lunedì 27 agosto 2012

Playlist # 3

   Torno a soverchiarvi con un'altra delle mie fantastiche riflessioni sulla musica!
   Qualche tempo fa ho visto un video, Little Talks, di una band chiamata Of Monsters And Men. Un solo ascolto integrale mi ha convinta riguardo alla canzone, e più ascolti (con la ripetizione automatica sull'iPod, come una malata mentale) mi hanno fatto innamorare della voce dei due cantanti.
   Ora è tempo di ascoltarsi l'intero album, e decidere se Little Talks è l'unica perla in quel cd o se ho trovato una nuova band dietro cui sbavare. Anche non fosse, credo che andrò a cercarmi qualche informazione in più su di loro. Chiunque capiti qui che sa qualcosa sugli Of Monsters And Men è tenuto a consigliarmi qualche canzone particolarmente figa.
   Se li conoscete e vi piacciono, ecco un pretesto per ascoltare Little Talks, se non vi piacciono scivolate via dalla pagina, se non li conoscete, a voi il video, magari vi garba:
 
 

domenica 26 agosto 2012

The Album - Spoiler 18

   Capitolo diciotto: Blame it on the girls, o Di malumore
   Lyrics usate: He's got looks that books take pages to tell, he's got a face to make you fall on your knees / Blame it on the girls
   Spoiler:
   «Tu credi che io esca con un mio collega? Che, tipo, ti tradisca o qualcosa del genere?»
   «Be’», sbotto con rabbia, «non sarebbe la prima volta.»
   «E quand’è che ti avrei tradito, di grazia?», domanda lei tagliente. Le sue sopracciglia sottili sono corrugate in un’espressione di rabbia assoluta. Ma sono io che dovrei essere arrabbiato con lei! Sono io che ho il diritto di arrabbiarmi! È colpa delle ragazze, è sempre colpa delle ragazze! E la cosa più giusta che posso fare adesso è dare la colpa alle ragazze, tutte quante! A mia sorella, ad Andrea, a Madre Teresa! Tutte! Senza fare distinzioni!
   «Non sto parlando di me», dico stringendomi nelle spalle senza guardarla. «Sto parlando di… di lui.»
 
   Ho scoperto quale sarà (credo) la copertina di TOOL. A voi:
 
 
   Posso dire una cosa?
   ...non mi piace.
   La foto è bella, ma c'era proprio bisogno di quella corona di caccole d'oro tutto attorno alla sua testa? Secondo me non c'entrano nulla.
   Per consolarmi un po' metto la foto senza caccole dorate, che è molto più fiqua.
 
 

sabato 25 agosto 2012

L'importanza di chiamarsi Ernest - Oscar Wilde

   Era da molto che volevo leggere “L’importanza di chiamarsi Ernesto”.
   In realtà sono un’accanita lettrice di Wilde, per cui è da molto che penso a farmi la collezione delle sue opere (il prossimo libro di Wilde che comprerò sarà il “De Profundis”, l’ho già adocchiato in libreria).
   Non c’è un preciso ordine in cui proseguo, fin ora ho letto “Il ritratto di Dorian Gray”, “Il fantasma di Canterville”, “Il delitto di Lord Arthur Savage” e altri racconti.
   Questo è il primo testo teatrale di Wilde che leggo.
 
 
   Con i testi teatrali ho sempre avuto una certa difficoltà. Non mi risultano scorrevoli come un libro, e spesso li trovo difficili. “L’importanza di chiamarsi Ernesto” è solo il secondo che ho letto in maniera scorrevole (l’altro è “Novecento”, di Alessandro Baricco).
 
   Da un lato sono rimasta leggermente delusa, dall’altro molto contenta di questo libro.
   Partiamo dalle cose belle:
   Storia divertente e piacevole da leggere, dialoghi assolutamente scorrevoli ed evocativi. Riuscivo ad immaginarmi tutta la scena e i personaggi quando leggevo, e dalle loro frasi si riesce anche a capire la loro personalità.
   La pecca più grande, in generale, è che è una storia decisamente frivola. Troppo leggeva! Fa ridere, certo, e magari qualche volta la si potrebbe anche rileggere, però una volta che la finisci non ti rimane nulla di importante da ricordare, nulla a cui puoi tenere eccessivamente. È come andare al cinema a vedere una delle tante commedie: carina, divertente, ma sostanzialmente vuota.
 
Oscar Wilde
Franco ed Ernest
L’edizione di “L’importanza di chiamarsi Ernesto” che mi hanno regalato per il mio compleanno mi ha chiarito delle cose riguardo alla traduzione italiana. Un po’di tempo fa avevo detto che mi sarebbe piaciuto leggere un’edizione in cui veniva mantenuto il gioco di parole di Wilde: Ernest è un nome di uomo, ma significa anche “onesto, sincero”. Alcune edizioni cambiano il nome di Ernest con quello di Franco, in modo da mantenere questo gioco di parole. L’introduzione al testo di L. Lunari mi ha fatta ragionare sul fatto di ritrovarmi quel nome in mezzo al testo. Effettivamente devo ammettere che ritrovarmi un Franco in mezzo delle Gwendolen, delle Cecily e degli Algernon sarebbe terribile. Ovviamente, non avendo mai tradotto nessun libro, non mi era neanche mai passata per la testa una problematica del genere. Comunque sia so cosa significa “ernest” e quindi l’intera faccenda è in realtà solo un capriccio (tanto più che ho il testo inglese a fronte, per cui posso leggermelo in inglese quando voglio).
 
Il film
   Di questo libro è stato tratto anche un film nel 2002, diretto da Oliver Parker, che io consiglio vivamente. Gli attori principali sono Colin Firth e Rupert Everett, che trovo decisamente azzeccati per il ruolo (soprattutto il secondo nella parte di Algernon), accompagnati da attrici sicuramente all’altezza, come Reese Witherspoon, Frances O’ Connor e Judi Dench.
   Ecco una piccola scena del film, a voi se vederlo o meno:
 

domenica 19 agosto 2012

The Album - Spoiler 17

   Capitolo diciassette: One foot boy, o La famiglia Brady
   Lyrics usate: What do I do? Nothing left but pray. / I will shoot somebody.
   Spoiler:
   Mi concentro un attimo, ma ovviamente il mio stupido fratello deve parlare ancora.
   «Potremmo dire loro che è tutto uno scherzo.»
   Io lo guardo male. «Credo che sparerò a qualcuno. E per qualcuno intendo Fortuné.»
   «Ho capito, me ne vado!» Così dicendo ci lascia soli e io raggiungo finalmente la verità universale.
   «Faremo così: diremo a mamma che il Jewel ha ospitato una festa per delle spogliarelliste una volta, ma che Fortuné ha capito male e pensava che era uno spogliarello, perché lui è un vero porco e pensa solo alle donne nude. Poi diremo loro che dobbiamo assolutamente andare via perché abbiamo una lezione di ballo liscio…»
   «No.»
   E io che pensavo fosse un’idea magnifica!


venerdì 17 agosto 2012

Dove ti portano le parole

   Dopo aver visto il film ed aver ossessivamente cantato “Addio e grazie per il pesce” per circa una settimana, ho finalmente deciso di leggere il primo libro facente parte della collana della “Guida”, di Duglas Adams (1952 – 2001).
   Tanto per cominciare ne approfitto per rivedere il video, ed ecco a voi il canto dei delfini:


   Molto difficile spiegare la trama di questo libro. Non lo farò perché mi sembra troppo complicato, ma soprattutto perché penso che una trama lo farebbe sembrare oltremodo sciocco e non gli renderebbe giustizia. In realtà è assurdo, qualcuno potrebbe addirittura definirlo stupido, però è divertentissimo, e lo consiglio a tutti quelli che non pensano che la letteratura debba per forza essere una spaccatura di maroni.
   Ahivoi, ora mi permetto di fare una digressione.

   Non so come mi sono avvicinata alla lettura, ma da quel che mi ricordo leggo fin da quando ero bambina, e posso dire con assoluta sicurezza che avvicinarmi ai libri è una delle cose migliori che ho fatto fin ora nella mia vita – certo, inconsapevolmente, ma dovrò pur darmi qualche vanto, no?
   Entrando a contatto con lettori di ogni sorta (grazie alla passione dei libri ho avuto la fortuna di conoscere persone meravigliose) ho capito che non tutti hanno la mia stessa concezione della lettura. Prima non pensavo nemmeno che ci fosse, una concezione della lettura. Io leggevo e basta, e davo per scontato che le persone la pensassero come me. In realtà non è un pensiero profondo, è solo: leggere mi piace, perciò lo faccio.
   Ovviamente con il tempo ho sviluppato dei gusti in fatto di letteratura, e ho iniziato a preferire alcune letture ad altre, ma di una cosa sono sempre stata convinta e tranquilli, fra poco arriveremo al nocciolo del discorso. Se per caso inizio a leggere un libro che non mi piace prima di tutto significa che ho letto almeno una buona porzione di libro, ma che misteriosamente ci ho messo secoli – quando invece è risaputo che un libro che ti prende lo leggi in tutti i momenti liberi della giornata e di conseguenza lo finisci in un petosecondo. Tuttavia sono ottimista per natura e ad ogni pagina mi dico «dài che ci siamo, dài che adesso succede qualcosa di veramente, veramente fico!» Solo quando a metà libro ancora non accade nulla mi rassegno all’evidenza, lo lancio in qualche angolo oscuro della camera, e penso amaramente che, ancora una volta, mi sono lasciata ingannare dalla copertina (sì, io sono una di quelle che viene attratta dalle copertine).


   Il punto è che non leggerei mai qualcosa che non mi piace per forza, e non leggerei mai qualcosa solo perché è famoso anche se la trama non mi interessa. C’è gente, invece, che lo fa. C’è gente convinta che la narrativa debba per forza mandare un messaggio, avere uno scopo, ed essere in generale qualcosa su cui spaccarsi la testa per comprenderla, con significati nascosti, metafore, e chi più ne ha più ne metta.
   Io credo che prima di tutto la letteratura debba essere un piacere. Parto dal presupposto che lo scrittore, quando scrive, lo fa per piacere personale in primis, perciò anche leggere la sua opera dovrebbe essere un piacere. Secondo me Dante si offenderebbe a morte se sapesse che generazioni di studenti sono costretti a studiare la Divina Commedia, e che quindi per riflesso più della metà di loro pensa che sia utile solo come fermaporte.
   Purtroppo ho conosciuto gente che considera certi libri sciocchi e superficiali perché questi non sono pieni di ragionamenti filosofici, dialoghi strappalacrime, o parole astruse.
   Leggere dovrebbe essere qualcosa di piacevole. Ci lamentiamo perché le persone non leggono più come una volta? Sinceramente non me la sento di biasimare un ragazzo che non si avvicina alla lettura perché è abituato a pensare che tutta la letteratura sia come quella che gli insegnano a scuola. Ha ragione, cacchio! Se tutti i libri devono essere come “Il ciclo dei vinti” o “Una stanza tutta mia” nemmeno io leggerei poi così tanto.
   Non è affatto un reato se un libro è leggero, scorrevole, facile da leggere. Non significa che sia pessimo se parla di cose di tutti i giorni, o di cose impossibili. Un libro può parlare di quello che vuole, ed è a seconda dei gusti che ci rimarrà nel cuore o che ce lo dimenticheremo, non a seconda di quanto ci ha fatto scervellare durante e dopo la lettura.

Io, quando mi dicono che Jane Eyre è un bellissimo classico

   Okay, questa era iniziata come una recensione, poi è finita in un… in un qualcosa che non saprei definire, un’idea forse. Per un secondo ho pensato di staccare i due argomenti e fare due post separati, ma poi ho pensato che non era un brutto post così com'è venuto.
   Riguardo a “Guida galattica per gli autostoppisti”, se non siete quel genere di lettori che qui mi sono tanto impegnata per denigrare, allora ve lo consiglio come libro, se non altro per avere la risposta a La Vita, L’Universo E Tutto Quanto.

lunedì 13 agosto 2012

Jane Eyre - Charlotte Bronte

   Era da molto tempo che volevo leggere Jane Eyre, perché è uno di quei classici talmente famosi e apprezzati che sono curiosa di leggere per farmi un’opinione personale. Inoltre ricordo di aver visto il film diversi anni fa, e mi piacque moltissimo.
   Ho iniziato a leggere il libro con una certa fiducia, e anche se non è certo una lettura che definirei “leggera”, e il tempo per leggere sta diminuendo a vista d’occhio, le pagine sono scivolate via come niente, con diversi stati d’animo da parte mia.



La trama
   Jane Eyre vive con la zia e i cugini; disprezzata dalla famiglia viene mandata in un collegio per signorine, Lowell. Nonostante le rigide regole dell’istituto Jane diventa una delle più capaci allieve e all’età di diciotto anni trova lavoro come governante per la pupilla di un ricco nobile, il signor Edward Rochester.
   Dopo appena alcuni mesi di convivenza il signor Rochester s’infatua di Jane, e viceversa. I due trascorrono assieme molto tempo e hanno modo di conoscersi e apprezzarsi.
   Nella casa del signor Rochester, Thornfield Hall, spesso accadono cose strane che Jane non riesce a spiegarsi: un incendio nel cuore della notte quasi uccide il signor Rochester in persona e, alla visita di un suo caro amico, quest'ultimo viene pugnalato e tutto quanto viene mantenuto segreto. In un primo momento Jane attribuisce la colpa ad una certa Grace Poole, una misteriosa serva che abita la casa. Sembra esserci un segreto a Thornfield, ma dopo qualche mese Jane è occupata da altro:
   Il signor Rochester chiede a Jane di sposarlo e, dopo un mese di preparativi, nel bel mezzo della cerimonia, un avvocato arriva a interrompere le nozze e annunciare che queste non possono essere celebrate, perché Edward Rochester ha già un’altra moglie.
   Quindici anni prima il signor Rochester aveva sposato una nobildonna che abitava nelle colonie inglesi in Jamaica, Bertha Mason. Solo dopo il matrimonio si era reso conto che la donna era una pazza e con il tempo il suo stato mentale poteva solo peggiorare. Non l’aveva fatta rinchiudere in un manicomio per pietà. Era così tornato in Inghilterra tenendo nascosta a tutti la sua sposa, affidandola alle cure di un’infermiera, la signora Poole, e tenendola chiusa in una stanza.
   Dopo aver scoperto il segreto Jane lascia Thornfield e trova rifugio nella casa di un pastore, St. John, e delle sue due sorelle. Pochi mesi dopo scopre che i suoi benefattori sono anche i suoi cugini per parte di madre, e che un loro comune zio che aveva fatto fortuna in Sud America le ha lasciato tutta la sua eredità. Jane divide il denaro con la nuova riscoperta famiglia.
   A distanza di un anno dalla sua fuga da Thornfield, tormentata dalla curiosità, Jane torna a cercare il signor Rochester. Scopre che pochi mesi dopo la sua fuga il maniero è andato distrutto in un incendio provocato nel mezzo della notte da Bertha Mason, che si è poi suicidata. Nell’incidente il signor Rochester è rimasto cieco e privo della mano destra. Jane torna da lui e i due finalmente si sposano; vivranno una vita felice e serena.

Charlotte Bronte

   Ora, cari lettori, so benissimo che per leggere certi romanzi è necessario calarsi nello spazio tempo storico dell’epoca, e vi giuro che l’ho fatto. Le seguenti lagne, infatti, non sono contro il pensiero e le usanze dell’epoca, che certo vengono a galla nel romanzo, ma sono tutte incentrate su fatti stilistici.
   Purtroppo, come potete aver intuito, “Jane Eyre” non mi è piaciuto affatto.

   Ammetto che ci sono delle cose positive nel romanzo, infatti una buona parte del libro l’ho decisamente divorata. D’altronde, come resistere all’ambientazione e alla situazione creata dalla Brontë nel libro? Immaginate di ritrovarvi in questa grande casa sperduta nel nulla, al buio in una stanza solitaria, di notte, mentre non riuscite a dormire. La luce della luna entra a sottili strisce dalle persiane e tutto tace. Ad un tratto, una risata folle e un urlo terrificante vi fanno sobbalzare nel letto!
   Forse non ho reso l’idea bene come lo fanno duecento pagine di libro, ma la situazione in cui si trova Jane (e, di conseguenza, dove ci troviamo noi lettori, se la narrazione ci prende) è quella. Incalzante, inquietante, e che decisamente incuriosisce. Insomma, un'ottima lettura.
   Una delle cose a salvarsi, nel romanzo, è la trama, su cui non ho riserve. Anzi, al contrario, credo di essere arrivata alla fine del libro solamente sospinta dalla forza della curiosità per gli avvenimenti, ma non certo dallo stile (per cui, sinceramente, non ho nemmeno intenzione di sprecare un paragrafo: lento e tranquillo, emozionante dove lo richiede, non ha nulla di diverso dagli altri libri dell’epoca) o dai personaggi.
   L’altra cosa che mi è piaciuta molto è come la Brontë affronta certi stati d’animo dell’uomo. Ho trovato estremamente veritiero come descrive l’amore dei due personaggi principali, romantico senza essere troppo idealista.

I personaggi
   A mio parere la pecca più grossa di questo romanzo sono i personaggi.
   Il mio naturale disprezzo per i protagonisti è risaputo (io sono colei che adora i personaggi secondari e quelli brutti-e-cattivi-che-vogliono-conquistare-il-mondo), ma credo di non aver mai detestato nessuno come Jane Eyre.
   In parole povere: è una Mary Sue.
   Ho mio malgrado scoperto che una delle più famose ed apprezzate eroine letterarie può benissimo essere uscita dalla fanfiction di una tredicenne in cerca di supporto psicologico virtuale. In quel glorioso momento di illuminazione ho guardato il libro come la peggiore delle piaghe della società moderna: l'origine delle Mary Sue.


   Gli estimatori del romanzo a questo punto potrebbero anche mandarmi a quel ridente paese, ma non vedo come potrebbero negare quel che sto per dire.
   Jane è una donna forte, determinata, che si prefissa un obbiettivo e fa di tutto per raggiungerlo. È anche onesta, giusta, ha un forte senso del dovere ed è intelligente e per nulla frivola. Infine è generosa, segue le regole dettate dagli uomini e si sforza di seguire quelle di Dio e del suo cuore.
   “Che c’è di male in tutto questo?”, chiedete voi, “Mi sembrano tutte cose bellissime.” Peccato che a me piacciano i personaggi un poco veritieri, e io non ho mai conosciuto né ho mai saputo di una persona perfetta in tutto e per tutto! Scommetto che nella loro grandiosità anche personaggi di un certo spessore avevano dei difetti: magari Ghandi si metteva le dita nel naso, e Malcom X parlava con la bocca piena. Ma Jane, nooo, lei no! Jane Eyre è una Mary Sue, ormai ne sono certa, e per convincermi del contrario qualcuno dovrà utilizzare delle argomentazioni più che valide, ferree.
   Gli altri personaggi sono di una piattezza incredibile, vittime, purtroppo per loro, dei cliché. In loro difesa posso solo dire che, per lo meno, gli altri personaggi hanno pregi e difetti, al contrario Jane, i cui difetti vengono da lei stessa riconosciuti, il che per assurdo la rende ancora una volta perfetta, perché si rende conto dei propri sbagli e subito rimedia.
   Molto probabilmente la Brontë, in un eccesso di zelo, ha anche dato all’infante Jane un carattere che non le si addice. Si può dire che il suo carattere non cambia mai nella narrazione: a dieci anni è uguale a quando ne ha diciannove, ed è uguale a quando ne ha trenta. Ancora una volta, incontro bambini che si comportano, ragionano e parlano come adulti! Tuttavia molto probabilmente è stato fatto con coscienza, perché l’unica bimba che si comporta effettivamente da bambina viene disprezzata, chiamata sciocca, vanesia e volgare. La cosa peggiore è che questa bambina è Adèle, l’allieva di Jane, per cui lei nutre lo stesso affetto che si prova verso un animaletto da circo.

Adèle agli occhi di Jane

Il film
   Non sono riuscita a trovare da nessuna parte il film del 1996, che tanto mi era piaciuto ma che, purtroppo, non sono mai riuscita a vedere per intero, così mi sono affidata al film del 2011.
   Non l’avessi mai fatto.


   Sinceramente, è uno dei film più noiosi che io abbia mai visto. Con tutte le possibilità che c’erano di renderlo un film avvincente ed emozionante, che ti tiene con il fiato sospeso, mi vengono a propinare una roba scialba e piatta!
   Sicuramente narrare la storia di Jane e del signor Rochester in una lunga serie di flashback doveva essere un tentativo per rendere tutto quanto più interessante, ma devo è miseramente fallito. E come si poteva sfruttare l’esistenza di Bertha Mason! Apparizioni, urla, inquietanti voci e inspiegabili avvenimenti; quanto si poteva fare per dare almeno un po’ della curiosità e dell’apprensione che suscita il libro! Invece… niente. Assolutamente niente. Bertha Mason appare sullo schermo per circa quindici secondi e non è affatto quella presenza inquietante che descrive la Brontë nel libro, è una sottospecie di autistica che anche quando ci prova non fa comunque male ad una mosca.
   Gli attori non mi hanno suscitato niente di che. Il massimo che ho raggiunto grazie alla loro interpretazione è il disgusto, quando Jane (Mia Wasikowska) piange, perché corruga il viso in un modo inumano tanto da sembrare un’uva passa.
   In fondo, però, non è colpa loro la cattiva riuscita del film: è colpa del regista. A lui sì che darei un bel premio:


In conclusione
   Ancora una volta ripeto (forse non me ne stancherò mai) che è questione di gusti, perché so benissimo che “Jane Eyre” è considerato un capolavoro. Sinceramente, lo trovo sopravvalutato.
   Vi consiglio di non leggerlo se avete una grave allergia alle Mary Sue perché, per quanto possa sembrare assurdo, una delle protagoniste più osannate della letteratura inglese, lo è.

domenica 12 agosto 2012

The Album - Spoiler 16

   Capitolo sedici: My interpretation, o Reggere il confronto
   Lyrics usate: This is my interpretation and it don't make sense.
   Spoiler:
   «Detta così non sembra per niente brutta», dice Andrea sorridendo. «Però da come li descrivi sembrano degli irresponsabili.»
   «No, non sono irresponsabili. Sono solo rilassati. Per alcune cose si comportano esattamente come i genitori devono fare: ti vieto di uscire fino ad una certa ora perché sei troppo piccolo, guarda che è meglio se i tuoi voti a scuola migliorano, cose così. Solo che lo fanno con un atteggiamento diverso.»
   Andrea stringe gli occhi. «Ti stai contraddicendo.»
  Io sbuffo e alzo gli occhi. «Senti, è la mia famiglia, non si può essere precisi con le proprie famiglie. E poi questa è la mia interpretazione. Non ha senso!»

   Devo ammettere che non sono soddisfatta del capitolo 16. A parte il fatto che non c'entra nulla con il tema della canzone, mi sembra un po' inutile. E' uno di quei famosi capitoli di passaggio, in cui non succede nulla di che, ma penso che avrei potuto scriverlo meglio. Vabbé, commenterete voi una volta letto, sarete la voce della verità!
   Vi lascio con l'ultima sconvolgente notizia lanciata da Mika ai giornali e ai suoi fan e che, vi dirò, mi causa più felicità di quanto sia lecito! Sono veramente contenta per lui!







domenica 5 agosto 2012

The Album - Spoiler 15

   Capitolo quindici: Big girl [You are beautiful], o Salto nel passato # 2
   Lyrics usate: Big girl, you are beautiful. / Walks into the room, feels like a big baloon. / I've seen worst.
   Spoiler:
   «Le ragazze grasse non sono brutte», mi esce detto così all’improvviso. Più che altro per un ragionamento mio. «Non capisco perché grasso sia sinonimo di brutto, non è assolutamente vero. Ne ho viste di peggiori.»
   Andrea fa un sorrisino e prende la borsa che aveva lasciato nel bagno. «Forse è meglio che esci dal bagno delle ragazze, prima che arrivi qualcuno che ti denuncia.» Allora se n’era accorta…
   Lei sbricia fuori mentre io aspetto diligente che mi dia il via libera. Alla fine mi fa uscire e ci salutiamo con un po’ più di calore e di imbarazzo del solito. Non è che siamo così intimi, siamo solo compagni di corso.
   Rientro a casa frustrato e mi getto sul letto. La mia buona azione con Andrea non ha fatto sì che il mondo mi sorridesse. Dal piano di sotto sento Yasmine che mi urla che il pranzo è pronto. «Arrivo!», grido in risposta, poi mi sdraio di nuovo. Non arriverò mai, però, perché qualche minuto dopo mi addormento.

   Allora ragazzi, una comunicazione importante, per una volta. Vi invito, se avete voglia ovviamente, a leggere questo articolo scritto da Mika un paio di anni fa, e pubblicato su XL La Repubblica. Purtroppo lo trovo solo in inglese, ma posso farvi una traduzione della parte più importante, quella che vi deve interessare per il prossimo capitolo:
   Il mio secondo incontro con l'Italia avvenne molto tempo dopo e lontano dall'Italia, a Londra. Avevo 19 anni e stavo studiando musica al Royal College of Music, dove per tre anni e mezzo ho cantato come baritono. Dal momento in cui sono entrato nella classe di musica italiana, con il mio professore Marco Canepa, mi sono sentito di nuovo come quello strano tredicenne. Il professor Canepa era un uomo basso di mezza età. Parlava in maniera franca e onesta, con un forte accento italiano. Indossava bretelle rosse e amava l'opera. In tre anni e mezzo di insegnamento ho cantato per lui solo cinque volte, e sempre la stessa canzone; "Già il sole del Gange", di Scarlatti. Ero terribile. Ero un cantante pop che fingeva di essere un cantate classico e sembrava un baritono di 60 anni. Canepa era disperato. Mi chiamava "Il Muto". Quando feci la mia ultima lezione con lui gli dissi che un giorno avrebbe potuto vedermi a Milano ma non sarebbe stato a La Scala, perché sarebbe troppo piccola. Lui pensò che avessi perso la testa.

   Bene, spero di aver tradotto al meglio! Comunque quel che interessa si capisce, penso. Ricordate queste righe, perché saranno importanti per il prossimo capitolo e il prossimo salto nel passato di Mika.
   Vi lascio con delle foto di Vigevano come premio, per aver portato pazienza leggendo il capitolo e poi questo interminabile spoiler!