Oggi parlo un po’ dei fatti miei, ma
tranquilli che sono sempre comunque fatti ad argomento libresco e, se andate un
po’ più giù nel post, avrete l’opportunità di leggere anche una breve storia. Ora
che ho attirato la vostra attenzione con la promessa di una lettura (sono
manipolatrice, sì!) vi spiegherò meglio.
Qualche tempo fa avevo letto un post su un blog
molto carino che seguo e di cui forse avrete sentito parlare, “Dusty pages in
wonderland” (per andare sul blog, cosa che vi consiglio, cliccate qui). In collaborazione con l’autrice Valentina D’Urbano (per la sua pagina facebook cliccate qui) avevano indetto un piccolo concorso che mi aveva
incuriosita. In palio una copia del nuovo libro della D’Urbano, “Quella vita
che ci manca”, che ho prontamente ricevuto proprio pochi giorni fa. Per vincere
una delle cinque copie in palio si doveva inventare il finale di un piccolo
racconto, scritto proprio dall’autrice del libro, la cui fine era stata ‘tagliata’.
Ebbene ci ho provato e ci sono riuscita!
E la cosa che più mi ha entusiasmata è il fatto che il mio finale sia stato
considerato originale, e abbia vinto per quel motivo. Sarà anche un piccola
cosa, ma mi ha fatto immensamente piacere!
Vi lascio alla storia di
Valentina D’Urbano e ai suoi finali, qui sotto. Ho messo in evidenza dove la
storia era tagliata e inserito prima il finale originale e poi, più in basso,
il mio finale.
Buona lettura!
Il regalo di Natale
Di Valentina D’Urbano
Scende giù dal paese a folle velocità.
Il Cayenne ha lo stesso colore della neve intorno e sbanda e stride
sull'asfalto ghiacciato, ma lui quelle strade le conosce da quando è nato, non
lo tradiranno proprio adesso.
Corre come un invasato, come se stesse
facendo tardi al suo matrimonio.
Corre come avesse il diavolo attaccato
al culo.
Eppure non ha fretta.
È solo che la macchina è nuova e profuma
ancora di cellophan e plastica pulita, e non ha un graffio, è lucida, veloce.
E adesso, mentre corre a un appuntamento
per cui è già in ritardo, sa perfettamente che quell’auto se l’è guadagnata. E
vuole godersela.
Quella mattina quando il telefono ha
suonato e sul display è apparso il numero di lei, quasi non voleva crederci.
Con che faccia tosta richiamarlo, invece
di sparire e di trovarsene un altro.
Ma lei piangendo aveva detto che era di
lui che aveva bisogno, che un altro così non lo trovava, che nessuno si fidava
di lei per quell'aria che aveva, e invece lui lo sapeva che lei non era una
bugiarda, certo, qualche difetto ce l'aveva, però non era una bugiarda.
Stava male senza di lui, c'era un freddo
immenso senza di lui, un freddo che nessuna coperta poteva scacciare.
Vediamoci al solito posto, aveva
implorato lei piangendo e singhiozzando.
Le aveva fatto pena, era sempre stato un
tipo dal cuore tenero.
Va bene, aveva risposto. Ma è l'ultima
possibilità che ti do.
In fondo è quasi Natale, anche se lei
un’altra possibilità non se la merita affatto.
Ma a Natale sono tutti più buoni, anche
lui che è buonissimo tutti i giorni dell’anno, a Natale lo diventa ancora di
più.
Parcheggia l’auto su uno spiazzo deserto
di fronte a un parrucchiere e a un negozio di cartoleria, chiusi.
Si incammina a piedi giù per la strada
tortuosa, nel silenzio.
Pini innevati a destra, campi innevati a
sinistra, lui al centro della strada ghiacciata, sopra il cielo grigio che
promette altra neve, appena poco più giù una villetta solitaria, di quelle
costruite fuori dal paese, con un giardino anch'esso ricoperto di neve, uno
striminzito albero di natale che lampeggia di luci colorate e il triciclo
abbandonato sul vialetto, come nei film.
Guarda in alto verso le persiane chiuse.
Nessuno. Forse stanno dentro davanti
alla tv, forse partiti per le feste.
Prosegue ancora finché le case non
scompaiono, lasciando il posto alla strada provinciale.
Adesso c'è solo neve immobile e
frusciare di foglie bagnate.
Pensa che vorrebbe fosse estate, e
camminare su quella provinciale tra gli alberi verdi, e il verso degli uccelli,
e le cicale.
E poi pensa che quando d'estate percorre
quella strada vorrebbe fosse pieno inverno, con gli alberi innevati, quella
luce boreale e l'odore, l'odore della neve, che non tutti lo sentono, ma lui
sì, ti ghiaccia i polmoni, ti fa sentire solo, ma di una solitudine trionfante,
la solitudine degli eletti, di quelli che stanno in alto, quelli che hanno
conquistato la vetta graffiando la roccia con le unghie e scalciando nel vuoto.
È partito dal basso lui, venuto su dal
niente, come quelle piantine timide che tra qualche mese germoglieranno nel
ghiaccio.
Adesso, quella piantina nata nella neve,
cammina veloce e si stringe il Moncler color panna addosso, nell’eco irreale di
quel freddo.
E pensa a lei, a quella che sta andando
a incontrare.
Lei che lo prendeva in giro alle scuole
medie (sì, le avevano fatte insieme, poi però lei era andata al liceo classico
in città, e lui era andato a lavorare giù alla carrozzeria di suo zio, che con
la scusa della parentela spesso e volentieri si dimenticava di pagarlo), lei
che commentava con sorrisetti odiosi quel suo essere un tredicenne goffo e
bruttarello, lei che era bella, bellissima che a quattordici anni già si girava
tutto il paese a guardarla, lei che una volta, quando di anni ne avevano
diciassette, gli aveva chiesto di uscire insieme e lui ci aveva pure creduto e
l’aveva aspettata per tutto il pomeriggio davanti al cancello del cimitero, con
le amiche di lei che passavano e ridacchiavano e solo dopo l’aveva capito il
perché delle loro risate.
Adesso non funziona più così, adesso
l’ordine si è invertito.
Ora è lei che chiama lui, e ha una voce,
una voce terribile, una voce piena di male che solo a sentirla ti sale un
rigurgito amaro dallo stomaco, sarà che quella ragazza bionda e bellissima
adesso gli fa pena, sarà che ormai l’amore che prova per lei è un sentimento
acido e stantio. Sarà che non lo sa, sarà che forse non ha il coraggio di
chiederselo.
Sa solo che è una vita che Erika si
comporta male con lui. Una vita che promette e non mantiene, che pretende e
prende restituendo poco e male.
È sempre stata così Erika. Avida,
meschina, opportunista.
Non gliene frega niente degli altri, è
avida e vuole tutto per sé.
Ma questa è l’ultima volta.
Scavalca il guardrail in un punto in cui
il pendio non è troppo ripido e la neve sembra compatta, scende piano con le
braccia aperte a cercare di mantenere un equilibrio precario, ma presto è giù,
di nuovo in un territorio sicuro, pianeggiante.
Ci sono quegli abeti enormi , quel
silenzio carico che gli piace da morire, il rumore dei suoi passi sulla neve
fresca.
Dopo pochi metri Erika è lì, appoggiata
contro un tronco. La neve le cade in testa e le bagna i capelli ma lei non ci
fa caso. Ha occhiaie che sembrano ustioni e la faccia lucida e le labbra secche
e screpolate, ma lui quelle labbra le bacerebbe lo stesso, che Erika è bella
anche così disperata e sfatta.
«Alessio, ti prego…» mormora, tendendo
le braccia verso di lui che fa un passo indietro e nasconde le mani dietro la
schiena.
«Ale non mi fare così…» Adesso Erika
piagnucola e balbetta e a lui piace sentirla implorare, gli ricorda di tutte le
volte che l’ha implorata lui.
Alessio si sfila un guanto, si china a
raccogliere un po’ di neve, se la fa sciogliere in mano. Guarda quella e non il
viso della ragazza.
«Erika…che devo fare io con te? »
«Non lo so. Non lo so che devi fare. Ale
ti prego, io sto male.»
Erika sta per mettersi a piangere come
al solito, come ogni volta che discutono, ma qualcosa la blocca.
Spalanca gli occhi, allarmata.
Ci sono delle voci che provengono dal
bosco, a pochi metri da loro.
Due voci, forse tre, e si avvicinano.
Probabilmente è qualcuno del paese,
qualcuno che conoscono entrambi e Alessio non ci fa bella figura a farsi vedere
insieme a Erika che piange, perché le chiacchiere corrono e poi dicono in giro
che hanno visto Alessio Troili maltrattare la Erika Perron, ché poveraccia, già
non sta bene di suo e per colpa di lui.
Tutti in paese dicono che Erika si è
rovinata a stare appresso a lui, ma non è vero.
Lui a Erika le vuole bene, anche se è
una stronza, anche se sette anni prima lo ha lasciato un intero pomeriggio ad
aspettarla.
Lui è buono e la gente la perdona.
Non vuole mica vederla soffrire.
Alessio aspetta che quelli delle voci si
avvicinino così che possano vederli, e poi fa due passi e la abbraccia, e la
faccia di lei è bollente e bagnata di sudore, e Erika adesso piange davvero,
gli si avvinghia addosso e tira su col naso in una maniera che fa proprio pena.
«Alessio, per favore, Alessio, io non so
che fare senza di te, non mi mollare così, Ale ti prego non mi mollare così,
faccio tutto quanto, tutto quello che vuoi, Alessio, Alessio…»
Non la smette più di ripetere il suo
nome.
«Stai zitta, che c’è gente, non piangere
Erika, piccola, non piangere. Va tutto bene» dice lui mentre quelli passano,
adesso in silenzio perché li hanno visti e devono far finta di non essersene
accorti, allora Alessio le prende il viso tra le mani e la bacia e le labbra di
Erika graffiano e il suo alito è amarissimo, ma continua a baciarla lo stesso,
e mentre la bacia glielo dice che quella è l’ultima volta, che così non si può
andare avanti, che lui ha tanta pazienza, ma così proprio non può funzionare, e
glielo dice dolce, sussurrandolo, e Erika non piange più, Erika si stacca e
annuisce decisa e spaventata e sollevata e un altro milione di cose che si
mescolano su quel viso bellissimo e scorticato.
«L’ultima volta, va bene piccola?
Facciamo che è il mio regalo di Natale per te. Perché ti voglio bene, lo sai,
no? Lo sai che ti voglio benissimo, ma questa è l’ultima volta che
[Il
finale di Valentina D’Urbano] te la do a credito, perché io mi fido
di te, ma dopo mi devi ridare tutto con gli interessi, che se mi arrabbio sono
un sacco di guai per tutti, eh piccola? Lo sai piccola come mi arrabbio, no?»
Le fa scivolare l’incarto argentato
nella tasca della giacca, ed Erika sospira e quasi trema.
Adesso lui la scioglie dall’abbraccio,
scuote la testa, si volta e se ne va.
Le ha dato due grammi pieni, perché
quella è talmente tossica, talmente sfondata dall’eroina che due grammi le
bastano per una botta appena.
Ma stavolta, gliela deve pagare.
[Il
mio finale] fingiamo
davanti agli assistenti sociali. Quand’è la visita?»
«Domani alle cinque.»
«Passo a prendervi dopopranzo.»
Erika annuisce e si asciuga il naso
umido. «Grazie.»
La prima volta che avevano incontrato
agli assistenti sociali stavano ancora assieme. Alessio aveva lasciato il suo
indirizzo come domicilio perché Erika e il bimbo si sarebbero trasferiti di lì
a poco. Ma la novità si era presto trasformata in routine, i silenzi si erano
allungati, i litigi fatti più frequenti. Avevano deciso di lasciarsi alla fine
di una lite cattiva, fatta di parole pronunciate per ferire.
Una parte di Alessio la odia, ma non può
lasciare che le portino via Mattia – cosa che farebbero senz’altro se vedessero
come vive.
Erika sorride fiacca. «Tia sarà felice
di vederti.»
La pancia di Alessio si riempie di caldo
conforto. «Gli ho comprato dei regali. Se...» Esita, ma solo pochi attimi.
«Passate il Natale da me.»
«Volentieri.»
I due si allontanano in direzioni
opposte lasciando grossi solchi sulla neve. Alessio si infila in macchina e,
ripensando a Mattia, a quanto lo ama, si domanda se quella sarà davvero
l’ultima volta.
Ho scelto questo finale perché, anche se
quello della ragazza drogata e dello spacciatore mi era già passato per la
testa, ho visto che in molti lo avevano già usato (e infatti era così che
finiva in realtà). Quindi ho voluto optare per qualcosa di diverso… e ora ho un
bellissimo libro che mi aspetta!
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