Questa enigmatica quando brutta immagine
di apertura serve per fare presente una cosa ai lettori. Io detesto “Il gobbo di Notre Dame”. E credo che si capisca il
perché.
Sin da bambina, quando ho visto per la
prima volta il cartone animato, ho avuto paura di Quasimodo (e vi prego di non
ridere, mi facevo intere nottate di incubi con lui). Nel profondo del vostro
cuore, potete biasimarmi? Ve la sentite davvero
di condannare una povera bimba che, anche se aveva capito il significato
intrinseco del cartone animato – la classica storia della “bellezza interiore”
– pensava che forse questa volta la Disney aveva un tantino esagerato? Insomma,
avevano già stravolto il libro per adattarlo ad un pubblico di bambini, perché
non togliere anche quelle braccia da scimmia a Quasimodo? Perché non diminuire
un po’ la sua gobba? Perché non fargli un semplice brufolo sull’occhio,
piuttosto che quell’affare deforme che glielo copre tutto?
Be’, a causa di questa terribile fedeltà
della Disney all’unico personaggio cui potevano fare del bene, migliorando un
pochino il suo aspetto, io sono rimasta traumatizzata. Talmente tanto, in
effetti, che quando mi è capitato di trovarmi di fronte ad una vecchia edizione
di “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo, alla ‘veneranda’ età di ventidue anni,
ho pensato che era giunto il momento di esorcizzare i miei demoni.
C’è chi ha paura dell’altezza, e si
mette a fare bungee jumping. Chi soffre di aracnofobia, e si guarda i
documentari sugli insetti. Io leggo “Notre Dame de Paris”.
Se devo essere del tutto sincera, non mi
aspettavo che questo libro mi piacesse. In realtà quando l’ho incominciato ho
pensato soltanto: «Vediamo che cosa aveva in mente il decerebrato [Hugo] quando
ha dato inizio a tutto questo.» Maledicevo Hugo in tutte le lingue a me
conosciute, lui e Walt Disney. Poi ho letto il libro.
E l’ho maledetto più forte. Ma con
lo stesso mix di amore e odio con cui si maledice George R. R. Martin.
George Martin, sadico ideatore del "Trono di Spade". In effetti, vedo somiglianze fisiche fra lui e Hugo. |
Una persona che, come me, ricorda il
cartone animato e, senza sapere nulla di Hugo e della sua chiara tendenza al
cinismo e al tragico, legge il libro, rimane sconvolto. Non giustifichiamolo
dicendo che all’epoca era di moda scrivere libri tristi! Vi ricordo che nello
stesso periodo Charles Dickens scriveva “Oliver Twist” e “Canto di Natale”, che
finiscono a chili di tarallucci e litri di vino!
Comunque sia, il prologo del libro ci
informa che la storia venne ispirata da una parola che l’autore trovò incisa in
una delle torri di Notre Dame. Ananke.
In greco “necessità” o, più poeticamente – come immagino lo abbia detto Hugo –
“destino”, “fato”. Per più di metà libro ci si chiede quando mai Quasimodo,
preso dallo sconforto, inciderà quelle lettere nella pietra, ma dopo tanta
attesa veniamo smentiti.
Una delle prime cose che si notano è che
il protagonista non è Quasimodo, come vogliono farci credere le migliaia di
trasposizioni, bensì Claude Frollo.
Il personaggio di Frollo è molto diverso
da quello che abbiamo oggi nella nostra testa. Tanto per cominciare non è un
giudice ma un diacono. Per di più è l’unico che si occupa di Quasimodo, che lo
salva da neonato quando questi viene abbandonato dagli zingari suoi genitori, e
che gli vuole bene. Quasimodo per parte sua gli è affezionato a sua volta. Le
uniche cose che ama sono Claude Frollo e la chiesa di Notre Dame.
Quasimodo, purtroppo, è ancora più
sfigato di come potremmo immaginarlo. Non solo è gobbo e guercio, ma anche
storpio (ha una gamba più corta dell’altra) e, a forza di suonar campane,
sordo. Per non farci mancare nulla, inoltre, Quasimodo è anche stupido. Oggi
diremmo che ha un handicap mentale ma, nel medioevo, si diceva solo che fosse
stupido. Quasimodo viene descritto più come un animale che come un uomo.
Nonostante Frollo lo abbia accudito, amato, educato, lui rimane preda dei suoi
istinti, i suoi ragionamenti sono apparentemente molto semplici e la sua
psicologia, come i suoi sentimenti, elementari. L’aggettivo adatto è, appunto,
animalesco.
Per contrapposizione abbiamo Claude
Frollo. Un uomo colto, serio, estremamente razionale. Da giovane, entusiasta
studente, che però ha dovuto iniziare la sua carriera di diacono alla morte dei
genitori per assicurare un futuro al fratello minore – che fra l’altro è per
lui una delusione, sia accademica che umana.
Entrambi questi personaggi si vedono
crollare addosso il proprio mondo e le proprie convinzioni. Sono costretti a
mettersi in discussione, a rivalutare tutto ciò su cui si sono basati fino a
quel momento per vivere. Tutto a causa di Esmeralda. Il più tormentato dei due
è, chiaramente, Frollo. Preso da passione irrazionale, incontrollabile,
animale, per Esmeralda, è costretto a cedere a questa voglia e tenta più volte
di convincere la donna a sposarlo – una volta anche con la forza – per poter
giacere con lei. Assieme a questa passione che lui vede come negativa, essendo
quella insistente e insaziabile, lo tormentano anche la gelosia e l’invidia.
Scorgendo questo cambiamento nel suo maestro Quasimodo si sente confuso, non lo
riconosce e inizia a chiedersi se egli sia davvero un uomo buono, come buono è
sempre stato con lui.
Victor Hugo |
Entrambi i personaggi, a modo loro e
nella realtà del loro carattere e modo di essere, scoprono di avere diverse
sfaccettature. Questa è una delle cose che mi piace di più vedere, nei libri:
il grigio. Sono fermamente convinta che le cose non siano bianche o nere, e
poterne avere prova anche leggendo è sempre bello. Proprio quando
pensiamo di aver inquadrato qualche personaggio ecco che succede qualcosa che
ribalta completamente l’immagine che abbiamo di lui!
Prendendo atto di queste informazioni ci
accorgiamo di star entrando in un romanzo molto diverso da quel che ci
aspettavamo. E non ho ancora finito con i personaggi principali. Per chi ama
Esmeralda e Phoebus, be’… fuggite, sciocchi!
Esmeralda di per sé non è un personaggio
tanto negativo. Diciamo che è solo irrimediabilmente sciocca, e si comporta di
conseguenza. Cieca di fronte al fatto che l’unica cosa che Phoebus vuole da lei
è la sua verginità, si strugge per lui, gli perdona tutto, lo adula e nemmeno
quando scopre che sta per sposarsi con un'altra donna la prende un po’ di
stizza. Phoebus è un soldato rozzo, ubriacone, sesso-dipendente e bugiardo. Si
capisce subito che questi personaggi non mi piacciono, data la descrizione poco
poetica che ne do – a differenza di come mi sono dilungata in sviolinate nella
descrizione di Frollo e Quasimodo.
La trama principale è semplice, ma viene
arricchita da sottotrame interessanti e avvincenti. Tuttavia, per chi desidera
leggere il libro (e ve lo consiglio), non la racconterò qui. Inoltre la forza
di questo romanzo, oltre alla capacità narrativa dell’autore, sono i personaggi.
Non
pensavo di potermi affezionare ad un cattivo, ma è così. Mi stavo innamorando
di Claude Frollo, e maledicevo Esmeralda perché preferiva lo stupido anche se
affascinante Phoebus all’acuto e (quasi sempre) gentile Frollo.