mercoledì 28 ottobre 2015

Leggere è un’arte #2: La ragazza con l’orecchino di perla – Tracy Chevalier

I romanzi che hanno come tema l’arte sono i miei preferiti. Sin ora, purtroppo, ne ho trovati pochissimi che mi piacciano davvero. Devono avere la giusta dose di romanzo e arte. Devono saper miscelare la vicenda, i personaggi e i fatti storici (che molto spesso in questo genere giocano se non un ruolo fondamentale, almeno un ruolo importante) con la parte artistica, a volte tecnica ma molto spesso anche e soprattutto emozionale.
Immaginavo di imbarcarmi in una storia più d’amore che di arte e storia, quando iniziai “La ragazza con l’orecchino di perla”. Le storie romantiche non mi prendono né emozionano quasi mai, tuttavia scelgo questi libri un po’ come scelgo di andare a vedere una mostra: mi piace l’artista?, bene, lo leggo.
Probabilmente è una scelta sbagliata, come dimostrerà questa recensione, ma la curiosità mi batte sempre. Che posso fare? Mi disegnano così.
 
Siamo a Delft, piccola cittadina olandese, alla fine del 1600. La giovane Griet, a causa di un incidente che ha reso il padre completamente cieco, è costretta a trovare un lavoro per dare sostegno economico ai suoi cari. Da lei dipendono i genitori, la sorella minore e il fratello, su cui la famiglia ha investito tanto perché lavori in un forno che produce ceramiche.
Griet si ritrova quindi nella casa del maestro Jan Vermeer, famoso e stimato pittore, a lavorare come domestica. Inizialmente turbata dal lusso della casa e dalle immagini religiose che si allontanano dalla sua fede, essendo lei protestante e i Vermeer cattolici, Griet pian piano si abitua alla sua nuova vita e al lavoro. Inizia a comprendere la dinamiche che vigono all’interno della famiglia e a destreggiarsi fra le varie personalità con cui ormai convive.
Il pittore lascia che sia la suocera, Maria Thins, a occuparsi di governare la casa e vendere i suoi quadri su commissione. Lui si occupa soprattutto della pittura, dell’arte, e lo fa con i suoi modi e i suoi tempi. La moglie, Catarina, sebbene tenti di sembrare padrona della situazione, soffre perché non sempre ha la piena attenzione del marito, inoltre viene descritta come vanesia e debole.
Uno dei compiti più importanti di Griet è occuparsi di pulire lo studio dell’artista, senza però spostare nulla o cambiare disposizione agli oggetti. Grazie a questa intrusione forzata ma necessaria, Vermeer osserva Griet da lontano e ne rimane affascinato. Con il passare del tempo scopre anche che Griet nasconde un gusto non comune per l’arte, soprattutto per qualcuno nella sua posizione sociale – la ragazza infatti non è altro che una semplice popolana. Fra i due viene a crearsi una complicità particolare, fatta di sguardi e silenzi trascorsi vicini l’uno all’altro, mentre miscelano e preparano colori.
È in questo clima che il pittore è costretto, per una serie di incombenze, a iniziare “Ragazza con turbante”, il ritratto di Griet.
 
Da dove incominciare? Il mio sospetto iniziale si è rivelato fondato. “La ragazza con l’orecchino di perla” non è incentrato sul quadro, né su Vermeer, e nemmeno sulla sua pittura. Principalmente, è una storia d’amore.
Be’, se non altro mi sono tolta la curiosità.
Non è che non abbia apprezzato questo libro, in realtà l’ho letto molto in fretta perché, se c’è da dire qualcosa sullo stile, è proprio che è scorrevole e facile da leggere. Nonostante la Chevalier si soffermi spesso su dettagli che, a dirveli, farebbero cadere le braccia, non risulta mai noiosa o prolissa. Apprezzabile sicuramente il fatto che si sia documentata su Vermeer e sull’Olanda del ‘600 – il che non è semplice dato che le notizie su questo artista sono da sempre molto scarse.
Ciò che davvero non mi è piaciuto del romanzo è stata la protagonista. Ora chiudete la pagina e mi mandate a quel ridente paese, lo so. Ma questa volta non è il mio ribrezzo per i protagonisti a parlare, è proprio un fatto oggettivo – ve lo giuro.
Tracy Chevalier
Griet è una ragazza giovane, semplice, una ragazza del popolo. Non viene detto ma quasi certamente è analfabeta, cresciuta in un ambiente piuttosto povero e di certo superstizioso, come la stragrande maggioranza dei popolani di tutto il mondo di quei tempi. Anche se suo padre dipinge piastrelle non ha l’esperienza di qualcuno che dipinge un quadro. Ciò che la figlia di un artigiano che disegna figurine stilizzate su ceramica può recepire dell’arte deve essere una parte infinitesimale di ciò che si dovrebbe apprendere per avere, se non buon gusto, un gusto almeno passabile. Nonostante tutto questo Griet intuisce e ‘sente’ cosa il maestro vuole dire quando parla di arte. Azzarda persino dei suggerimenti che vengono seguiti da Vermeer stesso e pensa a dettagli come le luci in un dipinto e gli accostamenti di colore quando persino la padrona, moglie dell’artista che vive con lui da anni, non ci bada affatto.
Inoltre nonostante sia al suo primo impiego e non abbia mai incontrato persone di un ceto sociale superiore al suo, Griet comprende al volo come funzionano le cose in casa. Capisce subito chi dovrebbe comandare ma non lo fa, chi desidera farlo ma non è capace, e chi lo fa in secondo piano – e quindi a chi deve più rispetto. Impossibile, immagino, che una ragazza ingenua e inesperta come Griet recepisca subito queste sottigliezze. In partica è troppo furba per essere ciò che è, il suo personaggio è contraddittorio, irreale.
Questa è la cosa che più mi ha infastidita di tutta la narrazione. Soprattutto perché è basata su questi giochi di potere, apparenze e sottili furbizie. Il che è un peccato, perché io adoro le sottili furbizie e i giochi di potere. In mano ai personaggi che dovrebbero usarli, però.

lunedì 19 ottobre 2015

Libri e autori: l'altra faccia della medaglia

Da brava fangirl quando un libro mi piace vado sempre a cercare l’intera bibliografia dell’autore. La spulcio tutta fino a che non ho trovato altri titoli che mi interessano e, spesso, cerco notizie sull’autore.
Gli autori, per quanto siano geniali e forse proprio per quello, ogni tanto hanno vite travagliate. Non sono uomini particolarmente piacevoli e lo dimostrano dichiarando di avere pochi affetti e di averne compromessi molti, oppure hanno qualche altro difettuccio che salta all’occhio.
Sono esseri umani. Hanno dei difetti, come i fantastici personaggi che dipingono nelle loro opere che tanto amiamo.
 
Sono già noti i nomi di molti autori che furono, ad esempio, alcolisti o tossicodipendenti, e morirono a causa del loro vizio (Poe ad esempio è il primo che mi viene in mente, o Kerouac o, per non andare molto lontani negli anni, King ha dichiarato di essere stato un alcolista in passato e di aver superato con molta fatica questa dipendenza). Altri finirono in carcere, altri ancora erano personaggi violenti, donnaioli (il che non fa mai molto piacere ad una ragazza) o altri difetti del genere.
Alcuni piccoli, altri grandi, altri pericolosi altri magari solo difficili da sopportare. Tuttavia dobbiamo affrontare la realtà: i libri che amiamo a volte sono scritti da persone controverse che, molto probabilmente, ci starebbero antipatiche.
Ci chiediamo come sia possibile che parole tanto belle, che ci hanno fatti emozionare, vengano fuori dalla penna di una persona che, a detta di chi lo ha conosciuto, è arrogante, o maschilista, o misantropa. Davvero il mio autore preferito picchiava la moglie, o la mia autrice preferita ha abbandonato la famiglia per la carriera? Davvero le pagine che mi hanno commossa vengono da un delirio dei sensi causato dalla droga (in quel caso mi farei due domande)?
Ebbene sì. Gli autori, come dicevo prima, sono esseri umani. Noi lettori li vediamo come un viso stampato sulla quarta di copertina, come se vivessero in una sorta di dimensione irreale. Smettono di esistere fino a che non riapriamo il loro romanzo e anche lì hanno una parte marginale, perché ciò che vediamo sono le loro storie. Quando li immaginiamo sono sempre chini su un foglio, o leggono un romanzo erudito, o ancora scrutano l’orizzonte in cerca di ispirazione.
Dobbiamo rassegnarci però alla realtà: gli autori esistono esattamente come voi e me, e vivono per la maggior parte del tempo esattamente come voi e me. Hanno incombenze, hanno impegni, la maggior parte della loro giornata è adombrata da cose molto più terrene che illuminata da quelle letterarie.
 
Una volta preso coscienza di questo fatto e dopo aver accettato – sempre che lo abbiate accettato – che uno dei vostri autori preferiti è o era una persona sgradevole, cambia qualcosa?
Personalmente, un po’ sì. Mi è capitato di leggere avidamente libri che ho trovato meravigliosi. Quando poi ho scoperto che gli autori di questi bellissimi romanzi che mi avevano fatta sognare erano delle persone che, onestamente, evito nella vita di tutti i giorni, sono rimasta delusa.
Non ho smesso di leggere i loro romanzi né di emozionarmi grazie a loro, ma so che c’è l’altro lato della medaglia. Un lato che non appare brillante e pulito come quello che amo. Piuttosto è opaco, graffiato e sgradevole da vedere.
È un po’ come scoprire che il proprio supereroe, dopo le sue eroiche avventure, viene umiliato tutti i giorni in ufficio. Si rimane un po’ delusi, un po’ tristi, se la cosa è davvero grave l'ammirazione che abbiamo per lui è a rischio.
A me capita. E a voi?

martedì 6 ottobre 2015

La bambina che salvava i libri – Markus Zusak

Su aNobii ho una lunga wish list che aggiorno spesso, più spesso di quanto non legga i libri che contiene. È come un’Idra di romanzi: ne leggi uno e ne ricrescono due. Comunque sia, spesso mi capita di mettere qualcosa in lista e dimenticarmene per un po’ – un bel po’. Il risultato è che metto lì dei libri ad attendere pacifici il loro turno, poi capita che diventino famosi e tutti li leggano, mentre io, che li ho nella mia lista dei desideri da tanto tempo, ancora non lo faccio.
Ecco cos’è successo con “La bambina che salvava i libri”, di Markus Zusak.
In realtà tutto iniziò in una notte buia e tempestosa… Okay, solo buia. E velata di insonnia. Navigavo su internet e mi capitò di leggere una recensione di “The book thief”. Lo misi wish list e me ne sarei dimenticata presto se, qualche mese dopo, non fossi stata bombardata dalla pubblicità del film tratto dal libro.
Guardai il film. E lo adorai.
Parecchio tempo dopo lessi il libro. E fu allora che lo amai.
 
Prima di tutto permettetemi una piccola digressione sul titolo, che mi ha fatta sclerare non poco.
Titolo originale: The book thief.
Titolo tradotto in italiano: La bambina che salvava i libri.
Titolo del film: Storia di una ladra di libri.
Titolo del libro conseguente al film: Storia di una ladra di libri.
Voglio dire… perché?
Non sarebbe stato molto più semplice chiamarlo “La ladra di libri” sin dall’inizio, e basta? Forse era troppo semplice per gli editori, poco accattivante, o semplicemente sensato. E non sia mai che traducano un titolo in maniera sensata.
 
Scleri a parte, voglio leggere “Il messaggero”, l’altro libro di Zusak, e penso che se potessi leggerei anche la sua lista della spesa (e probabilmente ne farei una recensione). Non ho intenzione di raccontarvi la trama, che forse conoscete già perché avrete letto il libro o visto il film. Questo è uno di quei racconti che va gustato in prima persona quindi questa, più che una recensione, sarà un’ode al libro da parte di una fangirl.
Ci sono tantissime cose che mi sono piaciute di questo romanzo. In primis la sua narratrice, ironica e tagliente nei momenti giusti, poetica e profonda in quelli necessari. Oltre ad essere una narratrice originale, inoltr, La Morte è anche onnisciente, quindi l’autore ha usato un ottimo espediente per raccontare la sua storia in ogni sua piccola minuzia, in ogni sentimento dei protagonisti, anche i più nascosti.
Markus Zusak
Per qualche motivo, è proprio così che lo
immaginavo. Un viso gentile e sorridente.
La divisione che è stata fatta per il romanzo, poi, è molto carina. Ogni parte ha il nome del titolo del libro che in quel momento è più importante per la protagonista. Un’idea che ho trovato divertente.
Ma la cosa che più mi ha rapita di questo libro sono i personaggi. Penso di non essermi mai innamorata di così tanti personaggi in una sola lettura. Chiaramente non figura la protagonista fra i miei preferiti, ma è solo perché i personaggi secondari sono tutti fantastici!
Primo fra tutti Max Vanderburg, il pugile ebreo. Adoro il modo in cui si rapporta con Liesel, come un fratello maggiore che vuole proteggerla – io lo vorrei come fratello maggiore. Tuttavia appare allo stesso tempo fragile e impaurito. Poi i genitori adottivi di Liesel, diversi per carattere e modo di fare, ma ognuno a modo suo forte, determinato, pronto a farsi in quattro per le persone che ama. Infine Rudy Steiner, citato per ultimo ma non per questo meno importante. Amico di Liesel nella buona e nella cattiva sorte, fin da bambino un sognatore e un dongiovanni!
 
Forse ho voluto leggere questo libro perché prometteva di essere una sorta di rifugio per un’amante (feticista?) dei libri come me. Scoprire che esistono persone che amano i libri a tal punto da farne il cardine di un romanzo è sempre bello, soprattutto per una che annusa le pagine dei libri – sniffacarte mi chiamano.
Quando ho aperto “Storia di una ladra di libri” pensavo di sapere a che cosa andavo incontro. Invece ho scoperto qualcosa di nuovo, di inaspettato, una storia che mi ha conquistata forse soprattutto perché, sebbene di libri ce ne siano parecchi nella storia, la cosa più importante rimangono le persone, gli affetti, le loro storie.
Consiglierei a tutti di leggerlo e, in effetti, da qualche giorno a questa parte è quello che sto facendo.
 
Ecco il mio personaggio preferito
in uno dei momenti più belli del film.