lunedì 29 agosto 2011

Non si muovono

Non avvezza ai teatri e non dotata di un teatro a basso costo e alto rendimento nella mia città, ho iniziato a leggere “Aspettando Godot”, la tragicommedia di Samuel Beckett, al posto di guardarmelo a teatro.

Samuel Beckett

Ho riscontrato subito la differenza che c'è con “Novecento” di Alessandro Baricco, l'unico altro testo teatrale che abbia mai letto. Quest’ultimo, dominato dal monologo più che dalle azioni, è più semplice da capire, è solo una storia - una magnifica storia. “Aspettando Godot” invece è ricco di azioni dei singoli personaggi, e per me immaginarli a compiere quelle azioni è stato complicato, più che altro perché non sono abituata allo stile del copione teatrale.
Quindi, con me, questo libro parte subito svantaggiato, ma nonostante questo non riesco a smettere di leggerlo perché, paradossalmente, anche se stiamo solo aspettando, succede sempre qualcosa che sembra un preludio al cambiamento, come se di lì a poco qualcosa dovesse accadere. Come se le nostre vite, o le vite dei personaggi Estragon e Vladimir (uso i nomi in inglese perché il suono dei foni di Estragone e Vladimiro mi fanno rabbrividire), dovessero essere rivoltate come un guanto. E’ notevole da parte dell’autore, dato che, effettivamente, non accade niente di niente in questa storia. Dando inizio ad un cambiamento - anzi, neanche: dando la speranza di un cambiamento - Backett ci obbliga a tenere gli occhi su quel copione, finché la nostra speranza si affievolisce di nuovo ma lui, al punto giusto, dà una nuova spinta, ed è con questa furbesca azione che ci manda fino alla fine della storia. A spintarelle.
Da qui il tema dell’immobilità. Più volte i personaggi vogliono andarsene, vogliono smetterla di aspettare Godot, perché l’attesa li logora nella sua incertezza, nella noia e anche nell’inferiorità in cui ci pone il semplice fatto di stare aspettando qualcuno che non sappiamo chi sia né se verrà. «Io me ne vado», direbbe Estragon. E non si muoverebbe di un millimetro. Questo è in un certo senso frustrante, perché quell’uomo è immobilizzato, sia nel corpo che nella mente. Nel corpo perché anche se vuole andare ma non riesce ci reisce, a fuggire da quel deserto. Nella mente perché lui, assieme a Vladimir, aspettano Godot e non sanno fare altro, non possono fare altro e non faranno altro, con molte probabilità. Da quanto lo aspettano? Non lo sanno nemmeno loro. E’ frustrante perché sono impotenti. Imprigionati nell’attesa, che è nulla. Imprigionati quindi nel nulla.
Mi hanno colpita Lucky e Pozzo, anche se non riesco a capire cosa esattamente siano, o meglio, di chi o cosa siano simbolo. Perché se Godot è un piccolo Dio, e Vladimir ed Estragon sono tutti noi, chi cavolo sarebbe Lucky? Con quella corda al collo e la carne spellata via? Intendiamoci, non mi sono piaciuti come personaggi, anzi la loro situazione, quella del padrone e del servo, mi ha fatto ribrezzo. Suppongo che sia giusto così, che ci si debba sentire in quel modo di fronte a tanta violenza cruda, e come di solito accade con la violenza cruda, non si riesce più a scordarla. Purtroppo.
Mi ha stupito il fatto che la paura di Lucky per Pozzo sia poi stata abilmente ribaltata, e Lucky venisse trattato come un uomo crudele, e per quello era tenuto legato e sotto controllo. Nonostante all’inizio si possa credere che Pozzo ha indotto con le parole Vladimir ed Estragon a credere di essere vittima, con un grande discorso e una grande disperazione, poi ne vengono fatti degli accenni che non permettono al lettore di smettere di pensarci, a questa situazione poco chiara. E allora chi è la vittima? Chi è davvero fra i due il cattivo? Questo fatto mi ha destabilizzato, come d’altronde i due personaggi avevano già fatto alla loro entrata in scena. Credevo di averli inquadrati, e poi invece la situazione si è ribaltata, e allo stesso tempo non si è ribaltata. Perché quello che continua ad essere legato è Lucky, ma quello che è in soggezione e spaventato è Pozzo - e ha paura di un uomo in catene, cosa quanto mai strana.
Il secondo atto poteva essere una scomoda ripetizione di cose già dette e già viste: ci sono ancora Vladimir ed Estragon, ancora aspettano Godot, ancora vicini a quell’albero e ancora non sanno cosa fare per passare il tempo. Arrivano addirittura Pozzo e Lucky… di nuovo. Ma stavolta la situazione appare diversa, e con un Pozzo cieco ho imparato a non avere troppa pena per Lucky. Non che non sia penoso, intendiamoci, ma perché sono tutti quanti talmente fuori di testa che non ha senso dispiacersi per loro: sembra che nemmeno sappiano cosa succede.

Pozzo e Lucky

A dir la verità non so che pensare di questo libriccino. E’ davvero, davvero strano. Credo che il fatto di aver studiato Backett e di sapere di cosa parla effettivamente la storia mi abbia aiutata parecchio perché, diciamocelo, altrimenti non avrebbe avuto un senso. Almeno, non per me. Ha reso perfettamente l'idea di aspettativa della vita umana, l'idea della speranza che, prima o poi, accada qualcosa. E' un po' pessimista nel constatare che, invece, non succede un bel nulla. Ma io non voglio credere che sia tutta un'attesa senza speranza.

Citazioni preferite:

VLADIMIRO:

Un cane andò in cucina
E si accostò al fornello.
Allora col coltello
Il cuoco lo sgozzò.

Ciò visto, gli altri cani
Scavarono una fossa
E sulla terra smossa
Scrissero con la coda:

Un cane andò in cucina
E si accostò al fornello.
[…]


VLADIMIRO: Ho forse dormito mentre gli altri soffrivano? Sto forse dormendo in questo momento? Domani, quando mi sembrerà di svegliarmi, cosa dirò di questa giornata? Che col mio amico Estragone, in questo luogo, fino al cader della notte, ho aspettato Godot? Che Pozzo è passato col suo facchino e ci ha parlato? Certamente. Ma in tutto questo quanto ci sarà di vero? Lui non saprà niente. Parlerà dei calci che si è preso e io gli darò una carota. A cavallo di una tomba e una nascita difficile. Dal fondo della fossa, il becchino maneggia pensosamente i suoi ferri. Abbiamo il tempo di invecchiare. L’aria risuona delle nostre grida. Ma l’abitudine è una grande sordina. Anche per me c’è un altro che mi sta a guardare, pensando. Dorme, non sa niente, lasciamolo dormire. Non posso più andare avanti. (Pausa) Che cosa ho detto?"

What a bored Shinigami can do - Spoiler 09

Spoiler:
Capitolo nove - Play by the rules

Eikichi sorrise e disse: “Noodle, so che sei una ragazza intelligente. Vorrei farti una proposta”.
“Parla pure.” Noodle sorrise.
“Se lavorerai per me ti prometto una somma che, sono sicuro, non hai mai immaginato." [...]
Noodle fissò lo sguardo in quello di Eikichi. Avevano un taglio deciso e affilato, un colore a metà fra il marrone scuro e l’oro. La ragazza rimase pensosa, terminò il suo sorbetto in silenzio, si pulì le labbra con un tovagliolo e bevve un sorso di vino. Posato il bicchiere tese la mano e disse: “Sarà un piacere”.

lunedì 22 agosto 2011

Virgin -and effeminate- Draco

Ho iniziato a leggere una Draco/Harry.
Già questa notizia, per la sua straordinarietà, potrebbe costituire il post.





E va bene, non è finito! (Non vi libererete così facilmente di me, che vi credete?)
Insomma, non sono famosa per apprezzare lo slash, anzi al contrario, di solito lo evito. Ne ho lette poche, di fanfiction slash, e me ne sono piaciute ancora meno. Ma non dico mai di no ad una lettura consigliata e ho quindi iniziato “Virgin Draco”, di Stateira. Fandom, Harry Potter naturalmente! Anche perché non mi viene in mente dove altro io potrei leggere una slash (nonché una Draco/Harry; ci sta che ci siano altri famosi personaggi di nome Harry che uno vuole fanfictionizzare, ma di nome Draco…).
Comunque è iniziata bene, quindi ho continuato la lettura e mi accingo a scrivere la recensione.

L’inizio con il Veritaserum è davvero grandioso. Seriamente, è stato esilarante, le domande davvero azzeccate e le confessioni dette a mezza voce ancora di più!
Ma allora, cosa c’è che non va? Che la penalizza così tanto ai miei occhi?
Che Draco e Harry siano già al corrente della loro omosessualità mi va bene, in fondo è possibile. Anzi, diciamo che risparmia all’autore parecchi capitoli, ed è più che giustificato dal momento che scrive negli avvisi “Slash, Yaoi”.
Il vero problema è l’incubo di ogni fic, la spina nel fianco di tutte le fanwriters, la mela marcia nascosta nelle Preferite di ognuno di noi… Draco ed Harry sono terribilmente OOC! Draco ha perso per strada quella magnifica strafottenza che lo rende un Malfoy doc., il suo segno distintivo, ha perso ciò che lo rande il sexy Draco Malfoy! Ed è diventato un ragazzo che non si fa troppi problemi a parlare -e non solo- con Potter senza infilare un qualche insulto detto con il cuore in mezzo alla frase. Ho parecchie riserva anche su Harry: da quando ha perso la sua proverbiale timidezza? Quella che si è portato appresso per tutto “Il calice di fuoco” con Cho Chang e nel “Il principe mezzosangue” con Ginny? Qualcuno potrebbe obbiettare che in quest’ultimo si fa avanti con la Weasley in maniera ben poco timida, ma comunque non raggiunge i livelli che ha l’Harry Potter di questa storia, che diventa senza motivo un vero Don Giovanni e un apprezzato dio del sesso. Non che non possa essere dio del sesso, per carità (anche se che certi traumi psicologici derivati da Voldemort che lo ha colpito da bambino avrebbero potuto dargli, che so, problemi di erezione), ma immagino che userebbe le sue doti divine con discrezione. La Rowling non lo dice propriamente come un magico Rocco Siffredi, cosa che sembra in questa storia.
Per quanto riguarda un’altra cosa cui sono sempre attenta: i dialoghi sono poco credibili, in quanto pieni di modi di dire che non si usano più.

Una nota positiva. Ora, non che mi stia sforzando di trovare un lato positivo alla storia per sembrare meno cattiva (è solo questione di gusti, nessuno se ne deve avere a male) ma, dopo mezz’ora di stare piegata dal ridere davanti allo schermo, uno una cosa la deve dire, se non altro per par condicio: questa fanfiction fa morire dalla risate! Alcune battute sono particolarmente azzeccate, ti fanno sbellicare, sul serio! A chi vuole farsi due risate e non dà particolarmente fastidio l’OOC la consiglio caldamente, perché vi piacerà un sacco!

Purtroppo io non sono come le persone sopracitate e non ho potuto fare altro che smettere di leggere la storia. Era più forte di me, ogni volta che aprivo il capitolo sedici, al quale mi ero arenata come una balena sulla spiaggia (ah! Che immagine evocativa! Già m’immagino a faccia in giù davanti al pc senza riuscire a leggere una riga di più), la voglia di leggere passava.
Mi avvalgo quindi di uno dei dieci diritti inalienabili del lettore, così come ce li ha descritti Daniel Pennac nella sua piccola perla “Come un romanzo”: il diritto di non finire un libro. In questo caso, il diritto di non finire una fanfiction. Ebbene sì, l’ho abbandonata proprio a metà!
Be’ a me personalmente non è piaciuta ma, chi di voi vuole lanciarsi in una Draco/Harry molto divertente, clicchi subito il link che vi ho lasciato.

What a bored Shinigami can do - Spoiler 08

Spoiler:
Capitolo otto - White trap

“Signorina Newman siamo dell’ufficio Assistenza Cittadini, vorremmo farle qualche domanda”, disse Mello al citofono. Francy Newman non rispose e il cancelletto si aprì con uno scatto pochi secondi dopo.
All’ultimo piano dello stabile c’erano quattro monolocali e un bilocale, nel quale abitava Francy. La donna che aprì la porta poteva avere anche più di trent’anni tanto era sfatta, ma dalle loro ricerche risultava solamente sei anni più vecchia di Noodle. Era secca e filiforme, aveva capelli biondi che le cadevano flosci sulle spalle, due occhiaie nere e un rossetto sgargiante e volgare. Portava un maglione azzurro a collo alto e dei pantaloni neri molto stretti. “Si?”, domandò Francy Newman appoggiata allo stipite della porta con un braccio, osservando i due strani personaggi che, lei sapeva, dovevano prima o poi arrivare. Li aveva visti dalla finestra quando erano passati prima, ma non aveva risposto. Erano i suoi ordini, e per qualche biglietto da cento questo e altro.
Questa volta parlò Noodle. “Vorremmo farle qualche domanda signorina Newman, possiamo entrare?”
Francy Newman ghignò. Si scostò dalla porta e disse con voce roca: “Ma certo”.

martedì 16 agosto 2011

Il fascino orientale: le labbra a canottino.

Il mondo delle geishe giapponesi ha sempre suscitato in me grande fascino e grande curiosità. Ma, data la mia proverbiale pigrizia, non mi sono mai informata più di tanto. E’ un argomento affascinante, ma diciamo che non ci penso per l'intera giornata. Quando ho acquistato “Memorie di una geisha”, di Arthur Golden, ero quindi molto curiosa di leggerlo e, nonostante sapessi che era di una tristezza infinta, mi sono lanciata nella lettura. Avevo visto il film diretto da Rob Marshall tratto da questo libro, quando uscì nel 2005, ma non lo ricordo affatto (mi sono quindi ripromessa di riguardarlo il più presto possibile, aspettatvi un post con commento al film). Devo ammettere però di essere stata abbastanza contenta di questo, perché così almeno ho avuto il famigerato effetto sorpresa e mi sono goduta il libro in tutto e per tutto!

La trama è semplice ed è quel che c'è di contorno che affascina: nei primi anni del 1900 una bambina giapponese, Chiyo, nata a Yoroido, un povero villaggio di pescatori, viene venduta dai genitori e portata con la sorella maggiore, Satzu, a Kyoto, nel quartiere delle geishe di Gion. Lì viene separata dalla sorella e venduta all'okiya (casa delle geishe) Nitta. Vittima delle angherie della geisha che abita l'okiya, Hatsumomo, dopo un periodo in cui farà la domestica riesce a diventare una delle più richieste Gheishe di Kyoto sotto il nome non più di Chiyo Sakmoto ma di Sayuri Nitta e s'innamora di un suo cliente, semplicemente chiamato il Presidente. Dopo molti sforzi, rischi, dopo il passaggio della Seconda Guerra Mondiale -dalla quale, fra l'altro, il Giappone esce sconfitto- e la chiusura dei quartieri delle geishe, confessa al suo cliente di essere innamorato di lui e i due rimangono uniti per il resto della vita.
Una delle cose inaspettate del romanzo è che, verso la fine, la protagonista smette di essere una geisha, a causa della guerra che porta radicali cambiamenti in Giappone, per diventare simile alle povere donne contadine. Il lento inoltrarsi nel racconto dei disagi che la guerra causa alla popolazione civile è quasi invisibile all'inizio, qualcosa di cui non si tiene poi troppo in conto date le altre incombenze che assalgono Sayuri. Pian piano questi disagi diventano più pressanti, più insistenti, e scoppia all'improvviso la guerra anche fra le pagine del libro, nella vita di tutti i personaggi e nella consapevolezza del lettore, che prima l’aveva relegata a questione di poca o scarsa importanza. Lo scorcio del Giappone sotto la Seconda Guerra Mondiale è molto interessante, sia dal punto di vista storico che da quello del romanzo, poiché sembra che tutto venga rimandato, che ogni cosa rimanga sospesa per un dopo. E al momento dei bombardamenti ci si chiede:  ma, ci sarà poi un dopo?

Per gli occidentali, geisha è sinonimo di prostituta. Non è così, e questo libro lo spiega bene: le geishe sono donne che imparano a maneggiare arti come la musica, il canto, la danza e soprattutto, l'intrattenimento degli uomini. Intrattenimento non è ciò che potete pensare, vuol dire semplicemente passare una serata con un uomo a bere tè o sakè, a conversare e magari ad allietare la compagnia con una danza o un canto. Fra lo scrittore Arthur Golden e la ex-geisha Mineko Iwasaki, che gli ha fornito molte delle informazioni che lui ha utilizzato per il romanzo, c’è stata una controversia: la donna sostiene che Golden abbia dipinto le geishe come prostitute, per il rapporto che si creava con i loro danna (uomini ricchi che si accollavano le dispendiose attività di una geisha, e in cambio avevano la precedenza sugli altri impegni della stessa). Se lo dice lei, probabilmente è così, e non era certo obbligatorio per una geisha avere rapporti sessuali con il proprio danna come invece il libro lascia intendere, quindi a maggior ragione le geishe non dovrebbero essere considerate prostitute d’élite. Dalle geishe non ci si aspettavano favori sessuali, e se si sposavano dovevano ritirarsi dalla loro professione. Credo che ancora oggi sia così, sebbene il numero di geishe sia molto diminuito.
Stampa giapponese, Hokusai

Ma torniamo al romanzo!
Una delle cose che mi sono piaciute di più sono i personaggi. Anche se devo ammettere che proprio la protagonista, Sayuri, è secondo me la peggio riuscita (sarà un'ossessione per i personaggi secondari, ma io preferisco sempre loro ai protagonisti... mah, avrò qualche complesso freudiano). Appare molto più complessa nel presente, quando racconta la sua storia da anziana, piuttosto che da giovane, quando non fa che struggersi per il Presidente e sembra non avere altro pensiero né altra occupazione della mente. Anche il suo essere sempre triste e mai allegra, nemmeno quando accade qualcosa di effettivamente bello, mi ha dato noia. Comunque sia, mi è piaciuta invece (come al solito passo sempre al lato oscuro –“Come to the dark side... we have cookies!”) Hatsumomo. Sebbene sia la persona che mette i bastoni fra le ruote a Sayuri per più di metà libro e in alcuni momenti sia odiosa e ti venga voglia di strangolarla, il suo personaggio è affascinante. Una di quelle persone che, se incontri, è meglio tenere alla larga, ma un personaggio molto complesso. E', semplicemente, cattiva. Ha qualcosa di perverso in sé, nel voler far dal male a tutti costi ed essere felice quando lo fa, e tuttavia attira. Come quando si guarda un film horror ed esce per la prima volta il pazzo assassino con la faccia sciolta che nessuno ha mai visto: fa davvero schifo, ma non puoi fare a meno di guardarlo -con gli occhi di fuori e la bocca spalancata. Ecco, un'attrazione del genere mi ha suscitato Hatsumomo, e si è piazzata fra i miei personaggi preferiti. Anche Nobu, con il suo braccio mancante e la facci ustionata, mi è subito stato molto simpatico, probabilmente per il suo carattere burbero la schiettezza, e anche perché si era realmente innamorato di Sayuri. Mi è dispiaciuto molto il fatto che alla fine non sia riuscito ad averla, né nella giovinezza né nell'età matura perché forse lei era l'unica donna di cui si era mai innamorato e che avrebbe mai potuto apprezzare... era uno dai gusti difficili, e anche difficile da sopportare immagino.
Dal film di Rob Marshall "Memorie di una geisha", 2005

Il fatto che in mezzo al racconto vi siano informazioni riguardo alla vita nel Giappone dell'inizio del secolo scorso, e della vita e usanze delle geishe, è davvero molto interessante. Inoltre Golden è stato molto abile nell'inserirle nel punto giusto, quando abbiamo bisogno di un chiarimento, e in giusta quantità, perché di una cultura immagino che ci sia da dire molto più di qual che ho letto. Il mondo della Kyoto di inizio '900 è riportato a galla in modo naturale, e le informazioni si mescolano in modo armonico con il racconto.
La prima sensazione che ho provato leggendo il romanzo è stata la tensione. Lungo tutte le cinquecento e passa pagine se ne sta acquattata in un angolo, a margine, di modo che noi la vediamo e non possiamo fare altro che tenerla d'occhio. Ci tiene sempre all'erta, nervi tesi, e, quando ormai stiamo abbassando la guardia, ecco che succede qualcosa di terribile, che sconvolge il romanzo e la vita della nostra protagonista!
Per quanto riguarda lo stile, non è molto elaborato e non ha bisogno di esserlo, giacché l'ambientazione fa tutto da sola per rendere il romanzo affascinante. Le cose che mi sono più piaciute sono le descrizioni fisiche dei personaggi, che Golden fornisce in maniera impeccabile tanto che immaginarseli (persino Nobu) non è affatto complicato. Poi ci sono, in ogni pagina forse, paragoni. Pargoni di qua e di là, paragoni a non finire. Ovunque questi ‘come’ spuntano nella narrazione a più non posso e riescono perfettamente nel loro intento di rendere l'oggetto della nostra attenzione un po' più poetico o un po' più alla nostra portata.

Quando ho terminato di leggere il libro, infine, nello scoprire che il romanzo era tutta un'invenzione, sono rimasta un po' delusa. A dir la verità l'avevo già intuito all'inizio, qualche capitolo dopo il primo, ma speravo che invece esistessero davvero Sayuri e Hatsumomo, il Presidente e la Madre, Nobu e Zietta, Zucca, e perfino l'orribile Nonna. Purtroppo non è così, e dico purtroppo perché se la storia fosse stata vera, avrebbe significato un lieto fine vero. Ma vero non solo nel senso che era effettivamente esistito, ma anche nel senso che sarebbe stato credibile. Perché ci sono anche risvolti amari nella fine di questa storia. Guardiamo dal punto di vista di Nobu, dal punto di vista di Zucca, dal punto di vista della stessa Sayuri, che ha dovuto abbandonare il suo paese per la comodità del Presidente (e chissà se l'ha fatto con piacere, in fondo).
Insomma, in fin dei conti mi è piaciuto molto “Memorie di una geisha” e consiglio caldamente questo libro, sia a chi è interessato alla vita e agli usi delle geishe giapponesi, sia a chi vuole godere di una bella storia.



P.S. Da quando ho iniziato il libro voglio truccarmi come una geisha, soprattutto mettere il rossetto per farmi le labbra a canottino.

lunedì 15 agosto 2011

What a bored Shinigami can do - Spoiler 07

Spoiler:
Capitolo sette - The picture of Mail Jeevas

“Perché dei criminali dovrebbero interessarsi alle malattie psichiche infantili?”, domandò Diane. Stava appoggiata allo schienale morbido della sedia del bar, teneva le braccia conserte sul petto; la sua posizione preferita.
A quel punto Matt pensò di usare la scusante per le emergenze. “Il motivo non posso dirtelo, ordini di L.”
Diane sbuffò. “Ogni volta che ti domando qualcosa ti nascondi dietro alla scusa che sono ordini di L. Perché non volete che sappia? Potrei aiutarvi molto di più se fossi meglio informata”, disse la donna sporgendosi in avanti con le sopracciglia sottili e curate alzate.
Matt la osservò, poi sospirò e abbassò lo sguardo. “E va bene. Ci avevano avvisato che questo sarebbe successo.”
“Che cosa?”, domandò Diane.
“Il tuo capo ci ha detto che sei una vera ficcanaso, e devo dire che ha ragione. Mi spiace Diane, ma abbiamo bisogno di qualcuno che esegua gli ordini senza porsi troppe domande. Riceverai comunque un compenso”, disse Matt tentando di essere rassicurante.
“Il mio capo?!”, domandò Diane esterrefatta e molto, molto arrabbiata.
“Mi dispiace Diane. Non devi cercarci più.” Matt si alzò e fece per andarsene.
“Aspetta!” Diane afferrò il polso del ragazzo e lo bloccò, guardandolo con aria quasi supplicante.

martedì 2 agosto 2011

Bad guys finish last

Sarà che l’estate mi fa sciogliere, letteralmente e non, così avevo voglia di guardare qualche bell’anime shojo. Uno di quelli pieni di romanticherie, gelosia e personaggi maschili tenebrosi e inafferrabili. Adoro questi personaggi nei manga, a differenza delle fanfictions o dei libri, dove li trovo scontati e banali. Ma guardando “Paradise Kiss”, di Ai Yazawa (“Curiosando nei cotili del cuore”, “Nana”) mi sono ritrovata a tifare per la fazione opposta.


La storia è carina, mi piace soprattutto perché intreccia la sfilata di moda dei quattro studenti della scuola per stilisti Yaza con le indecisioni di una ragazza liceale. Le due storie procedono benissimo in parallelo e si completano l’un l’altra. La fine mi ha stupito, in senso positivo: dopo tutto ciò che si diceva della bravura di George mi aspettavo che arrivassero primi, ma un secondo posto è inaspettato e veritiero. Intendiamoci, il vestito era orrendo, ma mi rendo conto che parliamo pur sempre di un cartone animato, e soprattutto dei vestiti della Yazawa (senza offesa, questione di gusti).
La separazione dei ragazzi, infine, mi è parsa giusta e davvero emozionante. Forse un po’ perché non stimo la coppia principale, e vederli separati in fondo non è male secondo me, ma a parte questo mi piace come tutti abbiano preso strade diverse. In particolare apprezzo che George e Isabella siano partiti assieme, perché a mio parere è Isabella l’unica ‘donna’ di Koizumi George e assieme stanno bene. In più, mi piace cullarmi nella prospettiva che lo sposo di Yukari sia Hiroyuki.
Arashi e Miwako

Per quanto riguarda i personaggi, ho adorato fin dal primo istante Arashi Nagate, sia per il suo stile fin troppo punk (esagerato come in tutti i manga e in particolare nello stile della Yazawa –vedi “Nana”).
Non so cosa sia il punk, è chiaro, ma invece di essere tanto minuziosi, i punk mi pare debbano risultare più che altro… trasgressivi ma noncuranti. Come se fossero tutti eccitati di far vedere il loro stile ma dopo un po’ perdessero la voglia di pensarci tanto. Be’ questo non accade nei manga e negli anime, sempre molto curati, ma sono comunque rimasta affascinata da Arashi. Mi sta simpatico, insomma.
Miwako, da sola, non mi fa alcun effetto, ma assieme ad Arashi formano una coppia davvero carina. Sono azzeccati, anche se non si direbbe per l’eccessivo punkismo di uno e l’eccessivo lolitismo dell’altra. Ma d’altronde ci sono coppie così: uno il contrario dell’altro, in tutto e per tutto; e intimamente uno si chiede, “Come cavolo fanno a stare assieme?”, però loro, incuranti di ciò che pensi, continuano a stare assieme. Miwako e Arashi sono una coppia così, e sono la coppia più vera che abbia mai visto in un anime, per quanto riguarda dinamiche sentimentali problemi e gioie di coppia.
La protagonista, Yukari, mi è piaciuta moltissimo. Incarna perfettamente l’ideale della ragazza un po’ insicura che non sa ancora cosa vuole. Piuttosto è la storia con George che davvero non mi piace. O meglio, non mi piace il personaggio di George. E’ come se l’autrice avesse voluto farlo risultare enigmatico a tutti i costi, e questo lo ha reso incoerente, un personaggio che sembra agire come capita, senza una reale motivazione. Forse per questo ho assolutamente preferito Hiroyuki Tokomuri, il ragazzino pacato, gentile, normale, che va in classe con Yukari. So bene che di solito sono i ragazzacci ad essere più affascinanti, per lo meno nei manga, ma per qualche motivo in questo caso ho preferito Hiroyuki.

Yukari e George
Hiroyuki Tokomuri

Per concludere posso consigliare a tutti coloro che vogliano passare un po’ di smielato tempo assieme ad un cartone animato, di guardare questo anime, perché è veramente carino e affronta un tema relativamente nuovo, ossia la moda (non per la Yazawa certo), ma comunque ancora da esplorare, con un finale di un certo spessore.
P.S. Ho adorato l’ending dell’anime, sia nella musica (Do you want to, dei Franz Ferdinand) che nelle immagini.

lunedì 1 agosto 2011

What a bored Shinigami can do - Spoiler 06

Spoiler:
Capitolo sei - Searching for the chosen

Non appena ebbero finito di leggere i rapporti della CIA i quattro ragazzi si osservarono l’un l’altro con espressioni stupite e quasi spaventate. L aveva una ruga profonda proprio in mezzo alla fronte, segno di grande preoccupazione, che lo rendeva più vecchio e stanco. Erano rare le volte in cui quella ruga compariva, e spesso era segno di grossi guai. Tutti avevano intuito che cosa poteva essere successo.
“Ryuk”, chiamò L.
Lo Shinigami si avvicinò con passo lento. “Sì?”
“Ci sono altri Shinigami che vanno in giro a dare Death Note alle persone?”
Il mostro scosse la testa, gli occhi fissi sul detective. “Non che io sappia.”
“Sei sicuro?!”, intervenne impetuoso Mello. “Allora come cazzo è possibile che una bambina abbia gli occhi dello Shinigami?”





Allora...
L'ho già messo nel capitolo 5 su EFP ma lo metto anche qui: il post di Lunedì prossimo è rimandato, perché vado in vacanza! Evviva!
Eh lo so, lo so che vi mancherò, ma mentre nuoterò nel limpido mare azzurro di Salerno e poi anche di Latina (hurrà!) penserò a voi, carissimi lettori, che rosicate nel caldo afoso della citt- ...no, non è vero, non sono così crudele! xD Penserò a voi e al prossimo capitolo che devo postare, che poi sarebbe quello qua sopra ._.
Oddio, sono davvero crudele! *o* Come si fa a lasciare uno spoiler così e poi partire per due settimane?! Cioè, se lo facesse qualcuno a me collasserei dalla curiosità!
A questo proposito, Lunedì prossimo di sicuro non ci sono, quello dopo ancora sarà da vedere, perché non so bene se torno Lunedì 15 o qualche giorno dopo, quindi... pazientate cari, è l'unica cosa da fare u_u
Ne approfitto per dire a tutti: buone vacanze! Che le facciate prima, dopo, che le abbiate già fatte, che non le facciate assolutamente (ecco, a voi un particolare affetto).
Haloa...