sabato 18 febbraio 2023

L'inevitabile leggerezza della lingua

  Qualche anno fa era molto il voga il discorso sulla lingua italiana, prima per via del femminile professionale e poi per i tentativi di introdurre la neutralità di genere in una lingua che, neutra, non lo è. Tutti ne parlano e dappertutto, dai professionisti ai politici, dai giornali ai social. Non è più un argomento caldissimo ma io ho di recente letto il saggio di Vera Gheno al riguardo, “Singolari femminili”, che si occupa proprio dell’introduzione del femminile professionale nel parlato di tutti i giorni.
   Ho letto questo saggio in parte perché immaginavo quale fosse la sua posizione, e magari volevo solo un po’ di sostegno da parte degli esperti. Avevo già sentito parlare dell’autrice, di professione sociolinguista, in un podcast se non ricordo male, e da allora è sempre rimasto un nome che ricordo. Quindi in parole povere, sì, io dico sindaca, assessora, architetta, e chi non desidera essere chiamata in quel modo può semplicemente dirmelo e mi correggerò.
   Non ho intenzione di sviscerare tutte le motivazioni che mi portano ad essere d’accordo con questa evoluzione della lingua, anche perché sono sempre le stesse che di certo avrete già sentito se avete chiacchierato dell’argomento anche solo una volta. Vorrei parlare di qualcosa di diverso su cui il saggio di Vera Gheno mi ha fatta riflettere.
  Coloro che si ergono a difesa dell’italiano, affermando che termini come portiera per indicare un portiere donna, non esistono, sono davvero convinti di fare il bene della nostra lingua. Io mi definisco femminista ed è uno dei motivi per cui sono d’accordo con questo cambiamento e non vedo né come possa essere contrastato, né perché dovremmo farlo (al contrario, credo dovremmo incoraggiarlo). Riconosco comunque che non tutti coloro che si battono per mantenere l’italiano com’è adesso sono maschilisti. Penso che ci sia una fetta di persone genuinamente devota alla lingua, che la vedono come qualcosa di sacro e immutabile, e per loro il modo in cui ci esprimiamo non ha nessuna relazione con il nostro credo politico o sociale.
   È questa fetta che, secondo me, non ci ha pensato più di tanto alla propria posizione.
  Oltre alle questioni sociali, sono d’accordo con il cambiamento proprio per una questione di lingua, perché mi piace la lingua. Le lingue, in generale, mi divertono. Mi piace scoprire l’etimologia di certe parole che vengono dal latino o dal greco. A volte mi capita di confrontare alcuni dialetti con lo spagnolo e ci sono tante parole che sono proprio uguali, come chicle, che significa gomma da masticare sia in spagnolo (quello sudamericano del Perù, che è quello che conosco per via dei miei genitori) che, a quanto pare, in provincia di Torino – così mi disse una ragazza torinese una volta. Oppure è divertente scoprire che alcune parole italiane di uso comune, come ad esempio bistecca, vengono da una modificazione dell’inglese beef steak, ossia ciò che chiedevano i soldati inglesi stanziati in Italia nelle osterie quando volevano vedersi servire una fiorentina.
   La lingua è in perpetuo cambiamento, basta pensare alle vecchie edizioni dei romanzi. Vi sarà capitato di avere per le mani un libro stampato negli anni ‘50, magari un classico straniero, e di confrontare il linguaggio utilizzato con quello dell’edizione aggiornata. Molte parole risultano desuete (un po’ come la parola desueto, se è per questo), e a volte la costruzione della frase pare macchinosa. Non è a causa del libro, è per via della traduzione. I traduttori hanno il compito di far comprendere al meglio ciò che un romanzo vuole comunicare, e se settant’anni fa era comune utilizzare la parola ‘figliuolo’ per riferirsi ad un giovane, oggi non avrebbe senso perché suonerebbe anacronistico, e il traduttore preferirebbe magari sostituirla con ‘ragazzo’, che rende meglio l’idea ad un lettore contemporaneo. Questi sono solo esempi, dato che non sono traduttrice, ma era giusto per rendere l’idea.
   La lingua cambia ad ogni generazione, ad ogni nuova invenzione, ad ogni contatto sempre più stretto che le nazioni hanno fra loro. Cambia al bisogno perché è viva, come noi. Solo le lingue morte hanno delle regole grammaticali granitiche, lingue che nessuno usa più. Ha senso dire che in latino non esisteva la parola pantaloni, perché non avevano bisogno di nominare qualcosa che non avevano. Ma quando qualcuno ha poi inventato la calzamaglia hanno avuto bisogno di introdurre questa nuova parola, perché avevano un indumento che non era una tunica e avevano bisogno che avesse un nome. Le lingue si reinventano perché i tempi cambiano, per aiutarci ad andare avanti. In realtà, magari senza rendercene conto, siamo noi a reinventarle perché ne abbiamo bisogno. Non dobbiamo cercare di fermare lo sviluppo linguistico, sarebbe come cercare di fermare la crescita di una persona. Non si può e soprattutto non si deve.
  Coloro che si dicono amanti della lingua italiana, e che quindi non vogliono usare il femminile di sindaco, ci pensino un secondo. Che cosa succederebbe se ci fermassimo qui? Se decidessimo che da ora in poi ogni nuova parola verrà bandita dal vocabolario? Come chiameremmo le nuove scoperte? O, dopo una rivoluzione e la formazione di un nuovo paese, come ci potremo riferire a quel paese e ai suoi abitanti? Se in un futuro ci fosse un contatto alieno, come dovremmo rivolgerci a loro, senza inventare nuove parole?
   Le parole sono vive perché la nostra cultura è viva. Quando le regole grammaticali saranno scolpite sulla carta sarà perché ci siamo estinti e i popoli del futuro studieranno l’italiano come noi studiamo il sanscrito, senza nemmeno esser certi di averlo capito appieno. Parlare italiano sarà un mero esercizio senz’anima, senza poter comprendere e apprezzare appieno la sua forma e la sua bellezza. Ecco perché dobbiamo incentivare il cambiamento, andare avanti. In realtà è molto facile andare avanti: basta seguire il flusso. Basta comunicare.
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2 commenti:

  1. Il dibattito sul femminile dei nomi e in generale sull'evoluzione della lingua mi interessa molto. Anch'io leggo i libri di Vera Gheno, ultimamente Le ragioni del dubbio, che è stato un'ennesima occasione per pensare. È innegabile che la lingua si evolva ed è vero tutto quello che scrivi, Patty. Io mi attesto in quella categoria che hai immaginato. Non mi piace "architetta" né "ministra" né "sindaca" perché non vedo nessuna ragione per specificarne il femminile. Forse perché al femminile sono parole imbruttite, può essere una delle ragioni, se la mia opinione conta qualcosa. Di certo, non sono tranchant. Anzi, mi piace leggere libri come questo proprio perché mi interessa il parere di una raffinata linguista in merito.
    Ieri mi sono imbattuta nella parola "personaggia" che ritengo davvero una forzatura. E non mi piace nemmeno lo schwa. Ma continuo a leggerne.

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  2. Il tuo post è stato una gradita aggiunta alla mia lista di lettura. Grazie per la condivisione!

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