venerdì 6 giugno 2014

Storia di O - Pauline Reage

   Grazie alla nuova mania cui “Cinquanta sfumature di grigio” ci ha introdotti, una delle mie più care amiche ha iniziato a leggere (quella che mi aveva consigliato il suddetto libro, per l’appunto, da cui era scaturita ‘su-linkata’ recensione). Intendiamoci, leggeva anche prima, ma solo fumetti e tabelle nutrizionali. In disperata ricerca di qualcosa da leggere, le ho chiesto di prestarmi un libro che le avevo visto in mano un po’ di mesi prima. Scritto negli anni ’50 da una donna francese che era rimasta fino a pochi anni fa anonima, era stato censurato e la critica si era dibattuta parecchio all’epoca, divisa nel bollare completamente il romanzo come immorale, o elevarlo a opera.
   Ho pensato che leggere uno dei primi romanzi erotici che parlava del tema del BDSM sarebbe stato interessante – di certo molto più interessante di “Cinquanta sfumature di grigio”. In effetti è stato illuminante, non perché mi sia sessualmente convertita o cosa, ma perché mi sembra di aver compreso almeno un po’ questi romanzi e forse queste preferenze sessuali (perlomeno dal punto di vista dello ‘schiavo’).
 
Pauline Reage, vero nome
Dominique Aury
 
   L’amante di O, René, per testare l’amore della giovane, la porta in un castello a Roissy, dove viene educata ad essere una schiava sessuale. O viene usata come oggetto sessuale non solo dal suo amante ma anche da altri uomini, e le viene insegnato ad obbedire agli ordini e a mostrare rispetto e umiltà nei confronti dei padroni. O, invece di sentirsi oltraggiata o usata, trova in questa vita una liberazione: non deve più occuparsi di sé stessa, qualcun altro decide e lei deve solo obbedire senza pensare a nulla.
   Terminato il soggiorno a Roissy, O torna alla vita di tutti i giorni, ma con la consapevolezza di appartenere a René. Vuole compiacerlo e che l’uomo sia fiera di lei, così quando questi le presenta il fratellastro, un inglese che chiamerà sir Stephen, O fa di tutto per dimostrare di essere all’altezza e rendere René orgoglioso di lei. L’uomo la informa del fatto che da ora in poi lei sarà sua come di sir Stephen e, sebbene inizialmente O sia intimidita da quest’uomo, alla fine s’innamora di lui. O scopre più tardi, quando ormai il sentimento per René è svanito, che il suo amore altro non era che una farsa: sin dall’inizio René aveva in mente di cederla a sir Stephen; Roissy e tutte le prove cui l’ha sottoposta sono stati modi per capire sin dove si sarebbe spinta.
   O si dona completamente a sir Stephen, acconsentendo di farsi marchiare a fuoco le iniziali dell’uomo nel fondoschiena e facendosi una sorta di piercing alla vagina dove indosserà un anello con il nome del suo padrone.
   Oltre al finale che ho letto, nel quale si intuisce che O rimarrà amante di sir Stephen, diventando la perfetta schiava e annullando sé stessa in quella, esiste anche un capitolo in più, eliminato dal romanzo, di cui però esiste un brevissimo riassunto. In questo capitolo sir Stephen abbandona O e la ragazza, inorridita e infelice di quella prospettiva, chiede al suo padrone di potersi togliere la vita. Lui acconsente.
 
 
   Spesso, parlando con la mia amica di questi romanzi (cercando chiaramente di spingerla a leggere Harry Potter, cosa che non farà mai) le dicevo che non riuscivo a capire il perché sembrasse a tutti così elettrizzante il fatto di diventare una schiava sessuale.
   In primis, in maniera molto seria e combattiva, lei ha precisato che se la gente che ha letto “Cinquanta sfumature di grigio” e che adesso grida che vuole essere sculacciata, davvero sapesse com’è essere una schiava sessuale, non sarebbe più così ansiosa di diventarlo; inutile dire che mi trova d’accordo. Poi mi ha informata che la maggior parte dei libri che ha letto si basano più o meno tutti sullo stesso principio: diventare una schiava (o uno schiavo; perché essere sessisti?) libera dalle decisioni.
   A questo punto non ci ho visto più.
   Aspetterò di parlare con qualcuno che pratica veramente BDSM, perché se questa è l’unica ragione allora mi cadono le braccia e anche le palle! Insomma, volete dirmi che vi fate fare la qualsiasi cosa perché siete pigri e non vi va di decidere per conto vostro? Mi rifiuto di crederlo! Certo, la vita è più comoda se è qualcun altro a decidere per noi, a prendersi cura di noi, ma dove va a finire la personalità?
 
 
   Ecco, questo è particolarmente chiaro nell’ultima scena di “La storia di O”: mascherata in viso come un uccello esotico, O viene portata ad una festa dell’alta società ed esibita come un oggetto. Si trova nuda di fronte a persone che la osservano incuriositi, un po’ spaventati e vagamente disgustati, come si fa con qualcosa di bizzarro. Lei non si muove e non reagisce ad alcuna provocazione. Alla fine della festa sir Stephen e un suo amico la possiedono a turno fino a che non se ne stancano.
   Il mio punto di vista? O non è più una persona. Completamente annullata nelle decisioni, a lungo andare le si annulla il cervello.
   Credo che sia semplicemente qualcosa che non condivido, ecco tutto. Ma, hei, una scelta è sempre una scelta. Anche quella di non scegliere più niente.
   Se posso fare un paragone (comprensibile forse più di tutto alle ragazze): prendere decisioni è come indossare i tacchi. Le scarpe da ginnastica sono più comode, non fanno male e sono pratiche. I tacchi sono difficili da indossare, camminarci è quasi un impresa, ogni tanto ci fanno cadere e stiamo pur certi che ci faranno male ai piedi; ma quanto ci piacciamo quando li stiamo indossando?

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