Non saprei dire da quando ho la passione
– mania – per la lettura. Direi da
sempre, da quando ho imparato a leggere all’età di cinque anni, con il librone
di “Hercules” della Disney, che lanciavo dall’altra parte della stanza quando
non riuscivo a capire una frase. Mia madre era contenta di comprarmi libri (non
ugualmente felice di vedermi scagliarli contro il muro, ma è una fase che con
sua somma allegria ho superato presto), perché diceva che così avrei passato
meno tempo davanti alla televisione.
Da bambina i miei genitori mi spingevano
a fare quello che più mi piaceva e, sebbene fossero confortati del fatto che mi
piacesse leggere, non era per loro una priorità che io diventassi una
divoratrice di libri. Anzi, quando fui più grande erano sinceramente
preoccupati del dispendio di denaro e di spazio che i miei libri causavano.
Rimane il fatto che leggo sin da quando
ero piccola e ci sono dei libri che sono stati molto importanti per me, ai
quali guarderò sempre come i libri della mia infanzia.
Dopo aver letto il sopracitato
“Hercules”, che non ho mai tenuto in considerazione perché era più immagini che
parole, il primo ‘libro vero’ che ho mai letto è stato “Matilda”, di Roald
Dahl. Ero molto fiera di averlo letto, perché era un libro come quelli che
leggevano i grandi. Sì c’erano le
figure, è vero, ma c’erano anche un sacco di pagine senza nemmeno una figurina
piccina picciò, e poi i disegni non erano nemmeno a colori, che diamine!
Credo che “Matilda” mi piacque tanto
perché era uno di quei personaggi in cui mi potevo immedesimare, ma allo stesso
tempo aveva delle caratteristiche per cui volevo assomigliarle. Tanto per
cominciare anche io ero una femmina, e non sia mai che a cinque anni preferissi
un libro con un protagonista maschio perché «che schifo i maschi!»
A parte
questo io e Matilda ci assomigliavano parecchio perché leggevamo tutte e due un
sacco, ma avere anche dei poteri e combattere presidi malvagie non mi sarebbe
dispiaciuto neanche un po’.
Pian piano si insinuò in me l’idea che
leggendo tanti libri come Matilda, anche io avrei vissuto avventure
straordinarie come lei. Magari è per questo che ancora non smetto di leggere:
sto ancora aspettando di venire catapultata in un universo parallelo mentre
faccio la mia sessione di jogging, o di venire rapita dagli alieni durante la
pausa pranzo, di incontrare eccentrici personaggi quando faccio la spesa o,
semplicemente, delle creature sovrannaturali nascoste fra colleghi e amici.
Cose così, no? Prima o poi mi capiterà, lo so!
A proposito di Matilda, vi informo, se
non lo sapete, che esiste un fantastico musical scritto da Tim Minchin.
Chiaramente non arriverà mai qui in Italia (se ci hanno messo cinque anni a
portare “Gli studenti di storia” di Alan Bennet che è una normale pièce
teatrale, non vedo come potrebbero adattare delle canzoni in maniera soddisfacente
e in tempi rapidi), per cui ho già deciso che per la mia prossima visita a
Londra una tappa al musical di Matilda è d’obbligo. Intanto vi lascio con una
delle canzoni che mi piacciono di più: “When I grow up”.
Un altro libro che è stato importante
per me è “Il mago di Oz”, di Frank L. Baum. Le mie maestre me lo regalarono in
quinta elementare dopo l’esame. Ne regalarono uno diverso a tutti quanti, e a
me toccò quello. Purtroppo lo avevo già letto perché mi era stato regalato da
qualcun altro, ma non ne feci parola con loro ovviamente.
Ancora oggi ho quel libro e quando una
volta mi è capitato di fare una scernita dei libri che volevo tenere per fare
spazio fra i miei scaffali (i poveri scartati sono finiti in biblioteca, ma gli
scaffali sono stati felici perché si stavano piegando per il peso!) ho scelto
di tenere quello delle mie maestre.
Una delle cose belle dei libri è che non
solo regalano la loro storia in sé, ma possono anche portare ricordi su un
periodo o un episodio della nostra vita.
Pietra miliare delle mie letture di
bambina è “Harry Potter e la Camera dei Segreti”. Apposta non cito tutta la
saga perché il secondo volume è stato il primo che ho letto, seguito poi dal
primo e infine dal terzo, dopo il quale sono andata in ordine. Una delle mie
zie non sapeva che fosse il secondo di una serie, sapeva solo che in molti ne
parlavano, così decise di regalarmelo.
La cosa buffa è che all’inizio lo
odiavo, faticavo davvero a leggerlo! Nel primo capitolo c’era questo ragazzino
che veniva maltrattato dai suoi zii, e venivano nominate cose a me
incomprensibili, come Hogwarts, Piton («Che cosa cavolo è un Piton?!», mi
chiedevo indignata) e Cappelli Parlanti. A invogliarmi a leggere fu mio papà,
che evidentemente non voleva sprecare così l’opportunità per tenermi per un po’
impegnata con un bel libro. Mi bastò resistere fino all’apparizione dei
fratelli Weasley su una macchina volante, dopodiché fui totalmente convinta
della validità di Harry Potter. Come resistere, d’altronde, ai Weasley?
Con Harry Potter mi sono affezionata per
la prima volta ad una storia e ai suoi personaggi.
L’unica cosa non così poetica che mi ha
lasciato è una frase che è diventata un detto di famiglia. Ogni volta che da
piccola qualcosa non mi piaceva – dai libri, al cibo, alle persone – mio papà
mi convinceva almeno a provare a farmeli piacere, prendendo come esempio il
fatto che prima odiavo Harry e poi l’ho amato, e diceva sempre: «Ricordati di
Harry Potter!» E me lo ha ripetuto talmente tante volte che ora tutti in
famiglia conoscono questa frase.
Ogni tanto la dice ancora…
Per qualche motivo che non ricordo,
quando andavo ancora alle elementari entrai in possesso di “Strega come me”, di
Giusi Quarenghi. Non mi ispirava per niente e di fatto lasciai lì il libro a
prendere polvere sul comodino (o meglio dietro il comodino, sotto il comodino,
come tassello per non far traballare il comodino!) per parecchio tempo.
Un giorno mi colpì la terribile
maledizione del lettore, che ogni tanto capita al lettore distratto, o troppo
impegnato, o a quello che è ancora economicamente dipendente dai genitori, come
ero io all’epoca: ero rimasta senza
niente da leggere. Fui colta prima dalla noia, poi dalla disperazione,
infine dalla rassegnazione. Sarei stata costretta a giocare con le Barbie per
un sacco di tempo, cavolo! Infine, i miei occhi caddero sul volumetto che stava,
appunto, sotto al comodino e, in mancanza di altro, con un’alzata di spalle
iniziai a leggerlo.
Nemmeno dieci pagine e già mi domandavo
se anche io avrei potuto frequentare un collegio per streghe. Ricordo che
risposi al questionario che c’era in mezzo al libro, che riguardava i requisiti
per entrare a far parte del collegio, ma con mio grande scorno scoprii di non
averne nemmeno uno. Il disappunto durò poco comunque, perché il libro era
troppo bello per perdere tempo a pensare che, uffa!, non ero una strega.
“Strega come me” è stato il primo libro
che mi ha sinceramente stupita, e da allora ho imparato a dare una chance ai
libri che mi finiscono fra le mani praticamente per caso. C’è sempre la
possibilità che diventino alcuni dei miei libri preferiti.
Da allora, il mio comodino traballa.
Durante le vacanze di Natale, un anno,
andai a trovare dei parenti in campagna e, dato che sapevo che d’inverno non
c’era molto da fare lì (nessuna possibilità di correre su e giù per le colline,
né di mangiucchiare l’uva dalle viti o di fare a gara a chi lanciava le mele
cadute dall’albero più lontano, insomma, una vera noia!), portai con me un
libro.
Fu una saggia decisione. Intanto, perché
non c’era davvero molto da fare. E poi perché “Gelsomino nel paese dei
bugiardi”, di Gianni Rodari, divenne subito uno dei miei libri preferiti.
Oltre alle illustrazioni, che erano
bellissime, aveva dei personaggi davvero incredibili di cui ora purtroppo mi
sfugge il nome. So bene che c’era un gatto fatto di grafite che inneggiava alla
rivoluzione scrivendo slogan contro il re lungo le strade, e che il re in
questione altri non era che un pirata calvo che indossava bellissime parrucche.
La cosa che mi piaceva di più del libro
era che nel paese dei bugiardi tutti dovevano parlare e comportarsi al
contrario. Se volevi il pane dovevi andare dal cartolaio e se volevi della
carta dal panettiere. I somari venivano premiati e gli studenti diligenti
puniti, e per fare un complimento si doveva dire: «Hai una bella faccia da
schiaffi!»
Questo è un libro che consiglio a tutti
i bambini.
Direi
che ho finito con i libri della mia infanzia. Sicuramente ce ne sono molti
altri che ora non mi vengono in mente, ma direi che questi, se me li sono
ricordata subito, sono di certo i più belli.
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