lunedì 4 giugno 2012

22/11/'63 - Stephen King

   Raramente gli autori di best seller mi hanno attratta, oppure quando lo hanno fatto mi hanno delusa (ad esempio Dan Brown; già all’età di tredici anni ero abbastanza rompipal- critica da capire che “Il codice Da Vinci” era un po’ una boiata, ed era pure noioso secondo me). Ora sto più attenta a comprare il best seller dell’anno, o se lo faccio prima mi leggo diverse recensioni in merito.
   Stephen King, ecco, non è l’ultimo arrivato, infatti ogni suo ruttino letterario vende milioni copie, ergo sono best seller, ergo li dovrei guardare con sospetto. Tuttavia c’è un libro proprio di King che ho smniato per avere per mesi interi.
   Cacchio, ultimamente tutte le volte che inizio una recensione è una cosa del tipo “Di solito non compro questo tipo di libri, ma ora l’ho fatto perché bla bla bla”. Forse dovrei ponderare di più…

   Motivi per cui non ero certa di comprare l’ultimo ruttino di King:
   Uno. L’unica volta che ho provato a leggerlo (mi pare fosse “Il gioco di Gerald”, solo perché non avevo nient’altro da leggere) mi ha schifato e da quel momento ho voluto cancellarlo dai miei ricordi.
   Due. Il libro conta quasi ottocento pagine, e se non mi fosse piaciuto mi sarei sentita in colpa ad abbandonarlo.
   Tre. Ultimo, ma non meno importante motivo: il prezzo. Circa 25 euri da sborsare, infatti, per ‘sto libro, che se fossero stati sprecati sarebbero significati grossi rimpianti per almeno tre settimane.

   Quindi come mai alla fine l’ho comprato? Ah boh, non lo so, di sicuro è stato anche grazie allo spacciatore di libri che me lo ha venduto a metà prezzo (ebbene sì: lo comprai in una bancarella. Fuck yeah!).


La trama
   Credo di non aver mai scritto la trama di un libro così lungo. Facciamo che mi dò il limite di una pagina, altrimenti rischiamo che questa recensione sia kilometrica. Ce la farò? Stay tuned.

   Jake Epping è un insegnante di inglese sui quaranta, divorziato da una moglie ex alcolista, e senza figli. Queste sono le caratteristiche che portano il gestore della tavola calda “Al’s”, Al Templeton, a sceglierlo come uomo giusto al momento giusto per la missione che aveva in mente da anni: tornare nel passato e salvare J. F. Kennedy dall’attentato che lo uccise, a Dallas, il 22 Novembre del 1963.
   Nella cantina del bar di Al c’è un passaggio che sbuca nell’Agosto del 1958. Si può comodamente fare avanti e indietro, come Al ha fatto per molto tempo, comprando carne di ottima qualità a prezzi stracciati, e per quanto tempo si passi nella cosiddetta Buca del Coniglio, che porta sempre nello stesso posto allo stesso momento, nel 2011 saranno passati solo due minuti.
   Al Templeton si è ammalato di cancro al polmoni ed è chiaro che morirà di lì a qualche mese, così Jake accetta di tornare indietro nel tempo. Dopo una serie di prove (un viaggetto nel ’58 di qualche mese - ma sì, per provare se mi piace!) e ripensamenti Jake passa oltre la Buca del Coniglio, deciso a uccidere Lee Harvey Oswald, l’assassino di John F. Kennedy.
   Il problema di fondo, principalmente, è che il corso degli eventi ha una sua certa plasticità. Al passato non piace essere cambiato, e ogni volta che Jake prova a cambiare qualcosa sembra che la mala sorte si accanisca contro di lui. Quando prova a salvare un amico del 2011 da un incidente che, da bambino, lo lasciò senza famiglia e zoppicante, ha la riprova di questo, e così decide di studiare il più possibile le mosse di Oswald per ucciderlo qualche mese prima che lui uccida Kennedy, assicurandosì così al tempo stesso che Oswald sia l'unico colpevole.
   Nel frattempo si stabilisce vicino a Dallas, in Texas, e, per dirla alla Stephen King, «fu in quel momento che smisi di vivere nel passato e iniziai a vivere e basta». Trova un lavoro come insegnante e una fidanzata. Gli anni passano, e Jake (sotto il nome di George Amberson) comincia a pedinare Lee Harvey Oswald per assicurarsi che non agisca per conto di terzi, e per decidere quale sarebbe il momento giusto per ucciderlo.
   La data fatidica si avvicina ma, per una serie di sfighe dovute al passato plastico, Jake si ritrova assieme a Sadie, la sua ragazza, lo stesso 22 Novembre a dover salvare il presidente. Il piano riesce, ma Sadie rimane uccisa.
   Jake decide di tornare indietro e ricominciare tutto daccapo, con l’intenzione di salvare la vita di Sadie, ma quando torna nel 2011 scopre che il futuro nel quale Kennedy è sopravvissuto è molto peggio di come aveva sperato: malattie infettive, terremoti, Riunioni dell’Odio e chi più ne ha più ne metta. L’unica cosa da fare, a quel punto, è tornare nel ’58, facendo in modo che tutto ricominci daccapo, e non cambiare nulla. Così fa Jake, e rinuncia all’amore di Sadie, tornando definitivamente nel 2011, un tempo nel quale Sadie ha ottant’anni e si ricorda di lui come in una sorta di déjà vu, senza poter più tornare indietro, dato che la cantina dove sorgeva la Buca del Coniglio sarà distrutta di lì a un mese.

Tutto il resto
   Non riesco a separare in comparti stagni ogni cosa, o almeno, non sempre, anche se il mio cervellino lo vorrebbe. In questo caso non c’è un comparto “Personaggi”, né quello dello “Stile”, perché questo libro mi ha emozionata tanto che provare a fare una recensione tanto inquadrata sarebbe inutile.
   Alla fine, anche contro tutti i miei pregiudizi, Stephen King mi è piaciuto. Sto addirittura pensando se non è il caso di leggere qualcos’altro di suo. Come sempre, ogni consiglio è bene accetto (ma regolatevi sul fatto che ho amato questo libro e odiato “Il gioco di Gerald”).
   Da un po’ non mi capitava di leggere in ogni singolo momento: sull’autobus, prima di dormire, mentre facevo colazione se ero da sola, nel tragitto stanza/salotto facendo le cose con una mano sola… awww!, che magici momenti quando rovesci metà scrivania ma la tua mente è dentro le pagine di un libro, in questo caso, nel 1958.

   Partiamo dalla considerazione più semplice: stile godibilissimo. Divertente (in alcuni momenti ridevo da sola, sul serio), leggero, nonostante le varie spiegazioni politiche e fantascientifiche che il caso richiedeva, romantico e a tratti d’azione. Non ho idea di come tutti questi elementi si mescolino in maniera tanto armonica, ma lo fanno.
   La mia parte preferita è stata senza dubbio quella che lascia da parte tutte le faccende politiche e fantascientifiche, la parte più romanzesca ecco. Ho adorato la storia d’amore fra Jake e Sadie (anche se dico sempre il contrario, le storie d’amore mi piacciono), gli alunni e i dipendenti della scuola di Jodie, gli spettacoli che mettevano in scena. Mi ha emozionata moltissimo, più delle parti d’azione (e soprattutto più della parte subito dopo l’attentato a Kennedy, che in realtà ho trovato noiosa, anche se credo fosse necessaria).
   La fine, invece, mi ha devastata. Non tanto per il 2011 catastrofico, a quello ero persino in parte preparata – è come se fosse la morale della storia, no?: "non cerchiamo di cambiare cose che non possono essere cambiate, alla fine si può essere felici anche così". No, la cosa che più mi è dispiaciuta è che Jake ha dovuto lasciare Sadie. Sì, certo, l’ha rincontrata nel 2011, ma, oh, una piccola pecca: lei ha ottant’anni e non si ricorda di lui.
   In alcune parti mi è addirittura venuto un groppo in gola. Era un groppo da “non è giusto, però!”. Avrei voluto andare da Stephen King e chiedergli di trovare una formidabile soluzione a tutto.

   Be’, avrete capito ormai qual è il mio verdetto: approvato al 100%! Anche con il finale che vorrei cambiare perché, nonostante io voglia con tutta l’anima che finisca in modo diverso (ecco perché la gente scrive fanfiction!), non è un brutto finale, fatto male, di quelli che li vedi che sono stati lanciati lì perché, prima o poi, il libro doveva finire! No, in un certo senso è giusto che finisca così. Purtroppo.
   Per di più, oltre a tenere il mio naso incollato alle pagine, questo libro mi ha fatta soffrire di tachicardia: ogni volta che succedeva qualcosa di emozionante il cuore mi batteva più forte.

Poche note intelligenti
   Ci sono persino delle osservazioni critiche davvero oggettive da fare su questo romanzo, nonostante la mia recensione fatta con il cuore in mano.
   Prima di tutto, apprezzo veramente moltissimo il lavoro di ricerca che Stephen King ha fatto per scrivere questo romanzo. Perché l’ha fatto(a differenza di molti autori), e si vede. Insomma, viene fuori come si viveva davvero nei primi anni ’60 in America, senza nessun “sparo a caso perché tanto sarà stato così”. Anche questo ha contribuito a rendere il libro più affascinante.
   Altra cosa che ho apprezzato: anche se non hai la più pallida idea di cosa sia successo a Dallas nel '63, non importa, perché tutto ciò che devi sapere lo spiega nel libro, senza risultare, per altro, noioso o prolisso. Insomma, non è come leggere il manuale di storia.


   Chissà se un giorno, fra cinquant'anni, qualcuno scriverà un libro nel quale qualcuno torna indietro nel tempo per uccidere Barack Obama e vedere che cosa cambierà nel futuro?

Nessun commento:

Posta un commento

Ogni commento sarà bene accetto!
Grazie dell'attenzione e del tempo dedicatovi.