Da ora in poi credo che diffiderò dei
libri per bambine e ragazze del 1800, perché ne ho letti due piuttosto famosi e
apprezzati ed entrambi, per me, sono stati terribili. Forse il buonismo con il
quale all’epoca volevano educare le fanciulle non è il mio genere.
Ho letto “Piccole donne” di Louise May
Alcott, ma non credo che cercherò “Piccole donne crescono” e i due meno celebri
seguiti, perché sia la storia che lo stile non mi hanno entusiasmata. In
aggiunta a questo l’edizione che mi è capitata fra le mani non era delle
migliori, perché era piena di refusi e veri e propri errori ortografici, che
impedivano una lettura scorrevole.
Più un libro è famoso, più voglio
leggerlo e, se mi delude, sono ancor più motivata a scriverne una recensione,
perché questo mi permette solitamente di capire come mai non ha incontrato i
miei gusti. Sono curiosa di sapere perché in molti lo apprezzano, e voglio
spiegare come mai a me non è piaciuto.
Quindi passiamo alla trama.
In “Piccole Donne” entriamo nella vita
della famiglia March, in particolare delle sue donne. Meg, Jo, Beth ad Amy sono
sorelle, vivono assieme alla madre e attendono che il padre, partito volontario
per la guerra, faccia ritorno.
Ognuna delle sorelle ha un carattere
differente e diverse difficoltà personali da superare. Se per la maggiore, Meg,
è la decisione di sposarsi e la consapevolezza di star diventando donna, per Jo
è controllare il suo carattere irascibile. Beth combatte contro la sua
timidezza mentre la minore, Amy, cerca di essere meno vanitosa. A vegliare su tutte
loro la signora March, madre amorevole e prodiga di consigli e insegnamenti,
mentre a rallegrare le loro giornate c’è Laurie, nipote del loro benestante
vicino.
I capitoli si susseguono uno dopo
l’altro, ricchi di insegnamenti e piccole avventure per ognuna delle protagoniste,
che da ogni giorno traggono una nuova esperienza e, con questa, preziose
lezioni di vita.
Mi sono documentata un poco sulla Alcott
prima di sputare sentenze, perché non mi va di parlare – soprattutto parlar
male – di un libro se non ne so nulla. “Piccole donne” nasce come un racconto
autobiografico, infatti ci sono molte similitudini fra la vita della sorelle
March e la vita della famiglia Alcott. Ancor più similitudini troviamo fra
l’autrice e il personaggio di Jo, ragazzaccio della famiglia e aspirante scrittrice
con un carattere difficile.
Questo però non giustifica che il libro
sia, a conti fatti, privo di trama.
Non esiste una rotta principale,
semplicemente il libro narra varie vicende di quattro sorelle. Il fatto che sia
ambientato nella metà del 1800 non significa nulla, poiché molti classici
dell’epoca sono estremamente entusiasmanti e si basano su una trama con un
filone centrale.
Anzi, penso che il nocciolo di leggere
e/o scrivere un libro sia raccontare una vicenda nella quale accade qualcosa di
inaspettato o nuovo. Un avventura, un cambiamento interiore, una storia
d’amore, una storia di morte, qualsiasi cosa! Solitamente, all’inizio di un
romanzo, i personaggi incappano in qualcosa che cambia la loro vita. Può essere
un altro personaggio o una situazione, ma questo porterà dei cambiamenti che
influenzeranno le loro decisioni, che saranno il centro della nostra storia.
Se questo centro non c’è stiamo in
realtà leggendo un libro che parla di come i fatti si svolgono quotidianamente.
Ma se io leggo un libro non voglio qualcosa di quotidiano, qualcosa che posso
vedere semplicemente guardando fuori dalla finestra. Voglio qualcosa di
straordinario, una storia che forse non potrà mai essere, che esiste solo
perché la leggo.
Purtroppo non ho trovato nulla del
genere in “Piccole donne”.
Le protagoniste sono perfette, pur nelle
loro piccole e trascurabili imperfezioni, poiché cercano sempre di migliorarle
e sono anche fin troppo severe con loro stesse, cercando così le facili
simpatia del lettore. Non esiste un solo personaggio negativo, non uno! E a
stare a guardare non esiste nemmeno un nemico.
A me non è piaciuto, ma la mia opinione
non è l’unica, quindi se qualcuno lo ha letto mi dica: a voi è piaciuto?
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