Di recente mi è capitato di
leggere in rapida sequenza due romanzi che, a giudicare dai commenti e dalle
recensioni che avevo letto in giro, avrei potuto anche paragonare. Dopo aver
letto il primo ho pensato che sarebbe stato interessante leggere anche l’altro
che, per un caso fortuito, mi è capitato fra le mani. Il fatto è che uno mi è
piaciuto moltissimo, l’altro non mi è piaciuto affatto.
Sto parlando di “Canto della
pianura” di Kent Haruf e “Uomini e topi” di John Steinbeck.
E so che vi state domandando
quale mi è piaciuto e quale no, quindi iniziamo.
Ho letto per primo Haruf,
incuriosita dalle ottime recensioni che, più o meno da due anni, spopolano nel
web. All’inizio non volevo piegarmi, perché la trama non mi sembrava
interessante e dopo aver letto un paio di recensioni ho cominciato a evitarle
senza nemmeno leggerne un rigo. Mi ha infine convinta l’uscita dell’ultimo
romanzo, “Le nostre anime di notte”, e il modo in cui lettori appassionati vi
si sono gettati sopra, come se attorno a noi ci fosse solo l’apocalisse
letteraria e Haruf fosse l’ultimo faro di speranza in un mondo altrimenti
oscuro.
Per chi non fosse al corrente,
“Canto della pianura” intreccia le storie di pochi personaggi, tutti abitanti
della cittadina di Holt. Non viene specificato l’anno o il luogo, ma è facile
riconoscervi quell’America rurale del sud degli Stati Uniti, dove si trovano
ancora le fattorie e la campagna sconfinata, un paese dove tutti si conoscono e
sanno i fatti altrui, e se da un lato dilaga l’ignoranza dall’altro è uno dei
pochi luoghi in cui si può trovare gente caritatevole e genuina.
Lontana dagli scintillanti
grattacieli cui siamo abituati a pensare quando si parla di USA, Holt è quadro
di diverse storie. Victoria, sedicenne incinta, viene cacciata di casa dalla
madre e trova ospitalità da due anziani fratelli che gestiscono un terreno.
L’insegnante di storia Guthrie ha da dimostrare la sua buona fede con la
famiglia di un suo allievo, poiché i genitori sono convinti che egli maltratti
il figlio adolescente con pessimi voti immeritati. I suoi bambini nel frattempo
crescono con una madre che, affetta da depressione, passa tutto il tempo in una
stanza buia e sono alla ricerca della dolcezza che ella ha smesso di dare.
Non è stato premeditato, ma poco
dopo mi sono ritrovata a leggere per la prima volta Steinbeck, sempre titubante
in quanto grande classico americano e timorosa di non poterlo comprendere fino
in fondo. Era da molto che avevo questo libro in wishlist e, finalmente, sono
riuscita a procurarmelo in una vecchia edizione, con la traduzione di Cesare
Pavese e libera da introduzioni e commenti di altri, così ho potuto leggerlo a
mente sgombra, senza sapere cosa aspettarmi.
Il romanzo, quasi un racconto per
lunghezza, ha protagonisti George e Lennie, due lavoranti che si spostano di
fattoria in fattoria a cercar lavoro. George è piccolo e astuto, mentre Lennie
ha il cervello di un bambino nel corpo di un gigante. Il sogno di entrambi è
mettere da parte i soldi per comprare un terreno tutto loro dove alleveranno
galline, avranno un orto, dove potranno decidere loro quando lavorare e quando
no ma, soprattutto, un posto dove allevare conigli. Infatti Lennie adora gli
animali di piccola taglia dal pelo soffice, ma ogni volta che ne trova uno lo
carezza talmente tanto che finisce per ammazzarlo. Sembra quasi che il loro
desiderio stia per realizzarsi grazie a un socio in affari, quando Lennie
uccide senza nemmeno rendersene conto la moglie del padrone, poiché quella
prende sottogamba sia la forza che il difetto di intelligenza dell’uomo. Lennie
fugge in un luogo tranquillo ma viene seguito da un gruppo di uomini decisi a linciarlo.
Il primo a trovarlo però è George che, per farlo scampare alla sofferenza, gli
racconta ancora una volta della loro fattoria, lo rassicura sul loro avvenire,
e gli spara alla nuca.
Ora che ho finito di scrivere la
trama di “Uomini e topi”, avrei voglia di parlare solamente di questo libro…
Nel caso ve lo stiate ancora chiedendo,
è stato lui quello che mi è piaciuto.
Ma non credo che ve lo stiate
ancora chiedendo.
Ho sentito dire che Steinbeck ha
fatto da base ad autori come Haruf, tuttavia in “Canto della pianura” non ho
trovato un grammo dell’intensità che invece cattura il lettore in “Uomini e
topi”. Capisco perché i due romanzi sono stati a volte paragonati:
l’ambientazione simile, lo stile semplice e scorrevole, i dialoghi estremamente
chiari e le descrizioni del paesaggio che, secondo me, denotano un grande amore
per la terra di cui si parla. È vero, in questo i due romanzi si somigliano
grazie a certi dettagli di stile e tematiche, e allora perché Steinbeck mi ha
emozionato in modo inversamente proporzionale ad Haruf?
Credo che sia perché le
intenzioni di Steinbeck erano più definite ed energiche di quelle di Haruf.
Certo, le mie sono solo supposizioni, ma laddove mi sembra che Haruf abbia
scritto per amore dell’atto in sé, per amore delle storie e del paese di cui
scriveva (tutti motivi bellissimi, è indubbio), Steinbeck ha scritto per
scuotere gli animi.
“Uomini e topi” parla di operai
agli operai, tutto nel romanzo è progettato per loro, perché il messaggio
arrivi forte e chiaro. Il linguaggio semplice, perché spesso i lavoranti non
sapevano leggere molto o affatto, i dialoghi squisitamente sbagliati dal punto
di vista grammaticale, i personaggi vividi eppure così estremamente umani! Sono
tutti tasselli che vanno a rendere la storia particolarmente intensa e che, in
Haruf, mancano di una spinta.
Ho trovato i due romanzi molto
diversi, e non penso che possano essere paragonati solo in base al fatto che
sono ambientati nello stesso territorio. La carica emotiva che Steinbeck
infonde al romanzo, prima dipingendo la vita dura e le speranze dei
protagonisti per poi distruggerli come unica soluzione alla sofferenza, manca
totalmente in Haruf, sia per la natura delle situazioni raccontate che, io
credo, per uno stile differente.
I personaggi di “Canto della
pianura” sono in balìa della corrente, non sanno cosa vogliono e attendono il
futuro con la speranza che sia meglio del presente, eppure non sognano qualcosa
in particolare né si rimboccano le maniche per uscire dalla situazione in cui
si trovano. Per tutto il libro mi sono parsi apatici, quasi depressi, incapaci
di reagire.
In fin dei conti penso che la
grande differenza fra questi due romanzi non sia tanto la storia o l’epoca, ma
la capacità dell’autore di rendere la drammaticità delle situazioni. Haruf ha
messo i suoi personaggi in posizioni difficili, eppure provare pena per loro è quasi
impossibile perché ogni cosa viene presentata piattamente. Steinbeck ha
concentrato in meno pagine personaggi più intensi, che compaiono anche poco
nella storia ma riescono a trasmettere la loro angoscia, e questo emoziona
molto più di una vicenda in sé drammatica.
Non posso che concludere
consigliando caldamente “Uomini e topi”. È perdurato nel tempo nonostante sia
profondamente legato alla sua epoca, perché analizzando ciò che voleva denunciare
Steinbeck ha colto le ragioni profonde dell’ingiustizia, dovute alla natura
umana più che alle regole ritorte della società.
«Per
noi è diverso. Noi abbiamo un avvenire. Noi abbiamo qualcuno a cui parlare, a
cui importa qualcosa di noi. Non ci tocca di sederci all’osteria e gettar via i
nostri soldi, solamente perché non c’è un altro posto dove andare. Ma se quegli
altri li mettono in prigione, possono crepare perché a nessuno gliene importa.
Noi invece è diverso.»
Lennie interruppe. «Noi invece è diverso! E perché?
Perché… perché ci sei tu che pensi a me e ci sono io che penso a te, ecco
perché.»
I libri di Kent Haruf, nonostante la grandissima popolarità di cui stanno godendo ormai da anni, proprio non mi incuriosiscono per niente e tutto il parlarne che c'è stato non ha fatto che aumentare la distanza tra me e loro. A pelle sento che si tratterebbe di letture che potrei apprezzare solo cordialmente, con freddezza, senza trasporto. La tua recensione non fa che rassicurarmi sul fatto che non commetto un grande errore a non provarci... mentre Uomini e topi (e Steinbeck in generale) sono in wishlist da moltissimo e le tue parole aumentano le aspettative.
RispondiEliminaUn abbraccio!
Anche io divento mano a mano più indifferente ai libri quando diventano troppo 'famosi'. Magari all'inizio mi incuriosiscono, ma l'interesse scende quando comincio a vederli ovunque!
EliminaCome avrai già capito consiglio Uomini e topi moltissimo, e spero che ti piaccia quanto è piaciuto a me :)
Ho sentito parlare di Uomini e Topi di recente da qualcun'altro... forse è nell'aria, nel qual caso perché non partecipare al rituale? Grazie del consiglio. :)
RispondiElimina(Non nel senso che non lo avevo mai sentito nominare, ma sono uscita dal periodo scolastico senza leggerlo, e dopo mi sono buttata su altro.)
EliminaFammi sapere poi se ti piace!
EliminaComunque se dovessi vedere i libri che ho letto per la scuola ce ne sarebbero pochissimi perché la mia professoressa ci dava proprio pochi libri da leggere. Peccato, perché quelli che ci ha assegnato mi hanno fatto scoprire autori che oggi adoro :)