venerdì 31 luglio 2015

Passaparola #2

Potrei dire che in questi giorni sono parecchio impegnata, ma sarebbe una truffa. La verità è che non so nemmeno dove vada il tempo! Mi sembra di averne una marea e alla fine scopro di non averne affatto. Quello che ho a disposizione, ebbene sì vi tradisco: lo uso per scrivere il mio racconto. Oltre a questo un malloppo di libri da almeno seicento pagine l’uno ha rallentato le mie recensioni (ne ho solo una indietro, abbiate fiducia, prima o poi arriva).
Insomma, ma perché sto qui a spiegarvelo? Vi basti sapere che mi dispiace che il blog possa sembrare abbandonato. Vi assicuro che non è affatto così e che, non appena avrò scoperto in quale antro della mia giornata il tempo si nasconde, lo tirerò fuori a forza e lo userò per il blog.
 
Nonostante questo sono contenta perché esiste qualcuno che legge ancora le note pagine dei contatti del blog: ho ricevuto una richiesta di segnalazione e sono passata per un mordi e fuggi per mostrarvi un libro che, spero, possa incuriosirvi.
 
Titolo: Scorpio Baby Rose
Autore: Sergio L. Duma
Genere: Noir
Editore: Eretica edizioni
Data di uscita: 2015
Prezzo: 13,40 €
Formato: Brossura
Acquistabile su: www.ereticaedizioni.it
 
Un’adolescente uccisa in un paese di provincia. Un suo compagno di classe, ossessionato da una cantante pop chiamata Scorpio Baby Rose, che decide di scoprire l’assassino, dal momento che le forze dell’ordine hanno chiuso il caso in maniera troppo frettolosa. Un mondo oscuro fatto di droga, sesso, perversione, sadomasochismo, omosessualità, travestitismo, segreti inconfessabili, satanismo, snuff-movies e, last but not least, l’orrore dell’incesto. Quando alla fine il ragazzo scoprirà la verità niente sarà più come prima.

giovedì 23 luglio 2015

Non un post di formazione

Il romanzo di formazione viene definito un genere letterario che parla di come un personaggio evolve dall’età infantile all’età adulta. Non c’è uno schema ben preciso. La trasformazione può avvenire in parecchi mesi o qualche anno, in giorni, in attimi. C’è una sorta di schema per quanto riguarda la trama, che solitamente si basa su avvenimenti particolari che, molto spesso, nei romanzi di formazione sono piuttosto comuni. Solitamente infatti il protagonista si allontana dalla famiglia o dal luogo in cui è cresciuto e vive un’esperienza che lo forma lontano dal mondo che già conosce, quando torna alla famiglia o termina la sua esperienza è maturato.
Magari alcuni di voi sapevano già questa cosa ma, per essere certi di parlare chiaro, ho fatto questa piccola introduzione.
Non ho letto moltissimi di quelli che vengono categorizzati come romanzi di formazione, solo alcuni dei più famosi: “Un giorno questo dolore ti sarà utile”, “Il giovane Holden”, “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” e un altro paio.
Alcuni mi sono piaciuti, altri meno, altri ancora per nulla.
 
Penso che sia difficile parlare dei cambiamenti che portano alla maturità, prima di tutto per un fatto di età. Chi parla di maturazione deve averla per forza già passata e deve, secondo me, essere un po’ distante da quell’evento, altrimenti non lo analizzerà e non ne scriverà sotto la giusta luce.
Questo porta dei pro e dei contro.
I pro sono quelli che ho appena detto: il distaccamento da certe esperienze formative permette di guardarle nella loro pienezza, con il famoso senno di poi con cui ci piace tanto rempir le fosse. I contro sono che ormai i drammi teatrali dell’adolescenza o dell’infanzia sono così estranei che renderli su carta diventa più difficile, perché si vedono minuscoli rispetto ai problemi dell’età adulta.
A questo punto è lecito domandarsi, come fanno gli autori a scrivere un buon romanzo di formazione? I pochi romanzi che mi sono piaciuti moltissimo hanno tutti un che di autobiografico e gli scrittori hanno vissuto qualcosa di simile al loro protagonista.
Sono giunta alla conclusione che per trasmettere la crescita emotiva la si debba aver vissuta in maniera particolare, non gradualmente come facciamo tutti di solito, passando quell’odiosa fase che è l’adolescenza che, per fortuna, dura qualche anno. Si deve aver avuto qualche esperienza particolare che ci ha fatti maturare molto in poco tempo. Esattamente come deve accadere ai personaggi di un romanzo di formazione.
Forse se la nostra maturazione non è stata così allora non riusciremmo mai a scrivere un romanzo di formazione, solo un romanzo che parla di adolescenza (cosa che comunque non agogno fare perché rende tutti i bambini più simpatici dei mostri sputasentenze, mentre gli adulti devono subire in silenzio perché “ehi, è l’età!”).
 
Credo che il perno centrale di romanzi di formazione sia uscire da un’ottica tipicamente giovanile per scoprire che non è tutto solo bianco o solo nero. Scoprire le sfumature è qualcosa che caratterizza la crescita, penso, perché più siamo giovani più è facile fare assolutismi e dividere tutto, dalle persone alla situazioni, in comparti stagni.
Detto tutto ciò non so dove volevo andare a parare, ho iniziato questo post solamente pensando a cosa sono i romanzi di formazione, quali ho letto, quali sono quelli che mi sono piaciuti e cosa li rende tanto particolari e osannati.
E ora vi rigiro tutte queste domande.
 
 
P.S. Il fatto di non essere arrivata a nessuna conclusione, comunque, dimostra che questo non è un “post di formazione”.

venerdì 17 luglio 2015

La custode di mia sorella - Jodi Picoult

Diversi anni fa vidi il film de “La custode di mia sorella” e me ne innamorai perdutamente. Un po’ perché c’era Abigail Breslin, mia eroina indiscussa, un po’ perché la storia era particolare. Interessante, intrigante, ma anche delicata e drammatica. Amo i libri e i film che raccontano di vicende familiari e questo era quindi adatto a me, con l’aggiunta di una malattia incurabile e di una causa (datemi un avvocato e delle arringhe pungenti e mi renderete una persona felice).
Non so perché ci ho messo così tanto a decidermi di leggere il libro, probabilmente perché penso sempre che «ci sono così tanti libri e questo, in fondo, lo conosco già. Meglio leggerne uno completamente nuovo no?» Però, insomma, l’ho visto in biblioteca e non sono riuscita più a separarmene.
 
Sara e Brian Fitzgerald sono allibiti quando vengono citati in causa dalla minore delle loro figlie, Anna, che vuole ottenere l’emancipazione medica per non dover donare un rene alla sorella maggiore Kate, malata di leucemia già dall’età di cinque anni.
Anna si rivolge ad un famoso avvocato, Campbell Alexander, spiegandogli che i suoi genitori l’hanno concepita con una precisa combinazione genetica per aiutare la sorella Kate che si era ammalata. L’idea era quella di utilizzare il sangue del cordone ombelicale di Anna, e funziona: Kate va in remissione e l’incubo sembra terminato. I Fitzgerald sono di nuovo una famiglia e, con un nuovo membro a farne parte, si sentono più fortunati di prima.
Qualche anno dopo Kate si ammala di nuovo e l’unica ad essere in tutto e per tutto compatibile con lei è Anna. Comincia così una travagliata vita per i Fitzgerald, fatta di ricoveri improvvisi per Kate, ricoveri programmati per Anna, mentre il fratello maggiore Jessie viene lasciato a sé stesso.
La richiesta di emancipazione medica di Anna arriva come un fulmine a ciel sereno, che scuote il già precario equilibrio della famiglia. Dopo dieci anni di terapie il corpo di Kate sta cedendo e ha bisogno del trapianto di rene per affrontare cure devastanti quanto la malattia stessa. In base a quello che deciderà il giudice Anna potrà decidere da sola se donare o meno un rene a sua sorella, facendo la differenza fra la vita e la morte di Kate, ma anche di tutta la famiglia.
 
Il fatto di aver visto il film almeno cento volte e averlo adorato probabilmente ha smorzato un po’ il mio entusiasmo di fronte al libro, che comunque differisce per alcune cose dal film ma ho appezzato i cambiamenti (anche se sono combattuta sul finale, che non ho intenzione di rivelarvi).
Jodi Picoult
Lo stile del romanzo è scorrevole, cosa apprezzabilissima date le tematiche importanti. Se anche lo stile si fosse rivelato complesso leggerlo sarebbe stato senza dubbio più difficile, invece “La custode di mia sorella” si finisce in un battito di ciglia. Rapisce sin dalle prime pagine e non risulta mai noioso poiché presenta i punti di vista di ogni personaggio. Così facendo l’autrice ci fa capire le emozioni di tutti, il loro ruolo nella storia, e si scopre la vicenda dal punto di vista di ogni persona coinvolta.
Purtroppo la forza di questo libro è anche la sua debolezza. Infatti ogni narrazione è in prima persona, quindi vediamo le cose da un punto di vista totalmente soggettivo. Il problema è che la Picolut non si è sforzata di cambiare registro per ogni personaggio, cosa che secondo me avrebbe dotato di personalità tutti quanti. Andava fatto anche solo per essere verosimili: una tredicenne (Anna) non parla né pensa come un diciannovenne (Jesse), che a sua volta non pensa come un trentenne single (Campbell), che è ancora diverso da una madre ultraquarantenne (Sara). Dando uno stile uguale a tutti i personaggi si appiattiscono anche le loro personalità.
Mi è piaciuto leggere in maniera più approfondita dell’avvocato, la sottotrama che riguarda la sua vita è un bel diversivo in una storia che, senza qualcosa che ci faccia distaccare dai personaggi principali, risulterebbe un po’ troppo pesante.
 
“La custode di mia sorella” è un libro che consiglio a chi non si sgretola di fronte alle storie drammatiche, perché è onestamente molto triste e fa indignare molto spesso. Il problema è che la nostra indignazione resta dentro di noi, non possiamo fare altro che leggere per farcela passare, sperando che il nostro personaggio preferito abbia una sorta di rivincita. Il libro offre inoltre interessanti spunti di riflessione riguardo alla linea di confine fra ciò che è giusto fare e ciò che siamo disposti a fare. L’etica non è mai un argomento facile.
A posteriori posso comunque dire che ad avermi emozionata di più è stato il film. Forse perché l’ho visto per primo, ed era una totale novità per me, tuttavia penso che lo riguarderei volentieri, mentre il libro… è stato bello finché è durato, ora è finito e non credo che lo rileggerò.
 
Una scena tratta dal film,
i fratelli Fitzgerald.
 

lunedì 13 luglio 2015

Un muro di libri

Ci sono molti lettori che amano le sfide di lettura. Ad esempio leggere cento libri in un anno, o leggere almeno un classico al mese, cose così. Io ogni tanto vengo tentata dalle sfide più originali, come leggere libri i cui titoli inizino ognuno con una lettera diversa dell’alfabeto, oppure con copertine colorate a formare poi, impilati, l’arcobaleno. Alla fine però non lo faccio mai.
Perché?
Alcune di queste sfide sono senza dubbio carine e sono, alla fin fine, un pretesto per leggere e basta. Ho deciso che non mi piacciono perché, di nome e di fatto, trasformano la lettura in una gara. Sappiamo tutti che non succede nulla se ‘perdiamo’, al massimo riproveremo in seguito, ma la sola idea di trasformare qualcosa di così personale in una gara che prevede vincitrice la quantità e non la qualità mi disturba profondamente.
Spero di non tirarmi addosso l’odio degli amanti delle sfide, perché questa è solamente un’opinione personale e non tutte le challenges letterarie sono dello stesso tipo. So bene che la sfida è con sé stessi e non serve a dimostrare agli altri che leggiamo tantissimo. O almeno dovrebbe essere così.
Quando la sfida diventa meramente numerica, tuttavia, credo che prenda una piega negativa. Quando un libro viene terminato e messo da parte pensando, “Ecco, meno uno alla meta”, allora mi infastidisce. Perché non dovrebbe essere una gara, se lo consideriamo una gara mettiamo tutti i libri sullo stesso piano, sia quelli leggeri che si leggono in un pomeriggio che quelli che ci fanno riflettere o ci lasciano qualcosa.
Va bene che esistano libri leggeri, lo sostengo ora e l’ho sempre sostenuto, ma devono essere considerati per quello che sono e non usati come ennesimo mattoncino per la nostra sfida di lettura. C’è una sorta di buonismo, spesso, che ci fa mettere tutto alla pari, sulla stessa linea – per rispettare tutti, eh! –, quando invece fare delle differenze in questo caso è giusto. Se non lo facciamo alla fine ci ritroveremo un muro enorme fatto di libri che abbiamo letto e subito dimenticato, ma un muro così traballa, si rompe e cade. Un lettore che legge meno in maniera mirata avrà un muro molto più piccolo, ma resistente e fatto di solide pietre ben posate fra loro, e di ognuna di quelle pietre il lettore conoscerà a memoria la forma, la storia, e sarà un tassello importante nel suo muro perché è stato messo lì per uno scopo preciso, non come uno fra i tanti.
Penso che sia questo il lato negativo delle sfide. Ci si affanna a portarle a termine e in quella si dimentica la cosa più importante: il libro che abbiamo letto ci è piaciuto? Ci ha trasmesso qualcosa? È un libro che consiglierei, è ben scritto e di buona qualità? O è un libro senza pretese, semplice, che chiede solo di essere leggiucchiato in un momento di noia? Vale la pena averlo letto per la sua bellezza, o ci piace averlo letto perché diventa “uno in più”?

venerdì 10 luglio 2015

Il vangelo secondo Gesù Cristo - José Saramago

Se siete molto credenti e siete sensibili all’argomento, se non vi piace che parlino della religione in maniera leggera o irriverente, allora non dovreste leggere questa recensione, né il libro di cui parla.
Potreste arrabbiarvi, cosa per la quale non c’è rimedio in quanto sia la recensione che il libro sono già stati pubblicati e gli autori non intendono ritrattare le loro parole. Uno di loro perché è morto anni fa, l’altro perché ha trovato “Il vangelo secondo Gesù Cristo” un libro formidabile.
 
La maggior parte di noi, da bambini, è andato a catechismo e ha frequentato l’oratorio e la chiesa, poi c’è chi ha proseguito lungo quella strada e chi, invece, se n’è discostato. Io sono fra questo secondo gruppo. Ho smesso di praticare penso più per scarso entusiasmo della famiglia e, di riflesso, anche mio, che non perché ci abbia riflettuto davvero. Nonostante questo leggo volentieri libri o saggi che hanno come argomento principale la religione Cristiana, mi affascina.
Tutto questo per dire che conosco ciò che di fondamentale c’è da sapere sulla vita di Cristo dal punto di vista religioso e, grazie allo studio della storia, della Chiesa Cattolica. Questo non ha fatto che aumentare il mio stupore, la curiosità e francamente anche il rispetto per José Saramago, autore di questo libro.
 
Basandosi sui vangeli apocrifi, che Saramago pensa essere quelli più vicini alla realtà, il romanzo racconta la vita di Gesù Cristo in modo più veritiero possibile, togliendo i fronzoli religiosi più in contrasto con l’epoca in cui Gesù ha vissuto e anche i più assurdi.
Ad esempio Maria non è vergine, così come non lo sarà Gesù dopo aver conosciuto la prostituta Maria di Magdala. Inoltre Maria avrà altri figli dopo Gesù, e non sarà molto presente né importante nella vita del primogenito, così com’era a quei tempi per ogni madre, poiché le donne godevano di ben poca considerazione sia dal punto di vista sociale che religioso.
Non mancano elementi soprannaturali quali i miracoli, che Saramago non nega né trasforma in sapienti trucchi che nulla hanno di divino. Gesù incontra sia il Diavolo che Dio, parla con entrambi e vive persino con Satana in persona per qualche anno. Riconosciamo molti degli elementi che i vangeli raccontano, come il fatto che Gesù rimase nel deserto quaranta giorni, che Erode tentò di ucciderlo quando era ancora neonato, e che la sua nascita venne annunciata a Maria dall’Arcangelo Gabriele.
Questo libro non è blasfemo, dissacratorio o chissà che altro, semplicemente per molti versi è realistico.
Dal punto di vista del vissuto di Cristo più umano è il più possibile fedele alla realtà e, a mio parere, dettagli come la verginità di Maria – che già è in discussione da parecchi anni e alcuni studiosi cattolici hanno persino negato – si potrebbero anche accettare. Il problema principale e il motivo per cui, immagino, il libro sia stato tanto criticato, è che Dio non è benevolo come amiamo immaginarlo e  come i sermoni dei preti ci hanno insegnato.
In effetti qui Dio è piuttosto avido perché invia Gesù sulla terra, ben sapendo come andrà a finire, solo per poter affermare sugli uomini la sua religione e avere più credenti. Svela a Gesù di sapere che moltissimi moriranno in nome suo, i primi perché credono in lui e dopo perché non credono in lui e vengono etichettati come infedeli. Sa dell’inquisizione, delle Guerre Sante, e di tutti coloro che soffriranno per lui, tuttavia porta a compimento il suo progetto servendosi di Gesù, il quale tenta fino all’ultimo di salvaguardare la razza umana perché non abbia a soffrire così tanto per Dio.
Inutile dire che il suo piano non funziona, perché Dio è Dio e lui sa tutto ciò che accadrà.
 
José Saramago
Penso che questa sia la risposta alle domande che ogni tanto ci facciamo. «Ma se Dio è così buono, come fa a permettere la fame nel mondo? O le malattie più brutte? O qualsiasi sfortuna che ci capita?»
Io me lo chiedevo e non ho mai trovato risposta. Questo romanzo non mi ha fornito una risposta, perché scommetto che quando era in vita José Saramago ne sapeva quanto me di Dio e della vita ultraterrena. Però mi ha fornito moltissimi spunti di riflessione che non è bene che esponga qui, altrimenti potrei scrivere per sempre.
Tornando al romanzo, la cosa più curiosa è lo stile. Non è adatto a chi è a digiuno di libri di un certo spessore. Già solo per lo stile è difficile da leggere, se poi ci aggiungiamo un argomento non proprio da evasione, siamo a posto.
Saramago non va quasi mai a capo. Usa frasi lunghe intervallate da moltissime virgole e anche i dialoghi sono costruiti in tal modo, senza punti esclamativi o interrogativi. Questo rende la lettura a volte un po’ complicata, tuttavia dopo qualche pagina ci si fa l’abitudine e si intuisce come sarà la frase che andiamo a leggere.
Uno stile che non avevo mai visto che, inizialmente, mi esasperava. Pian piano l’ho considerato un tratto distintivo dell’autore e mi piace pensare che al mondo ci sia solo lui che scrive in questo modo personalissimo.
 
Per concludere, in realtà non so davvero come concludere. Questa doveva essere un recensione ma, in realtà, vi descrive solamente il libro. Ho cancellato decine di frasi mentre la scrivevo perché in ogni momento divagavo dal tema centrale e, anche se a volte lo faccio e non mi dispiace, avevo deciso sin dal principio di limitarmi perché, con un tema tanto vasto, discutibile e pur tanto impenetrabile, rischiavo di impantanarmi nelle mie stesse parole o di scrivere un post lunghissimo che non sarebbe mai stato una recensione.
In effetti, come vi dicevo prima, non lo è. Per un semplice motivo. Non so che opinione dare di “Il vangelo secondo Gesù Cristo”. Non me ne sono fatta un’idea perché ha toccato in me corde troppo profonde per poterlo giudicare con almeno un minimo di distacco come faccio di solito. Argomenti troppo profondi diventano impossibili da commentare senza cadere nel banale o, peggio, senza dire scemenze dettate dal troppo arrovellarsi.
Solo una cosa vi posso dire, di leggere questo libro solo se ve la sentite. Se non siete troppo attaccati alla religione e se il credo Cristiano vi supporta e vi aiuta nella vita, perché come dicevo prima potrebbe farvi arrabbiare, oppure potrebbe distruggere ogni vostro concetto, ogni vostra sicurezza, gettarvi a terra e lì lasciarvi.