A volte quando cerco il titolo di
un post mi sento una che cerca una strategia di marketing. Il titolo di un post
dovrebbe incuriosire, spingere le persone ad aprire la pagina, a voler scoprire
cosa nasconde l’articolo. In questo caso mi sento un po’ di aver toppato,
perché sembra che stia per parlare di manuali di auto aiuto (“Problemi a
controllare la rabbia? Non uccidere il tuo vicino, uccidi il furore!”).
Eppure non mi sentirei di
intitolarlo in altro modo, non mi viene in mente nulla di più veritiero in
questo post, perché sto per dirvi con quali libri ho schiacciato nello stomaco
‘i grappoli di furore’ che John Steinbeck ha prima seminato con cura (forse da
quando l’anno scorso lessi “Uomini e topi”), ha guardato germogliare uno dopo
l’altro, come germogliava il mio desiderio di avere tra le mani il suo romanzo,
ha guardato i fiori sbocciare mentre giravo le pagine e, infine, ha visto il
frutto nascere. E questo frutto era troppo amaro per essere mangiato tutto in
una volta, ti faceva sul serio arrabbiare ed era meglio, decisamente meglio,
intervallarlo con un sapore meno acre.
(L’introduzione non intendeva
essere così lunga, è solo che quando parlo di “Furore”, di qui a qualche giorno
– settimana – non riesco a essere breve. Merita un post tutto suo ovviamente,
l’unica domanda è se riuscirò a scriverlo o mi dilungherò nell’intento.)
Longbourn
House – Jo Baker
Non appena ho scoperto dell’esistenza
di questo libro, ho pensato che sia una fortuna che Jane Austen sia una delle
scrittrici i cui lavori suscitano ancora curiosità. I suoi libri e quelli di
pochi altri (Arthur Conan Doyle, Shakesperare e Lewis Carroll sono i primi che
mi vengono in mente) nonostante gli anni trascorsi continuano ad essere oggetto
di ricerca. Ma non solo, le loro opere sono spunto per raccontare le stesse
vicende in altro contesto. Così è nato il film “Romeo + Giulietta” (che
personalmente trovo geniale, nella sua semplicità), per non parlare di tutti i
rimaneggiamenti in chiave horror/comica/psicologica/quant’altro che ha subito
“Alice nel paese delle meraviglie”, ad esempio.
In questo concetto nasce “Longbourn
House”, dell’autrice inglese nonché studiosa di Jane Austen, Jo Baker.
Longbourn è la casa nella quale vivono i Bennet, la famiglia protagonista di
“Orgoglio e pregiudizio”. Questo romanzo viene venduto come la stessa storia,
ma dal punto di vista dei domestici della casa (una sorta di “Downton Abbey”
alla Jane Austen), ma dopo averlo letto mi sento di dire che non è affatto
così.
Sarah lavora sin da bambina a
Longbourn, sorvegliata dalla severa ma gentile Mrs Hill, ma proprio perché non
ha conosciuto altro dalla vita se non il lavoro e pochissime soddisfazioni, ha
il desiderio di conoscere di più. Un desiderio che a noi può sembrare scontato
ma che, all’epoca, non lo è affatto. I ruoli a casa Longbourn sono decisi, i
confini ben tracciati – così come nel resto della società – e la gente comune
si accontenta di ciò che ha perché non le viene mai detto che potrebbe avere di
più. All’arrivo del valletto James, gli orizzonti di Sarah si allargano: lui ha
viaggiato, anche se non vuole dire perché, dove e in quale occasione. E quella
consapevolezza di volere di più dalla vita, di poterlo pretendere per se stessa
e di dover solo raccogliere il coraggio necessario per ottenerlo, cresce in lei
di pari passo con lo svelarsi dei segreti che Longbourn House nasconde.
In caso siate fan di Jane Austen,
o di “Orgoglio e pregiudizio”, mi sento di consigliarvi questo libro, nonostante
i protagonisti della Austen non ne escano con un ritratto lusinghiero come nell’originale.
Anche in caso vi piacessero i libri storici, o questa particolare
ambientazione, ve lo consiglio. Inizia come un romanzo tranquillo, in cui
sembra di sapere a cosa si va incontro – una tresca o due con nulla più che un
bacio come frutto della colpevolezza, un segreto riportato alla luce dopo anni
– ma non è così. “Longbourn House” dà vita a personaggi profondi, a legami che
durano anni e che vanno oltre le convenzioni. Dà spazio alla natura umana nella
sua fragilità più grande e non si può fare a meno di affezionarsi ai
personaggi, anche quelli che Jane Austen ha nominato solo una volta, nel suo
romanzo.
Resta
con me fino all’ultima canzone – Leila Sales
Sì, lo so, questo è un titolo del
cavolo. Non so proprio perché lo abbiano intitolato così, un libro che in
origine si chiamava “This song will save your life”. Preferisco ricordarlo con
il suo nome originale.
Allora, piccola premessa: ho la
nomea, fra gli amici, di amare le storie drammatiche. Sono quella che si guarda
film/legge libri solo se c’è un morto, un malato terminale, una qualunque
situazione drammatica possibilmente angosciante. Non è così, lo giuro. Cioè,
forse, ma penso sempre che se non c’è un nodo da scogliere la narrazione non
può farmi traboccare il cuore di arcobaleni, e quindi tanto vale non
leggerlo/guardarlo.
Questo libro prometteva di essere
tranquillo, divertente, leggero. Uno YA senza pretese, che arrivava dritto a
quell’angolino del petto che l’adolescenza ha lasciato dentro di me, facendomi
sognare per un po’. Prometteva. Ma ha infranto qualsiasi promessa. Una mia cara
amica si è messa a ridere quando le ho detto che lo stavo leggendo perché
sembrava leggero, e nel primo capitolo la protagonista tenta il suicidio… (“La
tragedia ti perseguita anche quando non la vuoi, è un cane vagabondo a cui hai
dato del cibo.” Queste sono state le sue parole.)
Elise è sempre stata timida e ha
difficoltà a fare amicizie. Questo l’ha allontanata moltissimo dai suoi
coetanei e a scuola si sente invisibile. In pochi le parlano, se lo fanno molte
volte è per prenderla in giro, e quando è al centro dell’attenzione è per via
di scherzi architettati a suoi danni. Elise vorrebbe solo avere degli amici,
vorrebbe smettere di essere invisibile, vorrebbe sapere cosa dire quando si
trova insieme ad altri ragazzi. Cosa che inizia a fare quando per caso, durante
una passeggiata notturna di nascosto dai suoi genitori, trova lo Start, una
discoteca di musica rock/alternative. Lì incontra persone che hanno i suoi
stessi interessi, ragazzi più grandi che riescono a capire come a volte il
liceo possa essere crudele, e si trovano bene con lei in quanto Elise è molto
intelligente e matura per una ragazza della sua età. Allo Start, Elise diventa
amica del dj, un ragazzo che all’inizio la affascina, ma più di tutto scopre
che le piace fare la dj. Un padre
musicista e una vita ad ascoltare musica rock la aiutano sicuramente
nell’impresa, e rimboccandosi le maniche Elise scopre una passione che davvero
la può salvare. E scopre anche come muoversi in mezzo al marasma di problemi
che un’adolescente timida e un po’ stravagante, come lei, può avere.
Niente di più. Niente di meno. Un
libro che affronta tematiche profonde, che non è scontato, dotato di una prosa
leggera. Il libro perfetto per perdersi un po’, anche se all’inizio è stato un
po’ scioccante – dopo un titolo del genere – sapere che una delle tematiche
affrontate è il suicidio adolescenziale. Warning: explicit content.
A presto con un post su “Furore”.
Sì, perché in tutto ciò io ancora sto pensando a quello.