lunedì 29 agosto 2011

Non si muovono

Non avvezza ai teatri e non dotata di un teatro a basso costo e alto rendimento nella mia città, ho iniziato a leggere “Aspettando Godot”, la tragicommedia di Samuel Beckett, al posto di guardarmelo a teatro.

Samuel Beckett

Ho riscontrato subito la differenza che c'è con “Novecento” di Alessandro Baricco, l'unico altro testo teatrale che abbia mai letto. Quest’ultimo, dominato dal monologo più che dalle azioni, è più semplice da capire, è solo una storia - una magnifica storia. “Aspettando Godot” invece è ricco di azioni dei singoli personaggi, e per me immaginarli a compiere quelle azioni è stato complicato, più che altro perché non sono abituata allo stile del copione teatrale.
Quindi, con me, questo libro parte subito svantaggiato, ma nonostante questo non riesco a smettere di leggerlo perché, paradossalmente, anche se stiamo solo aspettando, succede sempre qualcosa che sembra un preludio al cambiamento, come se di lì a poco qualcosa dovesse accadere. Come se le nostre vite, o le vite dei personaggi Estragon e Vladimir (uso i nomi in inglese perché il suono dei foni di Estragone e Vladimiro mi fanno rabbrividire), dovessero essere rivoltate come un guanto. E’ notevole da parte dell’autore, dato che, effettivamente, non accade niente di niente in questa storia. Dando inizio ad un cambiamento - anzi, neanche: dando la speranza di un cambiamento - Backett ci obbliga a tenere gli occhi su quel copione, finché la nostra speranza si affievolisce di nuovo ma lui, al punto giusto, dà una nuova spinta, ed è con questa furbesca azione che ci manda fino alla fine della storia. A spintarelle.
Da qui il tema dell’immobilità. Più volte i personaggi vogliono andarsene, vogliono smetterla di aspettare Godot, perché l’attesa li logora nella sua incertezza, nella noia e anche nell’inferiorità in cui ci pone il semplice fatto di stare aspettando qualcuno che non sappiamo chi sia né se verrà. «Io me ne vado», direbbe Estragon. E non si muoverebbe di un millimetro. Questo è in un certo senso frustrante, perché quell’uomo è immobilizzato, sia nel corpo che nella mente. Nel corpo perché anche se vuole andare ma non riesce ci reisce, a fuggire da quel deserto. Nella mente perché lui, assieme a Vladimir, aspettano Godot e non sanno fare altro, non possono fare altro e non faranno altro, con molte probabilità. Da quanto lo aspettano? Non lo sanno nemmeno loro. E’ frustrante perché sono impotenti. Imprigionati nell’attesa, che è nulla. Imprigionati quindi nel nulla.
Mi hanno colpita Lucky e Pozzo, anche se non riesco a capire cosa esattamente siano, o meglio, di chi o cosa siano simbolo. Perché se Godot è un piccolo Dio, e Vladimir ed Estragon sono tutti noi, chi cavolo sarebbe Lucky? Con quella corda al collo e la carne spellata via? Intendiamoci, non mi sono piaciuti come personaggi, anzi la loro situazione, quella del padrone e del servo, mi ha fatto ribrezzo. Suppongo che sia giusto così, che ci si debba sentire in quel modo di fronte a tanta violenza cruda, e come di solito accade con la violenza cruda, non si riesce più a scordarla. Purtroppo.
Mi ha stupito il fatto che la paura di Lucky per Pozzo sia poi stata abilmente ribaltata, e Lucky venisse trattato come un uomo crudele, e per quello era tenuto legato e sotto controllo. Nonostante all’inizio si possa credere che Pozzo ha indotto con le parole Vladimir ed Estragon a credere di essere vittima, con un grande discorso e una grande disperazione, poi ne vengono fatti degli accenni che non permettono al lettore di smettere di pensarci, a questa situazione poco chiara. E allora chi è la vittima? Chi è davvero fra i due il cattivo? Questo fatto mi ha destabilizzato, come d’altronde i due personaggi avevano già fatto alla loro entrata in scena. Credevo di averli inquadrati, e poi invece la situazione si è ribaltata, e allo stesso tempo non si è ribaltata. Perché quello che continua ad essere legato è Lucky, ma quello che è in soggezione e spaventato è Pozzo - e ha paura di un uomo in catene, cosa quanto mai strana.
Il secondo atto poteva essere una scomoda ripetizione di cose già dette e già viste: ci sono ancora Vladimir ed Estragon, ancora aspettano Godot, ancora vicini a quell’albero e ancora non sanno cosa fare per passare il tempo. Arrivano addirittura Pozzo e Lucky… di nuovo. Ma stavolta la situazione appare diversa, e con un Pozzo cieco ho imparato a non avere troppa pena per Lucky. Non che non sia penoso, intendiamoci, ma perché sono tutti quanti talmente fuori di testa che non ha senso dispiacersi per loro: sembra che nemmeno sappiano cosa succede.

Pozzo e Lucky

A dir la verità non so che pensare di questo libriccino. E’ davvero, davvero strano. Credo che il fatto di aver studiato Backett e di sapere di cosa parla effettivamente la storia mi abbia aiutata parecchio perché, diciamocelo, altrimenti non avrebbe avuto un senso. Almeno, non per me. Ha reso perfettamente l'idea di aspettativa della vita umana, l'idea della speranza che, prima o poi, accada qualcosa. E' un po' pessimista nel constatare che, invece, non succede un bel nulla. Ma io non voglio credere che sia tutta un'attesa senza speranza.

Citazioni preferite:

VLADIMIRO:

Un cane andò in cucina
E si accostò al fornello.
Allora col coltello
Il cuoco lo sgozzò.

Ciò visto, gli altri cani
Scavarono una fossa
E sulla terra smossa
Scrissero con la coda:

Un cane andò in cucina
E si accostò al fornello.
[…]


VLADIMIRO: Ho forse dormito mentre gli altri soffrivano? Sto forse dormendo in questo momento? Domani, quando mi sembrerà di svegliarmi, cosa dirò di questa giornata? Che col mio amico Estragone, in questo luogo, fino al cader della notte, ho aspettato Godot? Che Pozzo è passato col suo facchino e ci ha parlato? Certamente. Ma in tutto questo quanto ci sarà di vero? Lui non saprà niente. Parlerà dei calci che si è preso e io gli darò una carota. A cavallo di una tomba e una nascita difficile. Dal fondo della fossa, il becchino maneggia pensosamente i suoi ferri. Abbiamo il tempo di invecchiare. L’aria risuona delle nostre grida. Ma l’abitudine è una grande sordina. Anche per me c’è un altro che mi sta a guardare, pensando. Dorme, non sa niente, lasciamolo dormire. Non posso più andare avanti. (Pausa) Che cosa ho detto?"

1 commento:

  1. Che bello questo post. Non mi era mai capitato di leggerne uno in cui qualcuno, spinto dal semplice desiderio di leggere qualcosa di nuovo, si accosti alla drammaturgia, e di Beckett poi, per capirne i meccanismi. Brava, hai colto alcuni punti nodali di questa opera mirabile.
    Il teatro moderno, e molto di questo teatro è già "classico", si focalizza sull'interiorità, il nulla nel quale l'uomo contemporaneo vaga alla ricerca di se stesso. L'attesa è una non-attesa, in effetti.

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