Come sempre quando c’è da recensire un
libro molto discusso sono incerta e un po’ titubante. Se ne dicono talmente
tante e il pensiero è stato talmente influenzato (il mio, poi, che vado a
leggere recensioni da ogni parte, pfff!, figuriamoci) che dire qualcosa di
nuovo o interessante è complicato. E come sempre io arrivo dopo, mooolto dopo.
Per quanto riguarda “Il canto della rivolta” pensate che lo avevo
in libreria da Luglio e non lo volevo leggere. Un po’ perché ho sempre
preferito i film per svariate ragioni (accaniti fan del libro, non uccidetemi),
un po’ perché non volevo che la trilogia finisse – che poi è la stessa ragione
del perché ci ho messo cento anni a finirlo e altri cento per scrivere la
recensione.
Non credo ci sia bisogno di fare un
riassunto del libro, per quella piccola fetta che non lo ha ancora letto
comunque sappiate che questo commento non è esente da spoiler.
Per quanto riguarda lo stile non mi
dilungo: semplice, scorrevole, un libro per ragazzi come un altro. Non ci sono
picchi di poesia ma nemmeno strafalcioni giganteschi. Si adatta al pubblico cui
è dedicato.
Per quanto riguarda il resto, invece, ho
parecchio da dire.
Una delle trovate più geniali della
Collins è stata l’esistenza del Distretto 13. Senza la sua esistenza nessuno
dei ribelli avrebbe potuto effettivamente combattere una rivolta. Sebbene ne
avessero le motivazioni appaiono piuttosto spersi e ancora restii per un passo
del genere. Il Distretto 13, con la sua organizzazione meticolosa, quasi
maniacale e totalmente finalizzata alla guerra, è ciò che permette alla
scintilla di divampare dopo che questa è scoccata.
Ho letto in giro di commenti del tipo:
«Com’è possibile che i Distretti non si siano ribellati prima? Con tutto ciò
che Capitol City ha fatto loro, e contando che la città dipende interamente dai
Distretti per ogni piccola cosa, che ci voleva a ribellarsi?» A queste persone
dico che la loro è una critica senza senso. Una ribellione avviene quando il
popolo ne ha abbastanza, ma questo non significa che non debba raggiungere
situazioni veramente critiche. Pensate alla Rivoluzione Francese: la
popolazione è dovuta arrivare a morire di fame e di stenti e le classi non
nobili subire parecchie umiliazioni prima di decidere di ribellarsi, eppure
nessuno si chiede come mai non l’abbiano fatto prima.
Una cosa che non mi è piaciuta molto del
libro è stata la strategia militare – se così si può chiamare. Le motivazioni e
i modi per le quali i ribelli si muovono, militarmente parlando, sono poco
chiare. Durante tutta la narrazione non mi è mai stato chiaro il perché facessero
certe manovre piuttosto che altre, né che cosa ne guadagnassero se è per
questo. L’unico momento in cui tutto si è capito perfettamente è stato durante
la presa del Distretto 2. Il resto è nebbia.
Ho apprezzato molto i nuovi personaggi,
come Boggs e la Coin, e mi è piaciuto come altri siano stati approfonditi, ad esempio
Finnick e Joanna Mason.
In particolare però ho rivalutato Prim,
che si è guadagnata La Coppa del Personaggio Preferito. Nonostante sia
fisicamente debole e, in alcuni casi, solo fonte di problemi – se pensiamo che
se non fosse per lei i libri non avrebbero mai avuto inizio, in quanto Katniss
non si sarebbe mai offerta volontaria ai 74esimi Hunger Games! – in questo
libro capiamo che Prim è indipendente, decisa e ha un animo maturo molto più
forte di quello di molti altri personaggi.
Un altro che mi è piaciuto molto,
soprattutto per il suo cambiamento ben marcato e utile ai fini della trama, è
Peeta. Mi era sempre parso strano e sin troppo bello che Peeta fosse una
persona così buona, persino un po’ ingenua, nonostante gli orrori del mondo in
cui vive. Seppur sotto tortura, Peeta cambia interamente il suo modo di essere,
di pensare, di agire, di vedere il mondo e di reagire ad esso. Oltre ad essere
un elemento che detta legge nello svilupparsi della vicenda, il cambiamento di
Peeta è interessante anche per la storia d’amore fra lui e Katniss.
E, a proposito di Katniss, ho qualcosa
da ridire su di lei. Ovviamente, come in tutti gli altri libri, l’ho adorata
per essere un po’ antieroina, perché nonostante sia la protagonista si comporta
come se non volesse esserlo e interpone agli interessi di Panem i suoi e il
benessere delle persone che ama. È indisponente, capricciosa e anche un po’
arrogante, ma lima alcuni dei suoi difetti nel corso della storia, il che è un
bene perché il personaggio dimostra un’evoluzione ponderata nel tempo. Quel che
non mi convince è il suo stato psicologico.
Nel primo libro era, com’è ovvio,
determinata anche se impaurita e impreparata a quello che sarebbe successo. Nel
secondo gli strascichi dei primi Hunger Games le fanno avere degli incubi che
la fanno dormire male, e fin qui tutto comprensibile. Nel terzo libro, senza
spiegazioni, diventa all’improvviso psicopatica! Senza una ragione,
apparentemente. Tra la fine di “La ragazza di fuoco” e “Il canto della rivolta”
passano poco meno di un paio di settimane, settimane che per altro Katniss
passa al sicuro a guarire in infermeria nel Distretto 13. E allora perché
quando la vediamo diventa completamente fuori di testa?! Scappa davanti alle
rose, rifugge il contatto umano, ha attacchi di tristezza in cui piange e
attacchi di rabbia in cui se la prende con tutti. Non è che non sia
comprensibile il suo stato d’animo, ma non si capisce come mai sia diventata
pazza in maniera così improvvisa.
Suzanne Collins |
Non posso dire che questo sia il mio
volume preferito della saga di Hunger Games.
A livello di storia è perfetto, una
degna conclusione. L’unico difetto è forse aver voluto scrivere di così tanti
avvenimenti in un libro tutto sommato piccolo. Gli altri due libri erano
occupati da una sorta di introduzione, di preludio ai giochi, e poi dai giochi
stessi e basta. Qui scopriamo un nuovo Distretto, la ribellione comincia e
viene vinta dai ribelli, vediamo il principio di una nuova forma di governo e i
rapporti fra i personaggi cambiano completamente. Tutto viene sconvolto subito
e in fretta. Il risultato, secondo me, è piuttosto caotico e frettoloso.
Nonostante
questo ho apprezzato la trilogia di Hunger Games. Innovativa, appassionante e
senza peli sulla lingua. Le spetta un posto di tutto rispetto fra i miei
scaffali, anche se non sarà una delle mie preferite.
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