domenica 21 ottobre 2018

Libri per uccidere il furore


A volte quando cerco il titolo di un post mi sento una che cerca una strategia di marketing. Il titolo di un post dovrebbe incuriosire, spingere le persone ad aprire la pagina, a voler scoprire cosa nasconde l’articolo. In questo caso mi sento un po’ di aver toppato, perché sembra che stia per parlare di manuali di auto aiuto (“Problemi a controllare la rabbia? Non uccidere il tuo vicino, uccidi il furore!”).
Eppure non mi sentirei di intitolarlo in altro modo, non mi viene in mente nulla di più veritiero in questo post, perché sto per dirvi con quali libri ho schiacciato nello stomaco ‘i grappoli di furore’ che John Steinbeck ha prima seminato con cura (forse da quando l’anno scorso lessi “Uomini e topi”), ha guardato germogliare uno dopo l’altro, come germogliava il mio desiderio di avere tra le mani il suo romanzo, ha guardato i fiori sbocciare mentre giravo le pagine e, infine, ha visto il frutto nascere. E questo frutto era troppo amaro per essere mangiato tutto in una volta, ti faceva sul serio arrabbiare ed era meglio, decisamente meglio, intervallarlo con un sapore meno acre.
(L’introduzione non intendeva essere così lunga, è solo che quando parlo di “Furore”, di qui a qualche giorno – settimana – non riesco a essere breve. Merita un post tutto suo ovviamente, l’unica domanda è se riuscirò a scriverlo o mi dilungherò nell’intento.)


Longbourn House – Jo Baker

Non appena ho scoperto dell’esistenza di questo libro, ho pensato che sia una fortuna che Jane Austen sia una delle scrittrici i cui lavori suscitano ancora curiosità. I suoi libri e quelli di pochi altri (Arthur Conan Doyle, Shakesperare e Lewis Carroll sono i primi che mi vengono in mente) nonostante gli anni trascorsi continuano ad essere oggetto di ricerca. Ma non solo, le loro opere sono spunto per raccontare le stesse vicende in altro contesto. Così è nato il film “Romeo + Giulietta” (che personalmente trovo geniale, nella sua semplicità), per non parlare di tutti i rimaneggiamenti in chiave horror/comica/psicologica/quant’altro che ha subito “Alice nel paese delle meraviglie”, ad esempio.
In questo concetto nasce “Longbourn House”, dell’autrice inglese nonché studiosa di Jane Austen, Jo Baker. Longbourn è la casa nella quale vivono i Bennet, la famiglia protagonista di “Orgoglio e pregiudizio”. Questo romanzo viene venduto come la stessa storia, ma dal punto di vista dei domestici della casa (una sorta di “Downton Abbey” alla Jane Austen), ma dopo averlo letto mi sento di dire che non è affatto così.
Sarah lavora sin da bambina a Longbourn, sorvegliata dalla severa ma gentile Mrs Hill, ma proprio perché non ha conosciuto altro dalla vita se non il lavoro e pochissime soddisfazioni, ha il desiderio di conoscere di più. Un desiderio che a noi può sembrare scontato ma che, all’epoca, non lo è affatto. I ruoli a casa Longbourn sono decisi, i confini ben tracciati – così come nel resto della società – e la gente comune si accontenta di ciò che ha perché non le viene mai detto che potrebbe avere di più. All’arrivo del valletto James, gli orizzonti di Sarah si allargano: lui ha viaggiato, anche se non vuole dire perché, dove e in quale occasione. E quella consapevolezza di volere di più dalla vita, di poterlo pretendere per se stessa e di dover solo raccogliere il coraggio necessario per ottenerlo, cresce in lei di pari passo con lo svelarsi dei segreti che Longbourn House nasconde.
In caso siate fan di Jane Austen, o di “Orgoglio e pregiudizio”, mi sento di consigliarvi questo libro, nonostante i protagonisti della Austen non ne escano con un ritratto lusinghiero come nell’originale. Anche in caso vi piacessero i libri storici, o questa particolare ambientazione, ve lo consiglio. Inizia come un romanzo tranquillo, in cui sembra di sapere a cosa si va incontro – una tresca o due con nulla più che un bacio come frutto della colpevolezza, un segreto riportato alla luce dopo anni – ma non è così. “Longbourn House” dà vita a personaggi profondi, a legami che durano anni e che vanno oltre le convenzioni. Dà spazio alla natura umana nella sua fragilità più grande e non si può fare a meno di affezionarsi ai personaggi, anche quelli che Jane Austen ha nominato solo una volta, nel suo romanzo.


Resta con me fino all’ultima canzone – Leila Sales

Sì, lo so, questo è un titolo del cavolo. Non so proprio perché lo abbiano intitolato così, un libro che in origine si chiamava “This song will save your life”. Preferisco ricordarlo con il suo nome originale.
Allora, piccola premessa: ho la nomea, fra gli amici, di amare le storie drammatiche. Sono quella che si guarda film/legge libri solo se c’è un morto, un malato terminale, una qualunque situazione drammatica possibilmente angosciante. Non è così, lo giuro. Cioè, forse, ma penso sempre che se non c’è un nodo da scogliere la narrazione non può farmi traboccare il cuore di arcobaleni, e quindi tanto vale non leggerlo/guardarlo.
Questo libro prometteva di essere tranquillo, divertente, leggero. Uno YA senza pretese, che arrivava dritto a quell’angolino del petto che l’adolescenza ha lasciato dentro di me, facendomi sognare per un po’. Prometteva. Ma ha infranto qualsiasi promessa. Una mia cara amica si è messa a ridere quando le ho detto che lo stavo leggendo perché sembrava leggero, e nel primo capitolo la protagonista tenta il suicidio… (“La tragedia ti perseguita anche quando non la vuoi, è un cane vagabondo a cui hai dato del cibo.” Queste sono state le sue parole.)
Elise è sempre stata timida e ha difficoltà a fare amicizie. Questo l’ha allontanata moltissimo dai suoi coetanei e a scuola si sente invisibile. In pochi le parlano, se lo fanno molte volte è per prenderla in giro, e quando è al centro dell’attenzione è per via di scherzi architettati a suoi danni. Elise vorrebbe solo avere degli amici, vorrebbe smettere di essere invisibile, vorrebbe sapere cosa dire quando si trova insieme ad altri ragazzi. Cosa che inizia a fare quando per caso, durante una passeggiata notturna di nascosto dai suoi genitori, trova lo Start, una discoteca di musica rock/alternative. Lì incontra persone che hanno i suoi stessi interessi, ragazzi più grandi che riescono a capire come a volte il liceo possa essere crudele, e si trovano bene con lei in quanto Elise è molto intelligente e matura per una ragazza della sua età. Allo Start, Elise diventa amica del dj, un ragazzo che all’inizio la affascina, ma più di tutto scopre che le piace fare la dj. Un padre musicista e una vita ad ascoltare musica rock la aiutano sicuramente nell’impresa, e rimboccandosi le maniche Elise scopre una passione che davvero la può salvare. E scopre anche come muoversi in mezzo al marasma di problemi che un’adolescente timida e un po’ stravagante, come lei, può avere.
Niente di più. Niente di meno. Un libro che affronta tematiche profonde, che non è scontato, dotato di una prosa leggera. Il libro perfetto per perdersi un po’, anche se all’inizio è stato un po’ scioccante – dopo un titolo del genere – sapere che una delle tematiche affrontate è il suicidio adolescenziale. Warning: explicit content.


A presto con un post su “Furore”. Sì, perché in tutto ciò io ancora sto pensando a quello.

lunedì 8 ottobre 2018

Eternal war, Vita Nova - Livio Gambarini

Finalmente sto postando una recensione, mi sembra un secolo che non ne posto una.
In quanto a letture avevo già accennato a quanto quest’anno stavo faticando a leggere, più per mancanza d’ispirazione che di tempo, quindi i libri che ho portato a termine sono, con tutta probabilità, dei libri eccezionali già solo per aver tenuto la mia attenzione alta. Tuttavia di questi libri eccezionali ancora non ne ho recensito nessuno – questo sì per mancanza di tempo.
Sono qui per rimediare.

Qualche settimana fa mi è arrivata una richiesta di lettura da parte di un autore, che ringrazio per essersi ricordato di me e avermi dato la possibilità di leggere la seconda parte della sua serie, un fantasy storico ambientato nella seconda metà del 1200 con protagonista Guido Cavalcanti (sì, quel Guido Cavalcanti). Forse qualcuno ricorderà la recensione del primo volume, che trovate qui, e se non ricordo male era più entusiastica di quanto io stessa mi aspettassi all’inizio.
In ogni caso adesso vi ammorberò con un sacco di ammore per il secondo volume, perché “Eternal war, Vita Nova” di Livio Gambarini, è ancora meglio.

Avevamo lasciato un Guido felice e soddisfatto della propria esistenza, appena sposato con l’amata Bice degli Uberti e sfuggito per un pelo al controllo dell’Ancestrarca Chiaranima. Urge subito un chiarimento: gli Ancestrarchi sono spiriti che rappresentano le famiglie più importanti. Tramite l’influenza che hanno sul Pater Familias possono aiutare la stirpe a crescere in potenza e ricchezza. Assieme a molti spiriti, che altro non sono se non lo specchio di ciò che accade nel nostro mondo, si muovono in una sorta di universo parallelo, profondamente legato alla nostra quotidianità, le Lande dello Spirito.
L’Ancestrarca della famiglia Cavalcanti, Kabal, si ritrova ad un bivio quando Guido è in pericolo di vita e sceglie di donargli il potere di viaggiare nelle Lande dello Spirito. In questo modo lo salva, ma adesso Guido può vedere con i propri occhi la corruzione e il male che albergano nel mondo, che nelle Lande non sono nascosti ma, al contrario, bene in vista ad influenzare le decisioni degli esseri umani. Disgustato da ciò che vede, Guido sceglie di recidere il suo legame con Kabal, per non essere più un burattino nelle sue mani e non sottostare a nessuna influenza. Scopre così che nulla, nella sua vita, è mai stato semplice e naturale, nemmeno innamorarsi della sua adorata Bice. Così, per liberarsi dell’ultimo spirito – il più forte – che lo comanda, ingaggia una battaglia contro Amore stesso e vince. Nelle Lande il suo petto è solcato da una cavità profonda, laddove ha estirpato l’amore.
Adesso Guido è un uomo libero da legami e costrizioni. E scoprirà se la sua scelta è stata giusta o se dovrà pentirsene.

Oh be’, avrete già capito che mi è piaciuto. Non sono capace di scrivere riassunti quando un romanzo non mi ha entusiasmata, escono freddi e incolori e fatico a scriverli, penso si noti subito. Questo è venuto fuori praticamente da solo.
Allora, difficile non fare spoiler data la complessità della storia, ma cercherò di non farlo. Ricordo che nel primo volume una delle cose che mi era dispiaciuta di più era il fatto che sembrasse affrettato, perché mi sarebbe piaciuto dilungarmi di più e conoscere meglio i personaggi e il mondo in cui si muovono. Qui l’autore ha esaudito il mio desiderio come se mi avesse sentita esprimerlo, infatti abbiamo modo di conoscere meglio i personaggi, di sondare le loro sfaccettature e scavare in quelle che, nel primo libro, sembravano quasi maschere, inoltre capiamo meglio come funziona il mondo fantastico nel quale si muovono.
In questo volume scopriamo che Kabal non è il personaggio cinico e persino un po’ malvagio che abbiamo conosciuto – almeno, non solo. Dimostra un reale desiderio di proteggere Guido e la sua famiglia, un desiderio che a volte va oltre la brama di potere. Allo stesso tempo anche Guido, che nel primo romanzo pareva quasi un ingenuo, unicamente controllato da Kabal, tira fuori un carattere pieno e completo, in grado di mutare i sentimenti che ho provato per il personaggio (all’inizio mi inteneriva, poi l’ho odiato, poi compatito, vi lascio scoprire da soli il perché).
L’unica difficoltà che ho trovato nella lettura è stata l’abbondanza di personaggi. Forse perché ho letto la prima parte tempo fa, ma a volte me li confondevo e all’inizio ho faticato a riallacciare tutti i fili per una lettura scorrevole. In effetti il romanzo è molto complesso, sia per trama che per ambientazione, tuttavia l’autore ha saputo inserire nei posti e nei modi giusti richiami a quanto successo in passato.

Ricordo che uno dei momenti che più mi erano piaciuti nel primo libro – con quella sensazione da guilty pelasure mentre leggevo – era l’apparizione di Dante. Senza dubbio oggi è più conosciuto di Cavalcanti ed era stato divertente trovarlo nella narrazione, ma qui gli viene dato più spazio.
Quando compaiono personaggi storici reali nei libri ho sempre timore che vengano trattati con troppo riguardo, come se non si volesse intaccare l’aura di importanza che i secoli gli hanno costruito intorno. Preferisco quando viene invece mostrato il loro lato più umano, ed è ciò che ho trovato per Dante in Eternal war. Mentre leggevo mi è tornato in mente Benigni in Tutto Dante, che diceva di come noi oggi lo pensiamo serio e austero, e dobbiamo sforzarci per immaginarlo come una persona. Livio Gambarini è riuscito a fare questo, è riuscito a mantenere il poeta e a unirvi l’uomo, quello con il quale potersi confrontare, quello che si può capire senza aver studiato alcunché.
Ciò detto, devo ammettere che un’infarinatura o almeno un vago ricordo delle lezioni di italiano possono rendere questo libro ancor più godibile. Infatti rileggere i sonetti di Cavalcanti in chiave di lettura fantasy, o leggere della genesi di “Tanto gentile e tanto onesta pare”, mi è piaciuto moltissimo.

In ultimo vorrei spendere due parole sulle Lande dello Spirito, questa sorta di universo invisibile, che riflette senza inganni ciò che siamo. Leggere di questo mondo è bellissimo, è come entrare in un paese delle meraviglie, ma più cupo e inquietantemente realistico. La immagino con i contorni sfocati e i colori distorti, a volte più spenti altre più cangianti di quanto non siano nella realtà.
Ammetto che anche queste descrizioni sono complesse da leggere, perché l’autore parla di un mondo con regole proprie, dove tutto è simbolico. Mi viene difficile persino da spiegare, ma nelle scene ambientate nelle Lande mi sembra che mi sfugga sempre qualcosa.

Penso di non aver trovato, finora, un fantasy per adulti così accurato, sia nel linguaggio che nella ricerca storica. Mi piace come racconta e immagina avvenimenti che probabilmente la maggior parte di noi conosce tramite i libri di scuola. Mi piace immaginare che sia davvero andata così.
Vi lascio con un piccolo estratto, una descrizione di ciò accade nelle Lande alla presenza del Papa, e che ha destato la mia attenzione. L’ho adorata per la sua genialità, per i dettagli, per l’umorismo.
Insomma, per sicurezza ve lo dico chiaramente: procuratevi Eternal war, giusto per farvi un regalo.



Cercando di non farsi accecare dalla dannata luce di gloria, Kabal strizzò le palpebre e guardò in su. Dopo alcuni istanti, dal bruciore accecante emerse la forma del Sovrano della Chiesa.
Era un gigantesco fiore con la base cinta da una corona d’oro, da cui si innalzavano centinaia di petali simili a cappelli vescovili di velluto candido. Dalla punta di ogni petalo si irraggiava un filo lucido, che saliva a scomparire oltre l’oculo della cupola.
Dagli interstizi tra i petali stillava una densa melma nera, che colava ad ammucchiarsi sul pavimento. Spiriti alacri con mani di vanga la spingevano in cumuli mollicci agli angoli del salone, dove ecclesiasti incappucciati erano intenti a divorarla, bruciarla e tramutarla in inchiostro santo; quella in eccesso spariva semplicemente in larghe fenditure sul pavimento.
Kabal toccò la spalla di Portinum: “Deh, non ti pare che l’ultimo Pontifex producesse più melma di questo?”