mercoledì 29 ottobre 2014

Fanfiction: la storia

  Prima di cominciare con questo post vorrei fare una premessa fondamentale e forse anche un po’ scontata: io amo le fanfiction.
   Si sapeva già, ecco perché è scontata.
   Leggo, recensisco e scrivo – scrivevo – fanfiction. Ho iniziato a quindici anni e da allora non ho mai smesso, né ho per ora intenzione di farlo. Quando le mie orecchie odono persone che dicono che «le fanfiction sono il male» reagisco male. Malissimo.
 
 
   La ragione è semplice e l’ho già spiegata tempo fa: le fanfiction, con la critica e la pratica che hanno portato con sé, mi hanno aiutata moltissimo a migliorarmi nello scrivere. Inoltre mi hanno fornita di un maggiore senso critico e molte mi hanno regalato delle storie molto belle che porterò con me al pari dei libri.
   La ragione per cui scrivo tutto questo è, appunto, difendere le fanfiction dalle sopracitate persone che le declassano a divertimento per ragazzine sciocche che non sanno come liberare i loro ormoni.
   Se amate le fanfiction, leggete questo post.
   Se odiate le fanfiction. Leggete questo post.
 
   Orbene, non nego che EFP sia per un buon 80% fangirlsmo allo stato brado. Il restate 20% è formato per metà da storie Originali, per i restanti tre quarti da belle storie Originali e per il resto da belle fanfiction. Sono poche rispetto alla massa, me ne rendo conto.
   Il fatto è che molte persone scrivono senza cognizione di causa. Ovvero, scrivono solo perché hanno letto un bel libro o visto una bella serie e vogliono fantasticare sul loro personaggio preferito. Non c’è nulla di male in questo, per carità, ma si capisce subito quando una fanfiction è scritta per amore dello scrivere e della storia che la ispira, o per amore dell’attore che ha interpretato il personaggio nel film. Di solito il secondo tipo sono storie romantiche e inverosimili, che vengono interrotte per mancanza di voglia quando l’autore non ha molto seguito, o al contrario proliferano grazie a scene eroticamente intense e molte coincidenze che fanno ritrovare i due protagonisti sempre soli e con un piano orizzontale a disposizione.
   Che poi le fanfiction siano in primis un omaggio all’originale e un divertimento non lo nego. Ma, sempre rivolgendomi a coloro che le disprezzano, che c’è di male in questo? Le fanfiction, come i libri, sono fatte per evadere e divertire. E in questo a mio parere non c’è mai nulla di sbagliato.
 
   Ho qui qualche esempio di “vera fanfiction”, cioè quelle che sono passate alla storia, che la gente sa essere appunto ispirate da lavori di altri, ma che nessuno disprezza perché realizzate da artisti affermati.
 
   Ludovico Ariosto – Orlando furioso
   Non poteva mancare in questa piccola lista Ludovico Ariosto, giusto per farvi capire che le fanfiction esistono da centinaia di anni e che possono essere talmente apprezzate da essere persino studiate a scuola. Forse gli studiosi di Ariosto non conoscono il termine ‘fanfiction’, ma sanno bene che l’“Orlando furioso” è una di quelle.
   Per chi fosse all’oscuro di cosa sto parlando – ma davvero, c’è qualcuno che lo è? – Ariosto rielaborò in chiave satirica il poema cavalleresco classe 1483, di Matteo Maria Boiardo, intitolato “Orlando innamorato”. Oggi ne studiamo la forma, la collocazione storica, i contenuti, i personaggi e chi più ne ha più ne metta.
   In parole spicce: Ariosto ha scritto una fanfiction basata su un libro.
   Nessuno ha pensato di crocifiggerlo per questo, né di dire che il suo lavoro era scadente perché basato su un’altra opera. Questo prova che se una fanfiction è scritta bene può diventare un capolavoro a sé.
 
 
   Iron Maiden – The rime of the ancient mariner
   Metallari, rassegnatevi. È proprio così. Samuel Taylor Coleridge scrisse “La ballata del vecchio marinaio” nel 1798 e gli Iron Maiden la ripresero negli anni ’80 e la rimaneggiarono facendone una canzone da più di dieci minuti. Anche in questo caso, ma guarda un po’, nessuno ha detto loro di smetterla di sbavare su Coleridge e scrivere canzoni serie.
   “Powerslave” è uno dei dischi più famosi e questa canzone viene usata da decenni come scusa dagli studenti di maturità per inserire qualcosa di figo nella loro tesina. Ragazzi, lasciate che vi dica una cosa: è una canzone sopravvalutata. E non come canzone in sé, intendo proprio come argomento della tesina. Viene usata dagli anni ottanta, nessuno dei vostri professori vi guarderà più con stupore se la porterete per inglese assieme Coleridge!
   Chiaramente ogni metallaro che si rispetti sfoggia la sua cultura e difende la propria musica con questa canzone, gongolando soddisfatto quando la gente guarda i suoi capelli lunghi e le sue borchie e gli dice: «Non mi aspettavo che sapessi così tante cose sui poeti inglesi.» La prossima volta che volete fare colpo e dimostrare che le nuove generazioni non sono completamente ignoranti, ragazzi, ricordate che gli Iron Maiden scrissero una fanfiction.
 
 
   Quentin Tarantino – Bastardi senza gloria
   Avrei potuto utilizzare benissimo l’ultima uscita di Tarantino, “Django Unchained”, che vuole essere un omaggio al “Django” degli anni ’60 di Corbucci, ma non volevo essere scontata.
   Vi chiederete che cosa abbia bevuto per considerare “Bastardi senza gloria” una fanfiction. Ebbene, io vi dico che è una fanfiction storica.
   Non leggo molti originali storici su EFP. Le poche storie ho letto sono semplicemente ambientate in un determinato contesto, utilizzano personaggi famosi che hanno letteralmente fatto la storia ma il racconto in sé non cambia mai la nostra storia. Piuttosto ne raccontano retroscena più o meno inventati. Per questo, a mio parere, “Bastardi senza gloria” è una fanfiction.
   Nel film la nostra storia in quanto popolo viene letteralmente cambiata. Da qui in avanti fate attenzione allo spoiler. Insomma, se i leader nazisti più potenti, compreso il capo dei capi Hitler, vengono uccisi in un’esplosione grazie ad un’ebrea che cerca vendetta e dei soldati americani uccidi-nazisti, allora per me parliamo di fiction!
 
 
   Vi lascio a queste riflessioni. E ricordate che il male non sono le fanfiction. Sono gli scrittori che scrivono per fama. Diffidate di loro.
   Sono un po’ come noi blogger.


lunedì 20 ottobre 2014

Il quadernino di Snoopy e Woodstock

   Chiamatemi folle – ma chi non lo è, visto da vicino? – ma quando leggo ho un sacco di piccole abitudini e/o manie.
   Ad esempio quando inizio a leggere sposto sempre il segnalibro sul capitolo successivo, così già che ci sono posso dare una sbirciatina al titolo, oppure prima di cominciare vado sempre a guardare quante pagine ci sono in totale, cose così insomma.
 
   Una cosa che faccio e che mi piace parecchio è sottolineare le frasi che mi colpiscono di più. Molti mi crocifiggerebbero per questo, lo so: sottolineo e faccio anche l’orecchia alla pagina, così non rischio di perdere la citazione!
   Se il libro non è mio ovviamente non lo faccio, ma quando è mio chi me lo vieta? A me non dà fastidio e anzi, i libri vissuti hanno più fascino!
   Comunque sia, parecchio tempo fa una mia cara amica mi ha regalato un quadernino blu, con disegnato Snoopy che se la dorme seduto ad un banco assieme a Woodstock. Dato che io scarabocchio su qualunque foglio mi capiti fra le mani, avevo deciso di tenermi buono il quadernino per qualcosa di importante, per non farlo diventare l’ennesimo quaderno scarabocchiato. Così mi è venuto in mente di scriverci le citazioni dei libri che leggo.
 
 
   Non sono nemmeno lontanamente vicina a finirlo, sono a poco più di metà, ma ogni tanto mi piace prendere il mio quaderno e leggere qualche estratto. In questo modo mi sembra di ricordare le sensazioni che un libro mi ha fatto provare mentre lo leggevo, anche se sono passati, e ricordo benissimo quello che mi ha lasciato e insegnato.
   Le citazioni mi piacciono moltissimo, tanto che ho deciso che ad ogni libro letto ne sceglierò una da lasciare in cima al blog. Le citazioni degli ultimi due libri letti potete leggere in cima alla pagina, ma che mi dite di voi? Avete qualche citazione che vi passa per la testa in questo momento?

mercoledì 15 ottobre 2014

Le ceneri di Angela - Frank McCourt

   Iniziai a leggere “Le ceneri di Angela” parecchio tempo fa, nel 2010. Lo abbandonai dopo nemmeno cento pagine perché era straziante. Non esagero.
   Nel suo essere di una sincerità impietosa, tuttavia, lo ricordavo anche molto divertente, così quando poco tempo fa l’ho ritrovato a casa di mia mamma ho deciso di rubarlo e, dato che ricordavo cos’era successo nella parte già letta, ho ricominciato da dove mi ero interrotta.
 
 
   Probabilmente, il motivo per cui questa storia è molto triste, è che mentre la leggi sai che si tratta di un’autobiografia. L’unico modo in cui sono riuscita ad andare avanti nella pietosa lettura è stato ripetermi: «Tanto poi lui va in America, scrive un libro e diventa ricco e famoso, così non deve più preoccuparsi di sua madre che mendica il cibo e dei suoi fratelli che muoiono di fame, e di tutti che si vergognano di essere così poveri.» Sì, lo so, è una farse lunga da ripetersi, ma leggere questo libro senza aggrapparsi ad un po’ di speranza è impossibile e anche molto doloroso.
   Non ho mai letto autobiografie in vita mia, a parte quella di Roal Dahl, “Boy”, che però, come l’autore tende subito a precisare, «non si tratta di un’autobiografia ma di una raccolta di fatti accaduti, perché le autobiografie di solito sono lunghe e noiose.»
 
   I genitori di Francis McCourt, entrambi irlandesi, erano andati in America per cercare fortuna e lì si erano stabiliti per qualche anno. A causa della grande depressione che segue la prima guerra mondiale tornano con i due figli, Francis e Malachy, a vivere in Irlanda, più precisamente a Limerick.
   Frank McCourt senior viene dall’Irlanda del nord e tutti lo considerano uno strano. Perde continuamente il lavoro perché quando arriva giorno di paga va al pub a bersi tutto quanto, rincasa tardi e sveglia i figli per far loro cantare canzoni patriottiche e fargli promettere che moriranno per l’Irlanda, e la mattina dopo non si presenta al lavoro. Angela Sheehan in McCourt tenta in ogni modo di fermarlo, arrivando persino a chiedere che la paga del marito venga consegnata a lei, ma quelli delle fabbriche sanno che se una moglie viene a chiedere la paga del marito è perché lui se la beve tutta la pub, e non ce lo vogliono un ubriacone a lavorare nella loro fabbrica. E allora via un altro lavoro.
   La famiglia, che nel frattempo si allarga con l’arrivo di due gemelli e una bambina, sopravvive a stento grazie al sussidio – e anche quello va in bevute – e alla carità. Gli anni passano, i bambini crescono e ne nascono altri, mentre altri ne muoiono, per gli stenti o le malattie.
   Frank senior va in Inghilterra con l’intenzione di trovare lavoro e mandare soldi alla famiglia, ma una volta partito nessuno lo sente più. Frankie junior, il fratello maggiore e ormai uomo di casa, si arrangia allora come può per aiutare la famiglia. Con piccoli furtarelli e lavoretti qua e là, Frankie porta a casa qualche scellino già dall’età di tredici  anni, e quando ne raggiunge diciannove ha messo da parte abbastanza denaro per prendere una nave e andare in America che, i suoi genitori lo dicono sempre: è la terra delle possibilità.
 
 
   Raccontato in prima persona dal punto di vista dello stesso Frankie, lo stile è secco, sbrigativo, sincero ma avvolgente.
   Sembra di ascoltare la storia raccontata di prima mano dal piccolo protagonista, con l’ingenuità tipica di un bambino che crede ciecamente in quello che gli adulti dicono e non usa tanti giri di parole. Non manca comunque una buona dosa di ironia che, soprattutto quando si parla di adulti, chiesa e in generale di tutti i benpensanti, trabocca dalla pagina.
   I personaggi sono tratteggiati vivacemente e tanto bene che sembra di conoscerli e di capirli. Alcuni sono cupi e non sempre positivi, come Francis senior, che si redime ogni tanto quando racconta le storie ai suoi figli, li fa ridere e li consiglia, raccomandandosi che devono sempre confidarsi con lui piuttosto che vivere nella preoccupazione. Altri personaggi sono velati da un manto di rammarico, di impotenza e di angoscia, come Angela. Altri ancora compaiono per brevi periodi, colorando la vita di Frank con i loro bizzarri comportamenti e le loro strambe idee, come ad esempio i suoi compagni di scuola, gli insegnanti o i datori di lavoro più tardi. Ogni personaggio porta con sé luci e ombre, e questo li rende estremamente complessi e reali.
   La Limerick degli anni ’30 e ‘40, dove si svolge l’intera vicenda, riprende vita, a partire dai vicoli più bui e poveri dove abitano famiglie come quelle dei McCourt, e sebbene venga molte volte maledetta come cittadina di provincia, viene voglia di vederla.
   La chiesa, che all’epoca svolgeva un ruolo molto più attivo nella comunità, diventa uno degli elementi chiave della vicenda, nella buona e nella cattiva sorte. Frank e i compagni di classe, cui sin da piccoli vengono inculcati a forza i valori della Chiesa Cattolica, si domandano spesso che cosa voglia dire l’uno o l’altro comandamento, arrivando a teoria spesso esilaranti, e sono convinti che ogni piccola cosa sia peccato. Ma alla fine, come commenta Frankie stesso, «se fai un peccato tanto vale farne un altro perché la condanna è sempre la stessa. Un peccato: dannazione eterna. Dieci peccati: idem.»
Immagine tratta dal film omonimo del 1991.
 
   Non posso che consigliare caldamente questo libro a chi è incuriosito dalla vicenda, però vi avverto che non dovete peli sullo stomaco né essere facili al pianto, perché rischiate di dover girare con un pacchetto di kleenex oltre al libro.
   È vero che non si tratta di uno di quei romanzi che narrano di un grande amore che vince su ogni cosa, o di un protagonista coraggioso e senza macchia. Questa è una storia semplice, in cui viene svelato anche il lato più debole e umano dei protagonisti, in cui viene mostrata la miseria senza veli. Proprio per questo, tuttavia, ha qualcosa di molto confortante, perché nonostante tutto c’è sempre speranza.
   In un modo o nell’altro, ci insegna questo libro, tutti possiamo arrivare alla nostra America.

domenica 12 ottobre 2014

Quelli che ce l'hanno fatta

   Iniziamo con il dire che questo è un post importante (una volta ogni tanto ci vuole!, direte voi).
   Man mano che si va avanti diventa sempre più impegnativo tenere le redini di tutto quanto. E non parlo solo per me, parlo in generale.
   Quando siamo piccoli il tempo abbonda. Anche il ragazzo più impegnato ha una marea di tempo che può decidere di usare per lo studio o per qualcos’altro. Una volta dosato il numero di ore che è giusto dedicare allo studio e quali quelle da dedicare a noi stessi, ci rendiamo conto che spazio per le nostre passioni ce n’è a iosa. C’è chi si impegna nella musica, chi nello sport, chi pensa all’arte, agli amici, chi naviga su internet. E poi c’è chi legge e/o scrive.
   (Immagino che la maggior parte delle persone che capitano da queste parti siano se non aspiranti scrittori, come minimo lettori in erba. A meno che non siate qui per le gif stupide che, lo ammetto, servono solo a darmi visibilità.)
   Quando si iniziano ad avere più responsabilità, tuttavia, è facile mettere da parte qualcosa che non è la priorità assoluta per dedicarci a qualcosa che sentiamo indispensabile. Ed ecco che all’improvviso per impegni di lavoro smettiamo di andare a lezione di canto, che comunque è solo un hobby. O per passare del tempo in più con la nostra metà che, eccheppalle non riusciamo mai a vederci!, rinunciamo a quella mezz’ora che dedichiamo al disegno. Oppure dato che siamo veramente stanchi e vogliamo solo rimbambirci davanti alla tv, chi ce lo fa fare di metterci a scrivere?
   Ebbene, sono tutte cose vere. No, non vi prenderò in giro, non vi dirò che poco alla volta le giornate sembreranno più lunghe, perché non è così. Casomai, andando avanti, le giornate si fanno più corte.
 
 
   Non c’è una soluzione, lo ammetto. Tuttavia vi dirò, se avete una passione che per un motivo o per l’altro fate fatica a coltivare, non mettetela da parte perché «eh, ho impegni più importanti.» Piuttosto dedicatevi anche solo poche ore alla settimana, risicate il tempo che avete a disposizione qua e là, ma non rinunciatevi.
   Tanto più che, se è una vera passione che vi rende soddisfatti e felici di voi stessi, presto o tardi tornerà a bussare alla porta.
   In questi ultimi mesi mi sono dovuta sforzare di scrivere qualcosa, e chiaramente non tutti i giorni riesco a scrivere. A volte manca semplicemente il tempo, altre e più controverse volte manca l’ispirazione o la voglia. Però una cosa devo dirla: da quando ho ricominciato a scrivere sono molto più contenta. Non scrivo solo questo blog, che per quanto viene letto potrei anche scrivere un diario!, ma scrivo anche fanfiction e sto cercando di portare avanti una storia mia.
 
 
   Parentesi filosofica a parte, ho iniziato a scrivere questo post per parlare di una cosa in particolare: quelli che ce l’hanno fatta.
   Esistono centinaia di persone che ogni anno esordiscono pubblicando il loro primo libro, ma dato che io mi sono avvicinata alla scrittura soprattutto grazie alle fanfiction (nonostante deboli tentativi che farebbero ridere i polli quando ero alle elementari e alle medie), vorrei parlare di autori di EFP che hanno pubblicato qualcosa, e segnalarvi qualche titolo.
   Tutti quelli che vado a segnalarvi sono titoli Originali, quindi non fanfiction bensì vere storie inventante di sana pianta dagli autori. Non che io abbia nulla in contrario alle fanfiction che, rimaneggiate, diventano vere storie e vengono pubblicate (sì, esistono e lo sappiamo tutti), ma diciamo che ammiro di più colui che inventa qualcosa dal nulla e mi sembra anche più onesto in un certo senso – meglio però non dilungarsi ora nel discorso.
 
 
   Comunque vada non importa, di Eleonora C. Caruso
   Questo è l’unico libro che non ho ancora letto, che non è mai stato pubblicato su EFP (almeno non che io sappia), e del quale mi limito solo a fare segnalazione.
   Conosco il libro poiché, alla sua uscita, EFP lo segnalò in bacheca.
   Di lui so solo che parla di una ragazza appassionata di fumetti, che esce di casa solo per comprane di nuovi. In pratica un otaku italiana.
   In ogni modo, Eleonora – CaskaLangley – Caruso ha pubblicato la sua storia, sicuramente aiutata dalla pratica che ha fatto su EFP.
 
 
   Lividi, di Annick Emdin
   Parecchio tempo fa avevo recensito con toni entusiastici una storia trovata nella sezione noir di EFP. Intitolata “La moda del lento”, l’autrice era Vera Lynn. Ora la storia non si trova più su EFP ma si può acquistare tranquillamente il formato cartaceo.
   Ovviamente lo consiglio ancora a tutti, e se qualcuno volesse più informazioni vi invito a leggere la recensione che ne feci parecchio tempo fa: “Meravigliose tenebre”.
 
   Hyacinthe, di Primavere Rouge
   Questo è un caso singolare e mi dispiace molto che alla fine l’autrice non sia riuscita a pubblicare il romanzo (maggiori informazioni su ciò che è successo potete trovarle direttamente sulla pagina della storia). In parole povere aveva interrotto la pubblicazione su EFP a pochi capitoli dalla fine ma ha da poco ricominciato daccapo, revisionando il tutto, poiché non ha raggiunto con l’editore un accordo che la convincesse.
   Molto tempo fa ho iniziato a leggere “Hyacinthe”, un’Originale storica ambientata a Parigi appena prima dello scoppiare della Rivoluzione. La vicenda segue principalmente la storia di Etienne, un povero ragazzo del popolo, e Andres, un nobile che s’innamora di lui. Oltre a questa ci sono le storie parallele di tutti i personaggi di contorno, che così di contorno poi tanto non sono.
   Non mi dilungherò a parlarne qui perché, prima di tutto, non ho ancora finito di leggerla e poi perché quando sarà che – finalmente – riesco a finire questa storia, voglio dedicarvi un intero, lunghissimo post. Nel frattempo non posso che consigliarvi di andare a leggerla.
 
 
   Di carne e di carta, di Mirya
   C’è davvero bisogno di dire qualcosa? Oltre al fatto che amo Mirya e che leggerò qualsiasi cosa lei decida di scrivere, fosse anche la lista della spesa.
   Tanto per cambiare, ho recensito anche “Di carne e di carta” e, pochi giorni fa, ho scoperto con stupore che quest’estate Mirya ne ha fatto prima un e-book e poi un cartaceo. Aveva già detto, nel suo blog, che le avevano proposto di pubblicare tempo fa, ma l’offerta non le interessava. Devo dire di essere proprio contenta che abbia deciso per il self publishing!
   Chiaramente, questo libro avrà un posto d’onore fra i miei scaffali e lo farò leggere a tutti quelli che conosco!
 
   Insomma ragazzi, tutto questo per dire: loro ce l’hanno fatta. Quindi possiamo farcela anche noi!

venerdì 10 ottobre 2014

Il cinema secondo me

   Dato che ora sto leggendo “Le ceneri di Angela”, di Frank McCout, che è molto divertente ma anche pesante (direi tragicomico è un termine che ben si adatta), scriverò ogni tanto qualcosa sul blog che non è una recensione, altrimenti si rischia di tornare ai ritmi indicibili dell’inizio dell’anno o dell’anno scorso, in cui ho scritto qualcosa come un decina scarsa di post in 365 giorni e 6 ore.
   Quindi dato che mi sono appena sfogliata con la massima calma e concentrazione Best Movies, vi parlerò un po’ di cinema.
 
   Io adoro i film e adoro andare al cinema. Non capisco le persone a cui non piace guardare i film, forse perché per me guardare un bel film, al cinema o a casa, da sola o con gli amici, è sempre una cosa piacevole. Sul serio, prima di incontrarle di persona non credevo che esistesse gente a cui non piace guardare film, ma questa è la triste realtà. Be’, peggio per loro!
   Purtroppo andare spesso al cinema oggi è diventato quasi un investimento. Mi ricordo quando andarci non era così dispendioso, io da piccola ci andavo spesso. Era bello andare ogni volta ad un cinema diverso, quando i multisala non esistevano. Oggi puoi scegliere fra i due, massimo tre multisala che ci sono nella tua zona (ovunque si abiti, sicuramente ce ne sarà almeno uno), che tanto hanno tutti fuori gli stessi film quindi non fa differenza dove vai.
   Quando c’erano i cinema indipendenti (che non costavano 8.50 a biglietto!) era molto meglio. Esisteva un cinema, non so dove, che tutte le sere mandava in onda The Rocky Horror Show dopo mezzanotte o giù di lì. A Milano esisteva un cinema che teneva solo cartoni animati, ed era anche a misura di bambino. Credo di esserci andata qualche volta perché ricordo distintamente questa sala piccola con una striscia di personaggi Disney lungo tutta la parte alta della parete. Aveva i sedili stretti e bassi, mio papà non ci stava con le ginocchia e, secondo me non lo ha mai detto, ma i sedili gli facevano venire mal di schiena dato che non poteva nemmeno appoggiarsi allo schienale, perché era troppo basso per lui.
   Non credo che i multisala cadranno mai. Posti come Planet Movies o The Space hanno in mano l'industria della distribuzione cinematografica, almeno qui in Italia, ma mi piacerebbe che ci fossero più cinema indipendenti in giro.
 
   Oltre a godermi una bella storia, quando guardo un film, ammetto di bearmi anche del fascino degli attori sullo schermo. Ora sono fissata con Benedict Cumberbatch, anche se devo dire che il ruolo di Sherlock è quello in cui figura meglio, perché i capelli lunghi gli danno più fascino. Ogni volta che vedo un attore che mi piace la reazione è la seguente:
 
 
   Cerco di contenermi almeno un po' quando c'è il mio fidanzato, giusto per non farmi prendere in giro, ma quando sono con le mie amiche e parliamo di attori o guardiamo film o telefilm, siamo tutte:
 
 
   Ho sempre fatto fatica ad “affezionarmi” ad attrici donne come faccio con gli attori uomini (ebbene sì, sono guidata dalla carne!), ma ci sono alcune attrici che sostengo in tutto ciò che fanno. Come una fan che si rispetti, sono cieca alle critiche e pronta a dar battaglia a chi parla male di loro. Trovo che siano simpatiche e anche molto belle, ma soprattutto trovo che non cerchino di essere belle a tutti i costi, il che le classifica ad un gradino superiore rispetto ad altri personaggi del cinema, della musica o della televisione, almeno dal mio punto di vista.
   Le fanciulle in questione sono:
 
Keira Knightley,
di cui mi sono già innamorata tempo fa,
quando ha fatto "Sognando Beckham".

Emma Watson,
che fin ora è stata esemplare nel togliersi dai panni di Hermione Granger,
e senza nemmeno una scena di nudo o di sesso
(dalle quali invece Daniel Randcliffe sembra non poter fare a meno).

Jennifer Lawrence,
per la quale ho scelto questa foto perché avevo già messo una sua foto "normale".
Una delle cose che adoro di lei è che non ha paura di scherzare come una persona normale
anche di fronte alle telecamere.
 
   Il mio excursus sul cinema è finito.
   I prossimi film in uscita che muoio dalla voglia di vedere, comunque, sono Boxtrolls, Il giovane favoloso, Tutto può cambiare (scommetto che il titolo in lingua originale è molto meglio!) e Sin City – dovevo andare a vederlo settimana scorsa ma lo fanno in orari stupidi, in compenso ho visto Lucy, con la bellissima Scarlett Joansson, e lo consiglio a tutti!

mercoledì 8 ottobre 2014

Doctor Sleep - Stephen King

   Ho finito da poco di leggere “Doctor Sleep”, di Stephen King.
   Non ho molto da dire al riguardo, per la verità, ma solo perché ne ho piene le scatole di Stephen King. Insomma, non di lui in particolare, e nemmeno dei suoi libri (li leggo volentieri, altrimenti non li leggeri nemmeno), ma solo di parlare di lui.
   Passerà del tempo prima che recensisca come si deve un altro dei suoi romanzi, spero che non me ne voglia (ma non credo proprio!).
   La seguente non è una recensione, è una sfilza di cose che mi sono piaciute e non mi sono piaciute di questo libro.
 
 
   Nelle note d’autore alla fine del libro, King dice che dopo aver scritto “Shining”, mentre firmava degli autografi, un suo fan gli ha chiesto che fine avesse fatto Danny Torrence, il bambino protagonista. Questa domanda gli ronzava in testa ogni tanto, ma lui non ci dava troppo peso. Un giorno, improvvisamente, l’ispirazione lo ha colpito e ha partorito “Doctor Sleep”.
   Be’, cominciamo con il dire che, se fosse dipeso da me, non sarebbe mai nato nessun libro. A mio parere “Shining” era bello che concluso, e come potete leggere dalla mia recensione del libro, non è che mi avesse emozionato tanto, per cui non mi chiedevo che fine avessero fatto i personaggi. Mi sembrava scontato che Danny e la mamma avrebbero vissuto una vita pacifica fino alla fine dei loro giorni, tormentandosi ogni tanto per quel che era successo in passato ma vivendo, tutto sommato, felici.
   In fin dei conti però sono abbastanza contenta che il tarlo «Cos’è successo a Danny Torrence» abbia spinto King a scrivere un nuovo libro con lui come protagonista perché, se da bambino mi lasciava indifferente, da adulto Danny mi è piaciuto molto di più.
   Possiamo dire anche che mi sono innamorata di lui, come solo di un personaggio letterario ci si può innamorare. Speravo con tutta me stessa che alla fine del libro Dan avrebbe vissuto una maggica storia d’ammore  nella quale io avrei potuto crogiolarmi (sì, ultimamente voglio leggere storie d’amore, okay? A chi abbia da consigliarne di carine dico, avanti siore e siori!).
   A parte lui anche l’altra protagonista, Abra, mi è piaciuta molto. Una ragazzina di tredici anni risoluta, sensibile, divertente e con un potere enorme. La luccicanza in Abra è mille volte più potente che in Dan. Se lui è una lampadina, Abra è un faro da stadio.
   Proprio questo, a mio parere, rovina un po’ la storia. Nonostante il gruppo del Vero Nodo, che si nutre della luccicanza dei bambini torturandoli e uccidendoli, voglia prendere Abra per cibarsene, diventa subito ovvio che la ragazzina è troppo forte per loro. Non c’è assolutamente storia e, sebbene alla fine del libro King ci faccia salire l’ansia per quello che succederà, non ho mai dubitato nemmeno un secondo che Abra e Dan avrebbero vinto. Abra è troppo potente, è logico che vinca lei. Senza averlo mai fatto riesce a scacciare dalla sua testa una donna molto forte che cerca di frugarle nel cervello, facendole anche del male fisico a distanza di kilometri. Ora ditemi se una così, quando si concentra, non può fare fuori tutti i suoi nemici!
 
   Se qualcuno avesse letto il libro, comunque, e si fosse affezionato talmente ai personaggi da voler leggere qualche altro libro con loro come protagonisti, potremmo semplicemente decidere di andare da Stephen King e, casualmente, chiedergli: «Scusa ma, dopo “Doctor Sleep”, che fin ha fatto Abra?»

lunedì 6 ottobre 2014

Fab Ciraolo

   Buondì.
   Mi accingo a scrivere una recensione e molte altre cose ancora, ma giusto per non lasciare che il blog ammuffisca nel solito brodo vi mostro cosa ho trovato su internet.
   Forse – probabilmente – molti di voi l’hanno già visto, ma magari vi interessa come si chiama l’artista sudamericano che prende icone occidentali e le “modernizza” in quadri colorati e irriverenti.
   Fab Ciraolo è il suo nome e forse in giro avete già visto qualcuna delle sue opere. Ora potete fare i saputelli con gli amici e dire con accento francese: «Oh sì, ma è Fab Ciraolò, lo conoscevo ja!»
   A voi:
Charlie Chaplin con una maglietta dei "The Drums".

Le gemelline del film "Shining"
(giusto per rimanere sempre un po' in tema King)
che fanno il dito medio.

La principessa Diana sarebbe stata un po' vecchia
per questo tipo di look,
nonostante tutto le dona molto.

Frida Kalho è la più famosa opera di Ciraolo,
vi sarà capitato di vederla in giro.
In caso contrario la vedete ora!
Eh? Che ne pensate?

Sicuramente la più discussa e criticata opera.
Ma diciamocelo: i dipinti che andiamo a vedere nei musei sono forse così diversi?

Idem come sopra.
Lo stile di Dorothy mi piace parecchio
ma invece dei Gorillaz io,
fossi in lei,
mi sarei tatuata l'Uomo di Latta.
Salvador Dalì
- mio amato/odiato idolo -
tatuato, kitch, ma sempre fedele al suo egocentrismo
e a Gala.