lunedì 3 settembre 2018

Siedi e goditi il viaggio

Lo so, ho appena scritto un post sul viaggio a Parigi e adesso, a giudicare dal titolo di questo, ve ne voglio propinare un altro. Ma questa volta è diverso, questi sono viaggi letterari.
Come già accennato ho faticato a leggere in questi ultimi mesi, ma ci sono alcuni dei pochi libri che ho letto che mi hanno trasportata. E in queste settimane in cui si fanno i conti su come sono andate le vacanze, io vi racconto dei viaggi supplementari che ho fatto seduta sul divano!

Non so a cosa sia dovuto, ma ci sono libri profondamente legati al luogo che raccontano. Magari non tanto per la trama, che potrebbe benissimo svolgersi altrove con minime differenze, ma soprattutto perché l’autore sembra amare quel luogo.
Penso sia questa la differenza fondamentale, quando senti che un romanzo è scritto per appartenere a un determinato posto. Lo leggi, e mentre lo leggi ti rendi conto che i personaggi, l’atmosfera, le sensazioni, non sarebbero le stesse, non funzionerebbero, se il romanzo fosse ambientato altrove. Penso che sia perché l’autore sente profondamente quella città o quel paese, lo ha vissuto e apprezzato, e forse il romanzo che stiamo leggendo non è tanto una storia quanto il risultato di un profondo legame con quel luogo.
E quindi eccoli, i romanzi che mi hanno fatta viaggiare!

American gods – Neil Gaiman
Fin’ora di Gaiman ho letto solo storie per bambini e, anche se questo romanzo l’avevo in wish list da tempo immemore, a farmi decidere una volta per tutte è l’aver visto la prima stagione della serie tv, che più che una storia è un capolavoro di fotografia, quasi un’opera d’arte! (La consiglio, si vede?) Questo è il primo romanzo “per grandi” che ho letto di questo autore, e adesso che conosco questo lato del suo stile non lo lascerò andare mai più.
Può sembrare scontato che un libro con già nel titolo ha la parola ‘America’ sia effettivamente legato all’America, eppure io ci ho trovato più di un semplice legame dovuto alla trama. Per forza di cose è ambientato negli Stati Uniti, ma come già detto non basta che una storia sia ambientata in un determinato posto per sentirlo, quel posto.
Io non simpatizzo per gli USA, come a volte sento fare a qualcuno, come se fosse ancora la terra promessa dell’inizio del secolo scorso. Penso che sia un paese molto diverso dal nostro, con molte possibilità e molti difetti, come tutti i paesi immagino. Eppure con “American gods” mi sono ritrovata a scoprire un aspetto che comprendo e sento di più.
La trama è molto fantasy e neanche per sbaglio parla di come si vive negli Stati Uniti, ma pone l’accento sulle migrazioni avvenute per secoli in queste terre. Forse è per questo motivo che la storia mi ha presa così tanto, perché l’idea che l’America e il suo popolo come lo conosciamo oggi si sia formato tramite migrazioni in fondo è il concetto che a noi Europei arriva per primo. Forse anche all’autore, che è inglese, questo concetto affascina, anche perché tutto si basa sul fatto che gli uomini, viaggiando, hanno portato con loro il proprio credo: i propri dèi.
“American gods” non è quel libro che consiglierei a tutti, perché non sempre è di facile lettura e deve anche piacere il genere per goderlo appieno. Tuttavia è una di quelle storie che vorrei tutti leggessero, perché vi ho trovato dei passaggi di delicatezza e intensità incredibili.

Fair play – Tove Jansson
Quest’anno per il mio compleanno io e Il Fidanzato siamo andati un giorno a Camogli (mi sogno ancora il fritto misto e la focaccia al formaggio!). Mentre passeggiavamo siamo passati vicino a una libreria con i romanzi esposti e, dato che se c’è una libreria indipendente io ci devo entrare per forza, allora ci siamo entrati. Il Fidanzato ha colto l’occasione per un ulteriore regalo, punzecchiandomi affinché scegliessi un libro. La scelta è caduta su questo romanzetto sottile, edito da Iperborea, che si è rivelato più complesso di quanto immaginassi.
Tove Jansson era finlandese e, dopo aver letto questo libro, penso che amasse i paesaggi della Finlandia o, più in generale, del nord. La trama del romanzo è praticamente inesistente, sono stralci di vita di una coppia di donne ormai quasi anziane, due artiste che vivono su un’isola e che condividono una casa, il loro tempo, le loro idee e delle abitudini rassicuranti. Spicca la personalità delle protagoniste, perché è grazie a loro se la storia prende corpo. Personalmente io ho trovato anche un altro protagonista in “Fair play”. Il luogo dove si svolgono gli eventi.
Un’isola quasi del tutto disabitata, incantata di quell’incanto che hanno le terre aspre, in cui vivere non è così semplice, ma non per questo non priva di fascino. Nelle descrizioni del mare, delle nebbie, dei temporali, che pur non erano il punto focale del romanzo – per niente – avrei voluto essere lì. In mezzo al freddo e alla tempesta, ad ascoltare le assi del soffitto che scricchiolavano, guardare fuori dalla finestra e vedere il mare in tumulto, ascoltare l’ululato del vento e attendere il mattino dopo per ritrovare la calma e il paesaggio freddo di fronte agli occhi.
Non c’è un motivo particolare per cui “Fair play” non potrebbe essere ambientato in un altro luogo. Ma, di fatto, non potrebbe esserlo.

La banda di Asakusa – Yasunari Kawabata
Ho un debole per il Giappone. Ma non come ce l’ho per Parigi, ho un debole per tutto il Giappone! Per le tradizioni che convivono con il progresso incalzante, per la frenesia delle grandi città e la pace delle campagne, per le abitudini così diverse dalle nostre. Mi piace che in Giappone facciano alcune cose con calma, come se fossero sempre alla ricerca della pace interiore, e mi affascina che ne facciano altre in tutta fretta ed efficienza, fino all’esaurimento nervoso. Mi piacciono i film delicati e malinconici, e gli anime che passano metà puntata a gridare (aMMori del momento: “Attacco dei giganti” e “My hero academia”). In parole povere, del Giappone mi piacciono le sue contraddizioni.
Non ricordo come mai ho sentito parlare di questo romanzo ma, leggendo che era ambientato in un quartiere di Tokyo, mi sono incuriosita e l’ho letto. Nonostante la mia fascinazione, infatti, non ho mai trovato un autore giapponese che mi piacesse davvero (ho letto la Yoshimoto, Ito Ogawa, Murakami e ho ancora da leggere il recente nobel Kazuo Ishiguro).
Almeno fino ad ora.
“La banda di Asakusa”, a differenza dei romanzi di cui vi ho parlato prima, ha una reale relazione con la trama. Infatti l’autore si era prefissato proprio di scrivere un romanzo ambientato ad Asakusa, un quartiere di Tokyo molto antico nel quale aveva vissuto per tanti anni. Non definirei questo libro un romanzo, ma penso di non aver mai letto una dichiarazione d’amore ad un luogo, prima. Yasunari Kawabata rende Asakusa alla stregua di una persona, delinea infatti non solo la geografia e la storia del quartiere, ma anche le sue peculiarità, i difetti, le brutture e le bellezze, in un susseguirsi di vicende che a volte diventano flusso di pensiero, ragionamento, e poi tornano racconto e poi di nuovo flusso.
Ho trovato splendido il fatto che un autore abbia scritto così tanto su questa piccola città nella città. Trovo sempre bello quando un artista comunica il proprio amore per qualcosa di inaspettato come un quartiere cittadino.

7 commenti:

  1. Dei libri che hai citato ho letto solo American God e, sì, è uno di quei libri che è stato a tutti gli effetti un viaggio, tanto che ne ricordo più l'atmosfera che i fatti.

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    1. Forse perché i fatti, a ben guardare, non sono così tanti. Molti capitoli sono slegati fra loro, come se fossero lunghi aneddoti, e alla fin fine quel che succede si può riassumere in poche parole. Però il bello, in effetti, sono le atmosfere che si vengono a creare, che non riesco a incasellare in nessun genere di romanzo - il che non va letto in senso negativo, anzi!

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  2. ah beh, se parli di "viaggi letterari" sfondi uns porta aperta! Tra i viaggi letterari, viaggi anche nel tempo e bstticuore letterari non so più che fare. dovrei cambiare io ma nion so come fare.

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    1. Io invece non smetterò mai! xD
      Se c'è una cosa che, sono sicura, mi è capitata per caso ma è stata una vera fortuna, è questa: la passione per la lettura e le storie.
      A volte mi sembra strano che le persone non riescano ad appassionarsi a una bella storia, che sia un film, un romanzo, una serie. Però conosco gente che ha altri interessi e a sentire i miei non si emoziona affatto. Tuttavia non cambierei la mia passione per nulla al mondo :D

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  3. Ciao ma che bello questo blog ti ho appena scoperta per caso e sono diventata subito una tua lettrice fissa :-)
    Se ti va di passare da me io sono Il salotto del gatto libraio

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  4. Grazie mille! Vado subito a dare un'occhiata al tuo (già il titolo non mi dispiace) :D

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  5. https://appuntidiunalettrice.blogspot.com/2018/05/ilmaggiodeilibri-la-liberta-di-leggere.html

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