Bene,
bene, bene… Il fatto che io qui a postare questa recensione significa che ho
finito di leggere il mio primo libro in inglese. Ciò mi rende particolarmente
orgogliosa di me, permettete che mi vanti ed esulti per un attimo.
Ou Yeah. Ou Yeah. |
Fatto.
A
parte questo, come mai mi sono fatta il mazzo a leggere un libro in inglese
quando potevo leggerlo in italiano? Molto semplice: costava 3,50 €.
Adesso
mi prendete per tirchia, e sapete una cosa? Avete ragione. Diciamo che c’è
crisi, e se vedo che un libro costa 3,50 (quando di solito un libro lo pago sui
dieci euro, minimo) mi si illuminano
gli occhi come se Babbo Natale in persona distribuisse caramelle.
Inoltre
mi piace l’inglese, molto, moltissimo. Leggere un libro in inglese è sempre
stato un desiderio e una sorta di sfida contro me stessa. Sono fiera di averla
portata a termine!
Questioni
linguistiche a parte, fino a poco fa non avevo idea che “Il giardino segreto”
fosse un libro. Quando l’ho adocchiato nella sezione dei libri in lingua (già
pensavo di comprarmene uno, dovevo solo avere la spinta necessaria) l’ho
fissato per un minuto intero per capire se era “Il giardino segreto” che conosco
io.
Per
inciso, “Il giardino segreto” che conosco io è un film del 1993 (c’è anche una
versione più vecchia, degli anni ’40 se non erro, ma io conosco solo quella del
’93) che ho visto da piccola e mi è sempre piaciuto. Se volete vi lascio il
trailer, magari a qualcuno viene voglia di vederlo.
Quando
mi sono resa conto che era proprio quel
“Il giardino segreto” l’ho comprato
(facendo fuori un sacco di monetine da cinque e da dieci centesimi. Evvai!).
Mi
sono piacevolmente resa conto che non sono poi così male in inglese, e anche se
ci ho messo più del solito a leggerlo, l’ho fatto senza troppe difficoltà. Mi
sono gustata la trama e lo stile, ed ecco cosa ne penso.
La
trama
Siamo
all’inizio del ‘900 e Mary Lennox è una bambina di dieci anni, figlia di una
coppia inglese che vive in India. I suoi genitori la affidano completamente
alla bambinaia e lei cresce viziata, piuttosto antipatica e lontana da ogni
forma di affetto. Quando entrambi i genitori muoiono di colera viene mandata in
Inghilterra, al maniero di Misselthwaite, da suo zio Archibald Craven.
Lì
scopre dell’esistenza di un misterioso giardino che, dieci anni prima, era
stato chiuso a chiave perché era il giardino tanto amato dalla defunta moglie
di Lord Archibald che, dopo la morte della moglie, è divenuto un uomo cupo e
triste. Trovata la chiave del Gardino Segreto Mary e Dickon, un ragazzino di
campagna, cominciano a prendersi cura delle piante, pensando di fare di quel
luogo un posto meraviglioso, pieno di fiori, alberi e animali, dove giocare in
segreto.
Mary,
spesso, ode un pianto nel maniero che il personale di servizio nega in
continuazione. Scopre che si tratta di suo cugino Colin, un bambino della sua
età che non è mai uscito di casa, non sa camminare e crede di dover morire in
giovane età perché tutti hanno sempre detto che così sarebbe accaduto. Grazie
alle storie riguardo al Giardino Segreto Mary riesce a infondere in Colin un
po’ di vitalità e, assieme a Dickon, lo portano fuori all’aria aperta, dentro
al giardino dove Colin ridiventa forte e comincia a camminare.
La
primavera è arrivata: il Giardino Segreto brulica di vita, così come i bambini.
Colin ha imparato a camminare ed è diventato più forte, ma tiene segreta a
tutti la faccenda per fare una sorpresa a suo padre. Quando Archibald Craven è
di ritorno a Misselthwaite scopre che suo figlio è un bambino sano e forte, e
recupera la voglia di vivere e di amarlo.
Frances Hodgson Burnett |
Le
storie di questo genere mi affascinano sempre: due bambini si mettono a
coltivare rose per fare di un giardino abbandonato da dieci anni il loro
rifugio segreto. È una specie di sogno! Chi, da bambino, non lo ha mai
desiderato?
Personalmente,
nelle mie peregrinazioni lungo i viottoli di campagna alla veneranda età di
dieci anni, trovare un luogo misterioso e solitario dove allestire una sorta di
Quartiere Generale con i miei amichetti era una speranza che non si è mai
spenta. Tutt’oggi, se trovassi un luogo così, me ne innamorerei, ne sono sicurissima!
Forse
è per questo ricordo dell’infanzia che mi piace molto l’idea dell’esistenza di
un Giardino Segreto. Una storia che vi ruota attorno non può che esaltarmi.
Questo
libro si gioca magistralmente i due grandi segreti che ha scelto di raccontare.
Quello del giardino fa un po’ da pretesto alla storia, e poi c’è il secondo
segreto, un po’ più inquietante ma proprio per questo interessante: ovviamente
parlo della storia di Colin. Pensare ad un bambino che è vissuto per dieci anni
sotto una campana di vetro nella convinzione di dover morire – peraltro un
bambino, c’è da dirlo, antipaticissimo e molto viziato – è qualcosa di molto
triste, sì, ma è anche elettrizzante. Dà alla storia quel non so che di cupo,
ritorto, oscuro; anche se Colin diventa quasi subito un personaggio positivo,
in seguito. Tuttavia c’è quel che basta di oscurità per tenerci incollati alle
pagine. La storia di Colin sembra una reminiscenza dell’ultimo periodo dell’ottocento:
i poeti maledetti assieme a Dorian Gray, Mr. Hyde e compagnia bella.
Personaggi
Sebbene
il personaggio principale al principio sia Mary Lennox, l’autrice la tralascia
verso la fine, cosa che mi dispiace molto. La Burnett si concentra interamente
su Colin, mantenendo pochi altri personaggi attorno a lui: primo fra tutti
Dickon, poi Ben Weatherstaff e infine la signora Sowerby.
Non
mi è piaciuto molto come la scrittrice ha improvvisamente abbandonato certi
personaggi per dare più importanza ad altri: è come se non sapesse gestire il
tempo da dedicare ad ognuno di loro. Così sono stati tralasciati due dei miei
personaggi preferiti: Mary Lennox, per cui non ci sono scuse dato che – in
teoria – sarebbe la protagonista, e Martha Sowerby cui all’inizio viene
dedicato molto spazio anche se non è fra i personaggi principali, e poi,
improvvisamente, scompare.
Il
mio personaggio preferito in assoluto, tuttavia, sono lieta di dire che rimane
costante: Dickon. Un po’ perché il mio lato fangirl
è sbucato fuori quando si trattava di Dickon e Mary assieme, un po’ perché come
personaggio è veramente affascinante, lui è di sicuro quello che mi piacerebbe
incontrare.
C’è
quasi sempre, nei libri, un personaggio talmente bello che vorrei fosse vero e,
possibilmente, anche un mio amico (come ad esempio Willy Wonka della “Fabbrica
di cioccolato”); questa volta è Dickon, con il quale farei lunghe scampagnate
nei prati, e lui mi insegnerebbe il linguaggio degli animali.
Il
comportamento dei bambini è molto naturale. Mi capita spesso di leggere storie
(o anche guardare film, a volte) nei quali i bambini o sono troppo seriosi e si
comportano come adulti, o sono esageratamente infantili, tanto da sembrare
usciti da qualche brutto telefilm di serie B nei quali si capisce che recitano.
Qui invece sono molto ben delineati e, verso la fine del libro, con i loro
giochi e i loro pensieri, mi hanno fatta sorridere più di una volta.
Excursus:
Sono
convinta che si debba scrivere di cose che si conoscono e se non si conoscono è
meglio informarsi, non sparare a caso.
Gli
autori che vogliono usare come personaggi principali dei bambini devono stare
molto attenti perché, è vero che siamo stati tutti bambini, ma se, da adulto,
non hai a che fare con loro (magari i figli, magari lavori con i bambini)
allora è quasi inevitabile cadere in certi cliché con dei personaggi e creare
dei bambini che non si comportano affatto come tali.
Lo
stile
Lo
stile della Burnett mi è piaciuto moltissimo: mi ha dato una sensazione di
calma e spensieratezza; mi fa sentire come se anche la peggiore delle
situazioni avesse il suo lato positivo.
Parte
della magia del libro sta nell’ambientazione. Non solo il tempo storico, anche
se ovviamente aiuta parecchio (non riesco ad immaginare che una storia del
genere abbia luogo nel XXI secolo, l’era tecnologica nella quale i bimbi
giocano con il Nintendo), ma anche e soprattutto il paesaggio della brughiera,
che la Burnett pare dipingere con un pennello fra le pagine. Grazie alle
descrizioni accurate ma dal taglio decisamente letterario, quasi nostalgiche, sono
riuscita a immaginare benissimo la brughiera, anche se effettivamente non l’ho
mai vista; le immense distese solitarie, il colore grigiastro della nebbia. E
poi l’arrivo della primavera: i colori dei fiori, i versi degli animali, il
sole caldo e il vento fresco.
L’unica
cosa che non mi è piaciuta dello stile forse è da annoverare alla sintassi
inglese, però mi è sembrato che questa donna sia fin troppo avara di virgole.
Non lo so, perché questo è il primo libro in inglese che leggo, ma mi rifarò
presto, anche perché ci ho preso gusto a leggere in inglese, e potrò dire se la
mia impressione è un mero fatto linguistico o è proprio la Burnett che odiava
le cesure.
Visto
che siamo in tema di cesure ecco un’altra cosa che non mi è piaciuta: la fine
del libro. Troppo brusca, veramente come se qualcuno l’avesse tagliata via.
Sembrava che il libro fosse finito perché non aveva più voglia di scrivere.
In
conclusione
“Il
giardino segreto” è uno di quei romanzi che non hanno un limite di età preciso.
Può essere apprezzato dai bambini, così come dai ragazzi e dagli adulti, a mio
parere. Ha per protagonisti dei bambini, e quindi sarebbe molto facile per un
bambino immedesimarsi nella storia, ma narra in maniera semplice fatti che sono
il riflesso del comportamento degli adulti, per cui la storia è interessante
anche per un adulto. Insomma, leggibile veramente da chiunque.
Inoltre,
lo dico di nuovo: trovare un luogo segreto dove giocare è sempre stato una
sorta di sogno. Da piccola, quando mi alzavo dal letto, immaginavo che storie
come questa mi sarebbero capitate di lì a poche ore. Era solo questione di
trovare una vecchia chiave nascosta da dieci anni.
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