lunedì 25 gennaio 2016

Segna(la)libro #6: Soulless, The parasol protectorate book I – Gail Carriger

Ogni tanto trovo anche materiale per le rubriche, quindi eccomi qui per segnalarvi un libro di cui ho sentito ben poco parlare, ma che mi sento di consigliare.
Primo di una pentalogia e romanzo d’esordio dell’autrice, “Soulless” viene presentato come una romanzo steampunk. Purtroppo non ho qualcosa con cui confrontarlo, ma devo dire che di steampunk vi ho trovato giusto una spruzzatina, ma forse è un’impressione mia. L’ho trovato un libro scorrevole, leggero, uno di quei libri da leggere quando si ha voglia di qualcosa di non troppo impegnativo, ma comunque piacevole. Non privo di difetti ma sicuramente originale e degno di esser letto.
Il peggior difetto di questo romanzo è che è pieno di refusi, in questo caso però è colpa dell’editore. Anche se un romanzo non ha la pretesa di essere chissà cosa sta alla casa editrice revisionarlo e presentarlo bene al pubblico. Un vero peccato, perché altrimenti sarebbe stata una lettura ancor più piacevole.
La soluzione è, nel caso la trama vi interessi, leggerlo in lingua!
 
Nella Londra di fine ottocento, uomini, vampiri e lupi mannari hanno imparato a convivere, ma questo non vuol dire che l’esistenza della giovane Alexia Tarabotti non sia piena di problemi. Innanzitutto non ha un’anima, un bello svantaggio se si vuole trovare marito. Suo padre è morto e , per aggiungere sfortuna alla sfortuna, era pure di origine italiana! Quando un vampiro l’aggredisce – uno sgarbo imperdonabile nell’etichetta – e lei lo uccide con il suo parasole, le cose sembrano davvero precipitare: la regina Vittoria in persona manda l’inquietante Lord Maccon (un lupo mannaro volgare e trasandato) a svolgere le indagini. Ma non è finita: la popolazione di vampiri di Londra inizia ad essere misteriosamente decimata, e tutti sembrano ritenere Alexia colpevole. Chi vuole incastrarla? Riuscirà la ragazza a sfruttare a proprio vantaggio l’impermeabilità ai poteri soprannaturali di cui gode essendo senz’anima? O i suoi guai non sono ancora finiti?

lunedì 18 gennaio 2016

Psicologia da bestseller

Tempo fa, quando impazzava la moda di “Twilight”, avevo letto l’ennesima recensione che però, a differenza di molte che puntavano a svilire il libro o ad innalzarlo a poetica, voleva analizzarlo da un punto di vista sociale e psicologico.
Non ho le competenze adatte per fare qualcosa di analogo, ma volevo soffermarmi su alcuni elementi che si trovano soprattutto nella narrativa indirizzata ad un giovane pubblico femminile, e che sembrano essere la chiave per il successo di questi romanzi (ovviamente quando supportati da un buon editore o da un buon passaparola in caso di autopubblicazione).
 
Chiariamo, prima di tutto, di che genere di romanzi sto parlando. Non intendo offendere nessuno, lettore o autore che sia, quando dico che questi sono romanzi che potremmo definire popolari, o di evasione. Di certo non entreranno nella storia della letteratura e non verranno assegnati come lettura agli studenti del 3000 a.C. Non credo che apportino particolare beneficio al lettore, per i motivi che poi spiegherò, perché non gli offrono nessuna crescita a livello culturale e letterario, né portano un messaggio di particolare importanza. Rischiano di diventare addirittura un danno se diventano fenomeno di massa, poiché vengono considerati ad un livello superiore di ciò che sono in realtà, ossia un passatempo, un divertimento a mio parere.
Sono sempre stata fermamente convinta di una cosa: leggere è un piacere e ognuno ha il diritto di leggere ciò che vuole, ma è anche giusto prendere coscienza di ciò che si sta leggendo. Insomma, non pensate di avere il Sacro Graal della letteratura fra le mani con l’ultimo best seller di Dan Brown. Capito ciò, Dan Brown non è nemmeno così malaccio. C’è infinitamente di meglio come c’è infinitamente di peggio.
Quindi ecco, parliamo di libri piuttosto commerciali, che raggiungono le più alte classifiche di vendita. La domanda che spesso in molti si pongono è: come mai? E qui cercherò una risposta pseudoscientifica.
 
 
Mi concentro sui libri indirizzati ad un giovane pubblico femminile perché sono quelli con cui ho più familiarità. Sì, li ho letti, sì, ce li ho ancora a casa (anche se alcuni sono andati perduti negli anni), sì, spesso e volentieri mi sono piaciuti. Con l’andare avanti del tempo ho cambiato gusti, sono maturata come lettrice e/o come persona, o chissà cosa è successo, fatto sta che adesso aborro quel genere di libri. Mi capita di leggerli ogni tanto, soprattutto per ritrovare quella sensazione di ‘perdutamente innamorata’ che mi causavano, ma hanno perso qualsiasi fascino su di me, e anzi spesso mi fanno arrabbiare e annoiare.
Ma nel tempo ci sono cose che non sono cambiate, cioè alcuni dettagli di questi romanzi, che penso siano la chiave per renderli fruibili a più lettrici possibile.
 
Una protagonista femminile in cui identificarsi
Solitamente la protagonista è una ragazza adolescente, pressoché la stessa fascia di età cui è destinato il libro. Penso sia normale aiutare il lettore ad immedesimarsi, ma in alcuni casi questa volontà diventa talmente importante da annientare il personaggio. Nascono così protagoniste senza un vero carattere.
Entrare in contatto con personaggi del genere è, in un primo momento, molto facile, perché non hanno un carattere che potrebbe entrare in contrasto con il lettore. Non hanno capacità né interessi particolari, sono simpatiche, intelligenti e un po’ di timide, insomma un ritratto standard in cui ci si può calare facilmente durante l’adolescenza.
Purtroppo ne risente il romanzo, poiché non è mai piacevole in realtà trovarsi a leggere di personaggi senza una personalità definita.
 
Un protagonista maschile protettivo
Passiamo quindi al protagonista maschile, che c’è sempre. È bello, misterioso e irraggiungibile. Si interessa alla nostra protagonista in barba a chissà quale legge dell’attrazione, dato che lei ha un non-carattere. Anche lui è standard, incarna tutto ciò che un’adolescente può desiderare in un ragazzo.
Un fatto che trovo inquietante è che la stragrande maggioranza siano terribilmente gelosi, protettivi al limite dello stalking (a volte vanno oltre allo stalking), e che la protagonista subisca senza dire una parola e, anzi, essendone addirittura lusingata. Penso che anche questo sia un aspetto che catturi l’immaginazione di una lettrice, più che altro per farla sospirare un po’ sulla storia d’amore, ma viene affrontato nella maniera sbagliata. Un pizzico di gelosia è una cosa, fa anche un po’ bene all’ego e alla coppia sentirsi desiderati e desiderare al punto di essere un poco gelosi, ma non deve sfociare nell’ossessione perché rischia di portare un messaggio sbagliato.
Una trama e uno stile semplici
La trama molte volte fa da sfondo alla storia d’amore, più che il contrario. Succede quindi che sia molto semplice, o che diventi centrale solo alla fine.
In questo caso i personaggi sono abbastanza costretti dalla situazione a seguire un certo percorso, vuoi per salvare i propri cari, vuoi per la loro storia d’amore, i protagonisti non devono effettuare scelte, più che altro si trovano alle strette e vengono costretti a reagire dagli eventi e a seguire l’unica via possibile.
Non deve esserci quindi alcuno sforzo da parte del lettore per comprendere la trama. Anche qui ne risente il romanzo poiché non c’è davvero una crescita del personaggio, uno svilupparsi della vicenda, quindi rimane molto lineare e spesso scontato.
Stessa cosa per lo stile. Nulla di ricercato né di originale, persino il vocabolario si limita a parole semplici e comuni, paragoni scontati e nessuna ricerca di uno stile personale. Altro stratagemma per avvicinare anche i lettori meno esperti.
 
Questo fanno i best seller, vendono non solo a chi è già appassionato di libri ma anche e forse soprattutto a chi non legge così tanto, o a chi non legge affatto. Parlando di ragazzi, quindi, penso che siano queste le parole chiave per un best seller: immedesimazione e facilità.
Non qualcosa di cui essere particolarmente allegri, per essere sinceri.

domenica 10 gennaio 2016

L'atlante delle nuvole - David Mitchell

Per essere onesti sono passati qualcosa come tre mesi da quando ho finito di leggere “L’atlante delle nuvole” di David Mitchell. Il problema fondamentale è che mi è piaciuto così tanto che devo recensirlo ugualmente, anche se a mente fredda. Un po’ mi dispiace perché so che, se fatta subito, questa recensione avrebbe grondato ammore da tutte le sillabe.
Ho già letto Mitchell qualche anno fa. Lessi “I mille autunni di Jacob De Zoet” e mi piacque moltissimo. Non so perché non ho ancora incontrato nessuno che lo abbia letto. Comunque penso che si stato quello a sancire la mia ammirazione per Mitchell. Invece “L’atlante delle nuvole” ha sancito la mia ossessione. Sul serio, da ora in poi Mitchell dovrà stare attento, potrei stalkerarlo per sapere dei suoi romanzi in arrivo.
Quando di un autore leggi due libri e ne ami due alla follia, vorrà pur dir qualcosa.
 
Per chi non avessi visto il film di qualche anno fa, molto fedele fra l’altro, il romanzo si compone di sei storie che si susseguono in ordine cronologico, dalla metà del 1800 fino ad un’epoca più in là del futuro più tecnologico che possiamo immaginare. Ogni storia si interrompe a metà per raccontare la seguente, e così avanti fino alla sesta storia, che leggiamo senza interruzioni e dopo la quale riprendiamo e terminiamo tutte le altre in ordine inverso.
Di per sé ogni racconto è avvincente, commovente, o anche divertente, che sia la storia di come un robot tenta la ribellione per salvare i suoi simili o di come un editore cerca di scappare da una casa di riposo. Ogni epoca porta con sé personaggi eclettici, situazioni delle più disparate e momenti carichi di emozione.
Ciò che hanno in comune tutte le storie è il desiderio di giustizia, di un popolo o anche solo del singolo. Inoltre sono legate sia dalle storie stesse, che si ripresentano nelle altre sotto forma di diari, film, libri o registrazioni, che da tanti altri piccoli dettagli. Ricorrono ovunque le parole ‘atlante delle nuvole’, così come ricorre una voglia a forma di stella cadente in ogni personaggio principale.
 
La prima storia è ambientata nel 1800, è il diario di un notaio che viaggia ai Caraibi e il cui bottino recuperato per lavoro viene notato da un dottore imbroglione, che tenta di avvelenarlo per poterlo derubare.
Il diario viene trovato da un giovane compositore inglese diseredato. Questi viaggia in Belgio per lavorare assieme ad un grande musicista ormai anziano, che sfrutta la sua bravura per la propria fama. Durante la sua permanenza in casa del vecchio scambia lettere con il suo amante, Rufus Sixmith.
Anni dopo le lettere, gelosamente custodite da Sixmith, vengono lette da una giornalista dopo la morte dell’uomo. Questi era invischiato, suo malgrado, nella storia dell’occultamento di segreti politici ed economici, segreti che la giornalista Luisa Rey cercherà di portare a galla e denunciare.
La storia di Luisa viene raccontata in un libro, che però ancora non è un vero libro. Il manoscritto viene infatti inviato ad un editore perché venga preso in considerazione per essere pubblicato, cosa che l’editore fa durante le sue peripezie per fuggire da un ospizio dove è stato erroneamente rinchiuso. Le sue avventure sono così strambe che l’editore decide di farne egli stesso un racconto, che anni dopo si trasforma in un film.
Il film preferito di Somni 451 in effetti, nonché l’unico film che abbia mai visto, perché Somni 451 è una servente in un fast food del futuro. Creata dagli uomini per servirli è ignara, come le sue sorelle, della loro schiavitù, abilmente camuffata in vita reale e felice, almeno finché Somni non scopre la verità e fugge. Ma viene catturata, e le sue memorie prima dell’esecuzione vengono registrate.
Questa registrazione arriva direttamente al giovane Zachry, che vive in un’epoca post apocalittica che lui chiama Dopo la Caduta. Il mondo che conosce è selvaggio, smile per molti versi alla nostra epoca preistorica.
 
David Mitchell
Le storie che ho preferito sono quella ambientata negli anni trenta, con le lettere del giovane musicista, e le ultime due ambientate rispettivamente in un futuro non così lontano, e in uno invece così lontano da non riuscire a immaginarlo.
Penso di aver amato la prima storia perché mi sono affezionata al protagonista, un ragazzo incompreso, ribelle, e tuttavia dotato di genio. Invece le ultime due storie erano interessanti per la loro analisi della società e l’ipotesi di un futuro che mi sembra orribilmente plausibile.
Nel futuro di Somni 451 il pianeta sta morendo. Abbiamo sfruttato tutte le risorse disponibili, distrutto tutto ciò che la Terra ci ha offerto, e viviamo con i paraocchi senza voler vedere che cosa abbiamo fatto e a che cosa andiamo incontro. L’umanità è avida di sapere, di tecnologia sempre più avanzata, e preferisce non pensare a cosa gli riserva il futuro per non dover fare i conti con le proprie colpe.
In quello che io ho ribattezzato il Super-Futuro, invece, siamo l’umanità dopo la disfatta. Piccole tribù che vivono di caccia, raccolta, hanno superstizioni molto simili a quelle dei nostri popoli antichi. Si ammalano facilmente, vivono fino ai quarant’anni se sono fortunati e hanno sviluppato un linguaggio rozzo che è il risultato dell’involuzione di una lingua e di un popolo.
Forse potrà sembrare orribile, o tremendamente pessimista, ma io penso che andrà più o meno così se non ci diamo una regolata. In realtà penso di essere ancora ottimista nel mio piccolo, perché da alcune conversazioni con amici ho scoperto che, per la maggior parte, pensano che prima o poi ci estingueremo e basta, o distruggeremo il pianeta causando una sorta di auto genocidio.
Be’ ovviamente nessuno può sapere se andrà così, né i miei amici, né voi, né tanto meno io. Ma spero che, come detto sopra, prima di arrivare a questi livelli catastrofici ci daremo una regolata e smetteremo di vivere con i paraocchi.
 
“L’atlante delle nuvole” è un romanzo corale, di cui è difficile capire le intenzioni. Mettere nero su bianco il messaggio che vuole trasmettere è pressoché impossibile, ma anche inevitabile. Vuole dimostrare come ogni cosa sia collegata? O magari parla della ciclicità della specie umana. O forse vuole difendere l’uguaglianza, la libertà, il diritto di parola e di pensiero! O magari tutte queste cose insieme o nessuna di queste?
Non lo so, ma mi ha fatto riflettere. Solo per questo vale la pena leggero.
 
La locandina del film
 

mercoledì 6 gennaio 2016

Una strada perigliosa per un luogo più bello

Questo post sarà piuttosto ingarbugliato, perché ho delle osservazioni da fare che già nella mia testa hanno una forma confusa. Metterle per iscritto, in un modo comprensibile per altro, potrebbe essere più complicato del previsto.
Vi è mai capitato di leggere un libro bellissimo, di cui vi siete innamorati, ma di voler cambiare qualche dettaglio nella trama o nei personaggi? Magari per far finire bene una vicenda triste, o per rendere meglio giustizia al protagonista.
A me è capitato moltissime volte. Mi immergo così tanto nel libro da affezionarmici, e desiderare che tutto vada bene. Purtroppo non sempre è così, e mi ritrovo a pensare che vorrei tanto avere il numero di telefono dell’autore (o, in caso di autore scomparso, avere un passaggio per l’aldilà) per chiedergli di cambiare una o due cosine, giusto per non far terminare il tutto in una valle di lacrime, o anche solo per cambiare quel particolare che proprio non mi va giù.
D’altro canto mi domando: il libro che ho amato funzionerebbe allo stesso modo? Forse sarebbe troppo perfetto, soprattutto per me che detesto i finali troppo rose e fiori (coerenza mode: ON). Quando mi soffermo a pensarci mi dico che in fondo so benissimo anche io che quello è il modo giusto di far andare avanti la narrazione. Non sarebbe altrettanto potente altrimenti. Mi viene quindi di pensare che esistono storie che hanno un’anima propria, che quasi vivono di vita propria. Per quanto un lettore o un autore stesso vogliano cambiarla c’è sempre qualcosa che non li convince nella versione edulcorata e magari più ottimista o con una fine più allegra che ne hanno nella loro testa.
 
Per quanto riguarda le mie esperienze da lettrice posso dire che ci sono moltissimi romanzi che avrei voluto cambiare.
Il primo che mi viene in mente è “I mille autunni di Jacob De Zoet”, di David Mitchell, nel quale alla fine il protagonista (attenzione, spoiler in arrivo!) in un modo o nell’altro perde l’amore della sua vita. Ecco, Jacob De Zoet mi piaceva così tanto che avrei tanto voluto che potesse rimanere assieme alla sua bella, perché la loro storia d’amore mi emozionava. Tuttavia finendo il libro, seppur con grande rammarico, mi sono resa conto che non sarebbe potuta andare diversamente. Non sarebbe stato altrettanto onesto, immediato, di pancia, se fosse finita in un altro modo. Per quanto mi riguarda la storia deve seguire quel corso.
Oltre a quello mi vengono mente “22/11/‘64” di Stephen King, che ha una storia analoga, o “Il profumo” di Patrik Suskind. Sicuramente ce ne sono moltissimi altri, che però adesso non mi sovvengono.
La penso allo stesso modo riguardo a certe storie che ho scritto. Vi dirò di più! Certe volte pianifico la storia perché prenda una certa piega ma, ad un tratto, mi rendo conto che anche se da un punto di vista tecnico la trama non è malaccio, deve comunque prendere una strada differente. Vuoi per i personaggi, che altrimenti verrebbero snaturati, vuoi per le atmosfere, vuoi per quello che la storia comincia a trasmettere e per ciò che vi ho riversato, ma ora è come se gli fossero cresciute le sue gambette e stesse decidendo da sola dove andare.
Forse è una strada più perigliosa, ma è quella che alla fine porterà in un luogo più bello.