sebbene tenti di sembrare
padrona della situazione, soffre perché non sempre ha la piena attenzione del
marito, inoltre viene descritta come vanesia e debole.
Uno dei compiti più importanti di Griet
è occuparsi di pulire lo studio dell’artista, senza però spostare nulla o
cambiare disposizione agli oggetti. Grazie a questa intrusione forzata ma
necessaria, Vermeer osserva Griet da lontano e ne rimane affascinato. Con il
passare del tempo scopre anche che Griet nasconde un gusto non comune per
l’arte, soprattutto per qualcuno nella sua posizione sociale – la ragazza
infatti non è altro che una semplice popolana. Fra i due viene a crearsi una
complicità particolare, fatta di sguardi e silenzi trascorsi vicini l’uno all’altro,
mentre miscelano e preparano colori.
È in questo clima che il pittore è
costretto, per una serie di incombenze, a iniziare “Ragazza con turbante”, il
ritratto di Griet.
Da dove incominciare? Il mio sospetto
iniziale si è rivelato fondato. “La ragazza con l’orecchino di perla” non è
incentrato sul quadro, né su Vermeer, e nemmeno sulla sua pittura. Principalmente,
è una storia d’amore.
Be’, se non altro mi sono tolta la
curiosità.
Non è che non abbia apprezzato questo
libro, in realtà l’ho letto molto in fretta perché, se c’è da dire qualcosa
sullo stile, è proprio che è scorrevole e facile da leggere. Nonostante la
Chevalier si soffermi spesso su dettagli che, a dirveli, farebbero cadere le
braccia, non risulta mai noiosa o prolissa. Apprezzabile sicuramente il fatto
che si sia documentata su Vermeer e sull’Olanda del ‘600 – il che non è
semplice dato che le notizie su questo artista sono da sempre molto scarse.
Ciò che davvero non mi è piaciuto del
romanzo è stata la protagonista. Ora chiudete la pagina e mi mandate a quel
ridente paese, lo so. Ma questa volta non è il mio ribrezzo per i protagonisti
a parlare, è proprio un fatto oggettivo – ve lo giuro.
Tracy Chevalier |
Griet è una ragazza giovane, semplice,
una ragazza del popolo. Non viene detto ma quasi certamente è analfabeta, cresciuta
in un ambiente piuttosto povero e di certo superstizioso, come la stragrande
maggioranza dei popolani di tutto il mondo di quei tempi. Anche se suo padre
dipinge piastrelle non ha l’esperienza di qualcuno che dipinge un quadro. Ciò
che la figlia di un artigiano che disegna figurine stilizzate su ceramica può
recepire dell’arte deve essere una parte infinitesimale di ciò che si dovrebbe apprendere
per avere, se non buon gusto, un gusto almeno passabile. Nonostante tutto
questo Griet intuisce e ‘sente’ cosa il maestro vuole dire quando parla di
arte. Azzarda persino dei suggerimenti che vengono seguiti da Vermeer stesso e pensa
a dettagli come le luci in un dipinto e gli accostamenti di colore quando
persino la padrona, moglie dell’artista che vive con lui da anni, non ci bada
affatto.
Inoltre nonostante sia al suo primo
impiego e non abbia mai incontrato persone di un ceto sociale superiore al suo,
Griet comprende al volo come funzionano le cose in casa. Capisce subito chi
dovrebbe comandare ma non lo fa, chi desidera farlo ma non è capace, e chi lo
fa in secondo piano – e quindi a chi deve più rispetto. Impossibile, immagino,
che una ragazza ingenua e inesperta come Griet recepisca subito queste
sottigliezze. In partica è troppo furba per essere ciò che è, il suo
personaggio è contraddittorio, irreale.
Questa è la cosa che più mi ha
infastidita di tutta la narrazione. Soprattutto perché è basata su questi
giochi di potere, apparenze e sottili furbizie. Il che è un peccato, perché io
adoro le sottili furbizie e i giochi di potere. In mano ai personaggi che dovrebbero
usarli, però.
Di certo non è semplice trovare libri con le caratteristiche che ricerchi. Ma nemmeno impossibile, con un po' di sano "googlare".
RispondiElimina;-)
Un sorriso per la giornata.
^____^
Sì diciamo che ho già letto un paio di romanzi 'artistici' che mi sono piaciuti, che sappiano miscelare bene la parte romanzata con il tema dell'arte. Però in effetti sono piuttosto rari... purtroppo.
Elimina