Raramente
gli autori di best seller mi hanno attratta, oppure quando lo hanno fatto mi
hanno delusa (ad esempio Dan Brown; già all’età di tredici anni ero abbastanza
rompipal- critica da capire che “Il
codice Da Vinci” era un po’ una boiata, ed era pure noioso secondo me). Ora sto
più attenta a comprare il best seller dell’anno, o se lo faccio prima mi leggo
diverse recensioni in merito.
Stephen
King, ecco, non è l’ultimo arrivato, infatti ogni suo ruttino letterario vende
milioni copie, ergo sono best seller, ergo li dovrei guardare con sospetto. Tuttavia c’è un libro proprio di King che ho smniato per avere per mesi interi.
Cacchio,
ultimamente tutte le volte che inizio una recensione è una cosa del tipo “Di
solito non compro questo tipo di libri, ma ora l’ho fatto perché bla bla bla”. Forse dovrei ponderare di
più…
Motivi
per cui non ero certa di comprare l’ultimo ruttino di King:
Uno.
L’unica volta che ho provato a leggerlo (mi pare fosse “Il gioco di Gerald”,
solo perché non avevo nient’altro da leggere) mi ha schifato e da quel momento
ho voluto cancellarlo dai miei ricordi.
Due.
Il libro conta quasi ottocento pagine, e se non mi fosse piaciuto mi sarei
sentita in colpa ad abbandonarlo.
Tre.
Ultimo, ma non meno importante motivo: il prezzo. Circa 25 euri da sborsare, infatti, per ‘sto libro, che se fossero stati
sprecati sarebbero significati grossi rimpianti per almeno tre settimane.
Quindi
come mai alla fine l’ho comprato? Ah boh, non lo so, di sicuro è stato anche
grazie allo spacciatore di libri che me lo ha venduto a metà prezzo (ebbene sì:
lo comprai in una bancarella. Fuck yeah!).
La
trama
Credo
di non aver mai scritto la trama di un libro così lungo. Facciamo che mi dò il
limite di una pagina, altrimenti rischiamo che questa recensione sia
kilometrica. Ce la farò? Stay tuned.
Jake
Epping è un insegnante di inglese sui quaranta, divorziato da una moglie ex
alcolista, e senza figli. Queste sono le caratteristiche che portano il gestore
della tavola calda “Al’s”, Al Templeton, a sceglierlo come uomo giusto al
momento giusto per la missione che aveva in mente da anni: tornare nel passato
e salvare J. F. Kennedy dall’attentato che lo uccise, a Dallas, il 22 Novembre
del 1963.
Nella
cantina del bar di Al c’è un passaggio che sbuca nell’Agosto del 1958. Si può
comodamente fare avanti e indietro, come Al ha fatto per molto tempo, comprando
carne di ottima qualità a prezzi stracciati, e per quanto tempo si passi nella
cosiddetta Buca del Coniglio, che porta sempre nello stesso posto allo stesso momento, nel
2011 saranno passati solo due minuti.
Al
Templeton si è ammalato di cancro al polmoni ed è chiaro che morirà di lì a
qualche mese, così Jake accetta di tornare indietro nel tempo. Dopo una serie
di prove (un viaggetto nel ’58 di qualche mese - ma sì, per provare se mi piace!) e ripensamenti Jake passa oltre
la Buca del Coniglio, deciso a uccidere Lee Harvey Oswald, l’assassino di John
F. Kennedy.
Il
problema di fondo, principalmente, è che il corso degli eventi ha una sua certa
plasticità. Al passato non piace essere cambiato, e ogni volta che Jake prova a
cambiare qualcosa sembra che la mala sorte si accanisca contro di lui. Quando
prova a salvare un amico del 2011 da un incidente che, da bambino, lo lasciò
senza famiglia e zoppicante, ha la riprova di questo, e così decide di studiare
il più possibile le mosse di Oswald per ucciderlo qualche mese prima che lui
uccida Kennedy, assicurandosì così al tempo stesso che Oswald sia l'unico colpevole.
Nel
frattempo si stabilisce vicino a Dallas, in Texas, e, per dirla alla Stephen
King, «fu in quel momento che smisi di vivere nel passato e iniziai a vivere e
basta». Trova un lavoro come insegnante e una fidanzata. Gli anni passano, e
Jake (sotto il nome di George Amberson) comincia a pedinare Lee Harvey Oswald
per assicurarsi che non agisca per conto di terzi, e per decidere quale sarebbe
il momento giusto per ucciderlo.
La
data fatidica si avvicina ma, per una serie di sfighe dovute al passato
plastico, Jake si ritrova assieme a Sadie, la sua ragazza, lo stesso 22
Novembre a dover salvare il presidente. Il piano riesce, ma Sadie rimane
uccisa.
Jake
decide di tornare indietro e ricominciare tutto daccapo, con l’intenzione di
salvare la vita di Sadie, ma quando torna nel 2011 scopre che il futuro nel
quale Kennedy è sopravvissuto è molto peggio di come aveva sperato: malattie
infettive, terremoti, Riunioni dell’Odio e chi più ne ha più ne metta. L’unica
cosa da fare, a quel punto, è tornare nel ’58, facendo in modo che tutto
ricominci daccapo, e non cambiare nulla. Così fa Jake, e rinuncia all’amore di
Sadie, tornando definitivamente nel 2011, un tempo nel quale Sadie ha
ottant’anni e si ricorda di lui come in una sorta di déjà vu, senza poter più
tornare indietro, dato che la cantina dove sorgeva la Buca del Coniglio sarà distrutta di lì a un
mese.
Tutto
il resto
Non
riesco a separare in comparti stagni ogni cosa, o almeno, non sempre, anche se
il mio cervellino lo vorrebbe. In questo caso non c’è un comparto “Personaggi”,
né quello dello “Stile”, perché questo libro mi ha emozionata tanto che provare
a fare una recensione tanto inquadrata sarebbe inutile.
Alla
fine, anche contro tutti i miei pregiudizi, Stephen King mi è piaciuto. Sto addirittura
pensando se non è il caso di leggere qualcos’altro di suo. Come sempre, ogni
consiglio è bene accetto (ma regolatevi sul fatto che ho amato questo libro e
odiato “Il gioco di Gerald”).
Da
un po’ non mi capitava di leggere in ogni singolo momento: sull’autobus, prima
di dormire, mentre facevo colazione se ero da sola, nel tragitto stanza/salotto
facendo le cose con una mano sola… awww!, che magici momenti quando rovesci
metà scrivania ma la tua mente è dentro le pagine di un libro, in questo caso,
nel 1958.
Partiamo
dalla considerazione più semplice: stile godibilissimo. Divertente (in alcuni
momenti ridevo da sola, sul serio), leggero, nonostante le varie spiegazioni
politiche e fantascientifiche che il caso richiedeva, romantico e a tratti
d’azione. Non ho idea di come tutti questi elementi si mescolino in maniera
tanto armonica, ma lo fanno.
La
mia parte preferita è stata senza dubbio quella che lascia da parte tutte le
faccende politiche e fantascientifiche, la parte più romanzesca ecco. Ho
adorato la storia d’amore fra Jake e Sadie (anche se dico sempre il contrario,
le storie d’amore mi piacciono), gli alunni e i dipendenti della scuola di
Jodie, gli spettacoli che mettevano in scena. Mi ha emozionata moltissimo, più
delle parti d’azione (e soprattutto più della parte subito dopo l’attentato a
Kennedy, che in realtà ho trovato noiosa, anche se credo fosse necessaria).
La
fine, invece, mi ha devastata. Non tanto per il 2011 catastrofico, a quello ero
persino in parte preparata – è come se fosse la morale della storia, no?: "non
cerchiamo di cambiare cose che non possono essere cambiate, alla fine si può
essere felici anche così". No, la cosa che più mi è dispiaciuta è che Jake ha dovuto
lasciare Sadie. Sì, certo, l’ha rincontrata nel 2011, ma, oh, una piccola
pecca: lei ha ottant’anni e non si ricorda di lui.
In
alcune parti mi è addirittura venuto un groppo in gola. Era un groppo da “non è giusto, però!”. Avrei voluto
andare da Stephen King e chiedergli di trovare una formidabile soluzione a
tutto.
Be’,
avrete capito ormai qual è il mio verdetto: approvato al 100%! Anche con il
finale che vorrei cambiare perché, nonostante io voglia con tutta l’anima che
finisca in modo diverso (ecco perché la gente scrive fanfiction!), non è un
brutto finale, fatto male, di quelli che li vedi che sono stati lanciati lì
perché, prima o poi, il libro doveva finire! No, in un certo senso è giusto che
finisca così. Purtroppo.
Per di più, oltre a tenere il mio naso incollato alle pagine, questo libro mi ha fatta soffrire di tachicardia: ogni volta che succedeva qualcosa di emozionante il cuore mi batteva più forte.
Poche
note intelligenti
Ci
sono persino delle osservazioni critiche davvero oggettive da fare su questo
romanzo, nonostante la mia recensione fatta con il cuore in mano.
Prima
di tutto, apprezzo veramente moltissimo il lavoro di ricerca che Stephen King
ha fatto per scrivere questo romanzo. Perché l’ha fatto(a
differenza di molti autori), e si vede. Insomma, viene fuori come si viveva davvero nei primi anni ’60 in America,
senza nessun “sparo a caso perché tanto sarà stato così”. Anche questo ha contribuito a rendere il libro più affascinante.
Altra cosa che ho apprezzato:
anche se non hai la più pallida idea di cosa sia successo a Dallas nel '63, non importa,
perché tutto ciò che devi sapere lo spiega nel libro, senza risultare, per
altro, noioso o prolisso. Insomma, non è come leggere il manuale di storia.
Chissà se un giorno, fra cinquant'anni, qualcuno scriverà un libro nel quale qualcuno torna indietro nel tempo per uccidere Barack Obama e vedere che cosa cambierà nel futuro?
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