lunedì 27 aprile 2015

Cito testualmente #4

Tutto questo pensare ai supereroi mi ha fatto venire voglia di guardare qualche film scandalosamente trash. Quei film che guardi e sin dall’inizio capisci come andranno a finire, con mille effetti speciali, un eroe raccattato per le strade di New York e un cattivo che vuole conquistare il mondo. In base a qualcosa che non ho ancora compreso una mia amica li descrive come ‘film cinghialata’.
Non è stato difficile trovare migliaia di citazioni riguardo agli eroi, avevo davvero l’imbarazzo della scelta. All’inizio pensavo di inserire una canzone, ad esempio “Eroe (Storia di Luigi delle Bicocche)” di Caparezza, o – mi piace vincere facile – o qualcosa dal film o dal fumetto di “Kick-ass”. Poi ho pensato che l’una fosse troppo politicamente impegnata per una rubrichetta come questa, l’altra era senza veri superpoteri quindi non la potevo usare.
Alla fine ho scelto una citazione classica, vagamente buonista, ma forse molto vera. Da un certo punto di vista è facile essere un supereroe, hai i tuoi superpoteri e combatti ad armi pari contro i supercattivi, e un po’ ti senti sicuro di farlo perché tu hai la superforza, spari raggi dagli occhi o voli. Credo quindi che sia più difficile essere una super-persona. Non per forza una di quelle che aiutano il prossimo o predicano la pace, solo una persona che nel suo piccolo fa il meglio che può ogni giorno. Una persona che si trattiene prima di rispondere male a chi ama, o che dice sinceramente che cosa pensa ad un amico, anche se sa che le sue parole non gli piaceranno. Ecco, questo per me è essere una super-persona.
Ci proviamo tutti ad esserlo, e non sempre ce la facciamo, tanto che, siamo sinceri, a volte faremmo volentieri a cambio con i problemi che ha Capitan America. In fondo che vuoi che vuoi sia salvare il mondo in confronto a fare la pace con qualcuno con cui hai litigato, o ad ammettere una colpa?
 
And the shame was on the other side. We can beat them forever and ever. Then we could be heroes just for one day.  ̴ Heroes, di David Bowie
 
 

lunedì 20 aprile 2015

Tra le righe #4: Peggy Sue

Come insegna “Kill Bill” esistono due tipi di supereroi, quelli che sono nati così e quelli che lo diventano. Ad esempio Superman è nato Superman e si nasconde dietro la maschera di Clark Kent, non come Peter Parker, che deve indossare una maschera per trasformarsi in Spiderman.
Nutro una certa simpatia per i supereroi nati come supereroi, forse perché mi piace l’idea che si debbano confondere con le persone normali e siano loro stessi solamente quando vivono avventure. Per questo motivo ho scelto un personaggio che è nato con un superpotere, Peggy Sue.
La saga di “Peggy Sue e gli Invisibili” è del francese Serge Brussolo, che ha all’attivo qualcosa centomila romanzi per ragazzi, di cui la metà sono dedicati alle avventure di Peggy Sue. Io ho letto cinque o sei libri di questa saga quando andavo alle medie, ed era una delle mie preferite.
Ogni tanto mi ricordo che esiste quando la vedo in libreria e mi viene voglia di comprare tutti i seguiti che ancora non ho letto, ma ho paura che lo stile che mi piaceva tanto da ragazzina mi sembri oggi troppo semplice, e dato che Peggy Sue è stata la mia eroina preferita per circa due anni non voglio rovinarmi l’immagine che ho di lei.
 
Serge Brussolo
Peggye Sue è nata con un potere che la isola dalle altre persone e dalla sua stessa famiglia, e la fa sembrare strana: lei è la sola, nel mondo, ad essere capace di vedere gli Invisibili.
Gli Invisibili sono fantasmi che possono assumere qualsiasi forma, passare attraverso le pareti, volare da un posto all’altro, e possono interagire con gli umani proprio come le persone normali, ma noi non possiamo vederli. Sono creature malvagie e con un pessimo senso dell’umorismo, che si divertono a causare incidenti, far litigare le persone, e quanto di più malvagio possono architettare – possibilmente con delle vittime umane coinvolte.
Da quando è bambina Peggy Sue li vede combinare disastri ma, quando prova a raccontarlo agli adulti, loro la prendono per pazza. Peggy decide allora saggiamente di starsene in silenzio, e di combattere gli Invisibili da sola. La sola arma che può usare contro di loro è l’astuzia e la caparbietà.
Nel corso dei libri si uniscono a Peggy vari personaggi che la aiuteranno a combattere i fantasmi. Primo fra tutti il cane blu, un piccolo randagio divenuto telepatico e di una sfumatura bluastra a seguito di una disavventura con un sole blu che rende intelligenti. Poi arriverà Sebastian, il fidanzato di Peggy, che, colpito da una maledizione nel deserto, si trasforma in sabbia se non è abbastanza idratato. Infine la simpaticissima nonna di Peggy, una vecchina che non si stupisce davanti a niente.
Peggy Sue è un personaggio ben costruito, assieme a tutto il suo mondo vagamente spastico.  È una ragazza che sta crescendo e ha le ansie e le preoccupazioni che hanno tutti gli adolescenti, ma visto l’atteggiamento delle persone nei suoi confronti (i più la credono pazza, anche i suoi genitori) è diventata empatica, sensibile ma anche coriacea a tutto ciò che la vita le riserva.
 
Nonostante l’intera saga di Peggy Sue sia un libro per ragazzi, e abbia sicuramente molti elementi stilistici che ben si adattano ad una lettura leggera, l’ho sempre trovata un po’ inquietante. Diciamo che è per ragazzini che non si spaventano facilmente.
Per leggerla si deve essere un po’ come la sua protagonista, perché una cosa è certa: se anche Peggy si spaventa trova sempre il coraggio di giungere alla fine.
 
 

venerdì 17 aprile 2015

Sapore di realtà: il dialogo

In questo periodo sono pessima. Lo ammetto, le rubriche mi stanno uccidendo! Dato che il tempo a mia disposizione non ha alcun motivo di aumentare (casomai solo di diminuire), penso che rivedrò tutte le rubriche e deciderò quali tenere e quali eliminare. Una cosa è certa: saranno tutte a cadenza casuale.
Il fatto è che mi piaceva di più tenere il blog prima di inventare queste rubriche, perché il fatto di essere legata ad una scadenza spesso mi porta a scrivere una rubrica piuttosto che un post diverso. Finisce che pubblico solo quelle, alla fine! Quindi penso proprio che le rivedrò.
Per sottolineare questa decisione ecco un post di quelli ‘vecchi’, che non è una rubrica né una recensione. È una semplice opinione. Spassionata opinione sui dialoghi.
 
I dialoghi sono un punto dolente per me. Sono snob riguardo ai dialoghi, se non sono come piacciono a me l’intero libro è rovinato, disprezzato, dato in pasto agli ultimi scaffali della libreria, quelli più oscuri, lontani e dimenticati.
Un libro può anche avere qualche difetto, ma dei brutti dialoghi mi danno fastidio proprio mentre leggo, quindi forse è per questo che per me sono così importanti. Se la trama non è salda o i personaggi non sono il massimo la cosa non mi scalfisce durante la lettura. Ma se sono sul divano, con il mio bravo tè al limone e la testa altrove, un dialogo poco credibile può bruscamente riportarmi alla realtà.
Cosa accade ad un libro con pessimi dialoghi
Un dialogo deve essere veritiero a seconda dell’epoca in cui si svolge la storia. Leggere un libro ambientato nel settecento pieno di modi di dire che usiamo oggi è inconcepibile, così come è assurdo leggere un libro ambientato nei giorni nostri con dei dialoghi fin troppo ricercati.
Seconda cosa che trovo piuttosto fastidiosa sono i punti esclamativi. I punti esclamativi vanno usati con parsimonia. Quando vedo che ce ne sono troppi, soprattutto in un dialogo, vado fuori di me. Mi verrebbe da andare dall’autore e chiedergli come mai i suoi personaggi gridano tutti quanti e in tutti i momenti. Sembra che in molti non abbiano capito che il MAIUSCOLO (mi aspetto che lo urliate proprio, eh) e il punto esclamativo devono dare enfasi, e in un dialogo indicano che qualcuno alza la voce, con tutto ciò che ne consegue.
Ho lasciato alla fine il dolore più grande, per me: i dialoghi finti. Non so come altro chiamarli, io li chiamo dialoghi finti perché sono quei dialoghi che non possono proprio esistere nella realtà. Non per via dei contenuti, proprio per l’impostazione. Quando vengono usati troppi modi di dire, frasi scontate, battute che non fanno ridere, quelli per me sono dialoghi finti, che non farebbe mai nessuno e che sembrano usciti proprio da dove sono usciti, ossia da un libro stampato.
Un dialogo deve essere naturale e il più veritiero possibile, secondo me. Lascio alla parte narrata i picchi di poesia, le descrizioni minuziose, le divagazioni cervellotiche. Un dialogo deve sapere di realtà. In ogni caso, in ogni libro.
 
Un paio di esempi
Facciamo finta che Abelardo debba chiedere a Giovannona di uscire. Lui è un ragazzo piuttosto timido e particolare, mentre Giovannona è la più corteggiata della classe. All’uscita della scuola tuttavia Abelardo prende coraggio e ferma Giovannona prima che lei esca dalla classe.
Ecco cosa succederebbe in un brutto dialogo fra loro.
 
A: Giovannona, posso parlarti?
G: Dimmi pure, Abelardo.
A: Mi domandavo se avessi impegni per questo Sabato sera!
G: Be’, di solito esco con le mie amiche e andiamo a ballare. Proponi forse qualcosa di diverso?
A: S-se volessi, magari potremmo andare a mangiare una pizza. E poi al cinema.
G: Per caso è un appuntamento?
A: …credo proprio di sì!
G: Va bene. Ci vediamo alle sette allora.
 
Non vi sembra inutile? Non state agonizzando sulla tastiera? Ecco invece cosa accadrebbe in un dialogo normale (badate bene che l’ho inventato io, quindi non aspettatevi Shakespeare).
 
A: Oh, Giò!
G: Mh?
A: Com’è andata a te la verifica?
G: Ma, boh… mi sa bene. Ho risposto a tutto, alcune però le ho sparate a caso. Tu?
A: Penso bene, non lo so. Maaa, volevo chiederti una cosa. Ti va una pizza Sabato?
G: …
A: Poi, magari, se c’è qualcosa di interessante, andiamo al cinema.
G: Ah, sì! Fanno un film che voglio troppo vedere, quello della Disney.
A: Sì, okay. Ci troviamo in Duomo, per te va bene? Alle… sei a mezza?
G: Okay.
 
Un po’ meglio, o no? Fate conto che tutte e due le situazioni sono portate all’estremo (a cominciare dal nome dei protagonisti) ma era tanto per darvi un’idea.
Ora, vi viene la pellagra come a me quando ci sono dei dialoghi troppo… troppo… troppo in tutti i sensi?

martedì 14 aprile 2015

Votate, miei prodi!

Due post fa vi avevo promesso una grossa novità, ed eccola qui.
A Febbraio ho partecipato ad un concorso indetto dalla Sem Edizioni, che consisteva nello scrivere un racconto a tema libero. Le uniche ‘restrizioni’ erano il numero di battute (abbastanza per la mia incontinenza verbale, per fortuna) e l’inserimento di due frasi all’interno della narrazione. Le frasi in questione erano una tratta da “Io uccido” e l’altra di “L’amore ai tempi del colera”, rispettivamente di Giorgio Faletti e di Gabriel Garcia Marquez. Ci si contende la pubblicazione dei primi dieci racconti e un ulteriore premio (penso per i primi tre, questo ancora non mi è chiaro in realtà).
Insomma, per farla breve, sono nella graduatoria per essere pubblicata!

 
 
 
La seconda parte del concorso prevede che il mondo voti per il racconto preferito, in base ai voti della giuria e a quelli ricevuti tramite social decideranno la classifica finale. Sotto vi lascerò i link delle vaie pagine, il sito ufficiale della casa editrice e la pagina facebook sulla quale hanno messo il sondaggio.
Ora, non vi posso obbligare a farvi piacere proprio il mio racconto, fra tutti quelli che ci sono, perciò vi dico soltanto che il mio s’intitola “Il fantasma del mulino” e, se vi ispira, potete votarlo!
Vi ringrazio in anticipo sia per aver letto questo piccolo post, sia per il vostro eventuale voto. Una buona giornata a tutti!
 
Link:

lunedì 13 aprile 2015

Sono scrittore #4: Stan Lee

Trovare un libro con i superpoteri, un personaggio supereroe e una citazione che parli di questi è relativamente facile. Per questa rubrica però nasce spontanea la domanda: si può trovare un super-scrittore?
Per un po’ ci ho pensato. Non a cercare uno scrittore con i superpoteri, ma a cercarne uno che abbia fatto qualcosa di grandioso. Mi sono chiesta con quale criterio cercarlo e qui sono iniziati i dubbi. Opere umanitarie? Romanzi famosi o importanti? Una lotta contro la società, le malattie, i pregiudizi? Alla fine mi sono resa conto che i super-scrittori sono soggettivi. Ognuno ha il proprio eroe personale in fatto di autori, così ho deciso di scegliere qualcuno che ha dedicato la proprio vita ai supereroi.
Non è uno scrittore nel senso comune del termine ma di certo condivide molte delle fasi creative di un autore. Inventa i personaggi e la trama, entra in contatto con i lettori e vede come reagiscono alle sue storie. Ho scelto lo sceneggiatore di fumetti più famoso, venerato e dalla faccia più simpatica che esista: Stan Lee.
 
 
Stanley Martin Lieber nasce a New York nel 1922 e, poco più che ragazzino, va a lavorare per la Timely Comics, che diventerà in futuro l’oggi famosissima Marvel Comics.
Chiaramente appassionato di fumetti sin da bambino, Stanley ha una visione originale e moderna sul mondo del fumetto e questo viene subito notato. Nel 1941 viene pubblicata una sua pagina di testo in un numero di Capitan America, e questo lo porta a diventare l’editor più giovane nel campo alla sola età di diciassette anni. Firma la pagina con lo pseudonimo di Stan Lee, grazie al quale diventerà famoso.
Alla fine degli anni ’50 la Marvel Comics è in crisi. Lo stesso Stan ripensa più volte alla sua carriera, e si domanda se non sia meglio lasciare la Marvel. Viene scelto per creare un nuovo gruppo supereroistico e, spinto e sostenuto dalla moglie, Stan Lee crea dei soggetti innovativi, dei ‘supereroi con super-problemi’, che rivoluzionano il mondo del fumetto. È così che nascono “I fantastici 4”.
Prima di Stan Lee i supereroi erano personaggi perfetti e proprio per questo non molto coinvolgenti. La loro vita privata era il sogno americano e i supereroi dovevano solo preoccuparsi di combattere il malvagio di turno e non farsi scoprire. Superman era così forte che nessuno avrebbe mai potuto batterlo – tolto quel piccolo dettaglio della criptonite – e Batman nella vita privata era un ricco miliardario servito e riverito. I nuovi supereroi di Stan Lee vengono umanizzati, e avvicinarsi a questi personaggi è più facile perché hanno molto in comune con le persone reali. Hanno un carattere difficile, spesso litigano fra loro, si devono preoccupare di pagare l’affitto, di conquistare la ragazza dei loro sogni, e l’essere anche supereroi li rende spesso malinconici perché sognano una vita normale, più tranquilla. Insomma prima di essere eroi sono persone, e questo piace subito al pubblico.
I nuovi eroi che la Marvel crea a cavallo fra gli anni ’50 e ’60 grazie all’innovazione di Stan Lee sono alcuni dei più famosi. In questo periodo vedono la luce Hulk, Thor, Ironman e il gruppo pressoché infinto degli X-Man (i miei preferiti se volete saperlo, io tifo per Magneto).
Stan Lee è diventato una leggenda ma questo non gli impedisce di certo di mantenere un rapporto con i suoi fans. Si rivolge direttamente ai lettori con tono colloquiale e scherzoso, coniando delle formule o dei modi dire che oggi sono diventati gergali in ambito fumettistico.
Non sono l’unica, poi, ad aver notato la sua aria simpatica. Stan Lee è infatti stato sopranominato The Similn’, il sorridente. Sarà per questo che si è aggiudicato tantissimi cameo nei film tratti dai fumetti della Marvel.
 
So che Stan Lee non è un autore nel vero senso della parola, è più uno sceneggiatore, ma creare i personaggi e la trama di un fumetto non è poi così diverso che creare personaggi e trama di un libro. La modalità di lettura sarà anche diversa, ma la motivazione e le sensazioni che ci danno sono le stesse: sono storie in cui fa piacere immergersi, che ci rendono felici di essere lettori.
Quando poi ho letto della rivoluzione che ha portato ai personaggi supereroistici non ho avuto più dubbi, Stan Lee è il soggetto perfetto per questa rubrica.
E poi, insomma, come fai a resistere quando vedi questo vecchietto così simpatico?
 
 

mercoledì 8 aprile 2015

Boomster Award

Qualche giorno fa ho scoperto di aver vinto un premio per “Changes.Chances.” Ringrazio moltissimo Grazia Gironella, del blog “Scrivere è vivere” per la nomina.
 
 
Dato che sono una persona pigra e malvagia non credo seguirò tutte ma proprio tutte le regole del concorso. La verità è che sono riuscita a ritagliarmi dieci minuti per scrivere questo post e, sebbene abbia pensato a chi ‘passare il testimone’ con altre nomination, ho visto che molti dei blog che volevo scegliere hanno già ricevuto la nomina da qualcun altro. Non mi sembrava giusto sceglierne altri perché sarebbero stati la mia seconda scelta e poi, lo ammetto, nove sono davvero troppi troppissimi e dato che ultimamente non riesco nemmeno a scrivere i post normali ho rinunciato all’idea perché ne verrebbe fuori un post frettoloso e fatto male.
Per essere corretti mi assegno da sola il “Bitch, please Award”, e cioè ciò che viene assegnato a chi non segue le regole del Boomster.
 
 
Risponderò però alla domanda che Grazia Gironella ha dato a tutti i suoi nominati, ossia: se non ti piacesse leggere/scrivere, quale sarebbe il tuo secondo hobby?
 
Alcuni sanno già la risposta: amo cucinare. Avevo scritto da qualche parte un piccolo post al riguardo, comunque per chi se lo fosse perso lo ribadisco, datemi una cucina e tutto ciò che è commestibile e mi rendere una personcina felice.
Preferisco fare i dolci, ma cerco di limitarmi per mantenere la linea, perché se li preparo poi sicuramente ne mangerò una buona metà da sola! Pur di peccare di superbia, vi dico che molti piatti che sperimento – perché se non hanno qualcosa di curioso o complicato non mi affascinano, eh! – riescono bene. A volte faccio delle cose immangiabili ma, per la fortuna del Fidanzato, la maggior parte delle cose mi riescono bene.
In famiglia mi sono guadagnata la fama di quella che prepara torte per riunioni ed eventi vari. La cosa si sta lentamente ritorcendo contro di me, perché ad ogni compleanno mi vengono chieste cose sempre più strane (l’ultima è stata una torta cioccolato e cocco a tre piani… ci ho messo due giorni a finirla del tutto).
 
Comunque sia ringrazio moltissimo Grazia per la nomina e vi suggerisco di andare a leggere il suo blog che sopra vi ho linkato, perché è ricco di curiosità e articoli interessanti, ma non è pretenzioso o serioso.
Inoltre mi impegno qui e ora a promettere a tutti quanti – siete testimoni – che se mai dovessi vincere qualcos’altro seguirò pedissequamente le regole!

lunedì 6 aprile 2015

Segna(la)libro #4: “Ritratto di famiglia con superpoteri”, di Stephen Amsterdam

Inizia un altro mese, e io sono in una situazione di stallo. Una di quelle situazioni in cui non c’è da fare altro che attendere, cosa che onestamente mi sono stufata di fare, ma tant’è.
Ora, non è che io scelga i temi delle rubriche in base a quello che mi capita, probabilmente il fatto è che penso talmente tanto alla mia situazione che riesco a relazionarla con ogni cosa. Mi piacerebbe però liberare un po’ la mente con questo mio piccolo spazio, perciò ho scelto un tema che sarà impossibile relazionare con qualsiasi cosa: superpoteri e supereroi.
 
Giordana ha 15 anni ed è alla continua ricerca di sicurezze. La sua sensibilità verso tutto ciò che la circonda la porta ad accordare una seconda occasione al padre alcolizzato, che sembra non volerne più sapere della famiglia. Giordana può diventare invisibile e, concentrandosi molto, attraversare i muri e le persone. Ben è il fratello maggiore di Giordana. Sposato con Janelle, senza lavoro e con un figlio piccolo, si sente depresso e in trappola, finché non prova l'impulso di imitare il volo di un uccello e scopre il suo superpotere. Volare lo porterà ad apprezzare di più quello che ha, e ad aiutare il prossimo in situazioni di pericolo. Natalie è la moglie di Peter, mamma di Alek e Sasha e sorella di Ruth. Quando scopre di saper nuotare velocissimo (a livelli olimpionici) trova dentro di sé una nuova forza per affrontare il comportamento ingestibile di Alek, che si allontana sempre di più da lei e dalla famiglia. Ruth è la mamma di Ben e Giordana e la sorella di Natalie. È costretta a rifarsi una vita dopo la separazione dal marito. È un'infermiera, e il suo potere è la telepatia. Si prende cura di Alek quando si intensificano le sue inspiegabili fughe, e ciò fa sì che i suoi legami con la sorella si deteriorino, fino a spezzarsi. Sasha è il fratello maggiore di Alek. Ex ragazzino timido e introverso, lo ritroviamo trentenne, gay dichiarato, mentre organizza un party di compleanno per sua cugina Giordana, ormai una brillante accademica. Il suo potere è far innamorare le persone...
 
Onestamente? Questo è l’unico libro con i superpoteri che ho trovato che non fosse un paranormal romance. Forse non ho usato la chiave di ricerca adatta, e i paranormal romance sono gli unici libri, oltre a questo, che rispondevano alla descrizione. Stavo per arrendermi a dover utilizzare uno dei millemila libri che hanno seguito la scia di “Percy Jackson” o di “Shadowhunters”, poi ho visto questo.
All’inizio non ero molto convinta perché sembrava un libro troppo particolare, ma poi è stata proprio la sua originalità a conquistarmi. È un po’ il contrario di “Kick-ass”: dei veri superpoteri ma senza supereroi. Questo libro risponde alla domanda che Marvel e DC si pongono da decine e decine di anni: se avessimo dei superpoteri, che cosa ne faremmo?
Indubbiamente film e fumetti finiscono per rendere il tutto fin troppo fico, con morti commoventi ed eroici sacrifici, mentre la maggior parte dei libri prendono il ragazzino di turno e lo trasportano in una rocambolesca avventura vagamente da film Disney. Nella realtà, se avessimo dei poteri, io dico che li useremmo pochissimo.
Intanto, con la fortuna che abbiamo, il superpotere di volare andrebbe a qualcuno che soffre di vertigini. Un tipo anonimo, mediamente felice, con i suoi piccoli crucci e le sue piccole vittorie, che non saprebbe nemmeno che farsene di questo potere. Magari padre di un’adorabile bambina e di un irascibile adolescente, con una moglie che cucina benissimo la torta al cioccolato che a lui non piace e fa asciugare la bistecca che lui adora. Insomma un tipo normalissimo, quindi scordiamoci il muscoloso Clark Kent o la fisicatissima Wonder Woman. Uno così, che se ne fa del volo? Sembra che Stephen Amsterdam abbia risposto a questa domanda.
Siamo realistici, a cosa saper volare quando sei padre di un quindicenne che ascolta musica a tutto volume e da grande vuole fare la rockstar?