Grazie alla nuova mania cui “Cinquanta sfumature di grigio” ci ha introdotti, una delle mie più care amiche ha
iniziato a leggere (quella che mi aveva consigliato il suddetto libro, per
l’appunto, da cui era scaturita ‘su-linkata’ recensione). Intendiamoci, leggeva
anche prima, ma solo fumetti e tabelle nutrizionali. In disperata ricerca di
qualcosa da leggere, le ho chiesto di prestarmi un libro che le avevo visto in
mano un po’ di mesi prima. Scritto negli anni ’50 da una donna francese che era
rimasta fino a pochi anni fa anonima, era stato censurato e la critica si era
dibattuta parecchio all’epoca, divisa nel bollare completamente il romanzo come
immorale, o elevarlo a opera.
Ho pensato che leggere uno dei primi
romanzi erotici che parlava del tema del BDSM sarebbe stato interessante – di
certo molto più interessante di “Cinquanta sfumature di grigio”. In effetti è
stato illuminante, non perché mi sia sessualmente convertita o cosa, ma perché
mi sembra di aver compreso almeno un po’ questi romanzi e forse queste
preferenze sessuali (perlomeno dal punto di vista dello ‘schiavo’).
Pauline Reage, vero nome Dominique Aury |
L’amante di O, René, per testare l’amore
della giovane, la porta in un castello a Roissy, dove viene educata ad essere
una schiava sessuale. O viene usata come oggetto sessuale non solo dal suo
amante ma anche da altri uomini, e le viene insegnato ad obbedire agli ordini e
a mostrare rispetto e umiltà nei confronti dei padroni. O, invece di sentirsi
oltraggiata o usata, trova in questa vita una liberazione: non deve più
occuparsi di sé stessa, qualcun altro decide e lei deve solo obbedire senza
pensare a nulla.
Terminato il soggiorno a Roissy, O torna
alla vita di tutti i giorni, ma con la consapevolezza di appartenere a René.
Vuole compiacerlo e che l’uomo sia fiera di lei, così quando questi le presenta
il fratellastro, un inglese che chiamerà sir Stephen, O fa di tutto per
dimostrare di essere all’altezza e rendere René orgoglioso di lei. L’uomo la
informa del fatto che da ora in poi lei sarà sua come di sir Stephen e, sebbene
inizialmente O sia intimidita da quest’uomo, alla fine s’innamora di lui. O
scopre più tardi, quando ormai il sentimento per René è svanito, che il suo
amore altro non era che una farsa: sin dall’inizio René aveva in mente di
cederla a sir Stephen; Roissy e tutte le prove cui l’ha sottoposta sono stati
modi per capire sin dove si sarebbe spinta.
O si dona completamente a sir Stephen,
acconsentendo di farsi marchiare a fuoco le iniziali dell’uomo nel fondoschiena
e facendosi una sorta di piercing alla vagina dove indosserà un anello con il
nome del suo padrone.
Oltre al finale che ho letto, nel quale
si intuisce che O rimarrà amante di sir Stephen, diventando la perfetta schiava
e annullando sé stessa in quella, esiste anche un capitolo in più, eliminato
dal romanzo, di cui però esiste un brevissimo riassunto. In questo capitolo sir
Stephen abbandona O e la ragazza, inorridita e infelice di quella prospettiva,
chiede al suo padrone di potersi togliere la vita. Lui acconsente.
Spesso, parlando con la mia amica di
questi romanzi (cercando chiaramente di spingerla a leggere Harry Potter, cosa
che non farà mai) le dicevo che non riuscivo a capire il perché sembrasse a
tutti così elettrizzante il fatto di diventare una schiava sessuale.
In primis, in maniera molto seria e combattiva,
lei ha precisato che se la gente che ha letto “Cinquanta sfumature di grigio” e
che adesso grida che vuole essere sculacciata, davvero sapesse com’è essere una
schiava sessuale, non sarebbe più così ansiosa di diventarlo; inutile dire che
mi trova d’accordo. Poi mi ha informata che la maggior parte dei libri che ha
letto si basano più o meno tutti sullo stesso principio: diventare una schiava
(o uno schiavo; perché essere sessisti?) libera dalle decisioni.
A questo punto non ci ho visto più.
Aspetterò di parlare con qualcuno che
pratica veramente BDSM, perché se questa è l’unica ragione allora mi cadono le
braccia e anche le palle! Insomma, volete dirmi che vi fate fare la qualsiasi
cosa perché siete pigri e non vi va di decidere per conto vostro? Mi rifiuto di
crederlo! Certo, la vita è più comoda se è qualcun altro a decidere per noi, a
prendersi cura di noi, ma dove va a finire la personalità?
Ecco, questo è particolarmente chiaro nell’ultima
scena di “La storia di O”: mascherata in viso come un uccello esotico, O viene
portata ad una festa dell’alta società ed esibita come un oggetto. Si trova
nuda di fronte a persone che la osservano incuriositi, un po’ spaventati e
vagamente disgustati, come si fa con qualcosa di bizzarro. Lei non si muove e
non reagisce ad alcuna provocazione. Alla fine della festa sir Stephen e un suo
amico la possiedono a turno fino a che non se ne stancano.
Il mio punto di vista? O non è più una
persona. Completamente annullata nelle decisioni, a lungo andare le si annulla
il cervello.
Credo che sia semplicemente qualcosa che
non condivido, ecco tutto. Ma, hei, una scelta è sempre una scelta. Anche
quella di non scegliere più niente.
Se posso fare un paragone (comprensibile
forse più di tutto alle ragazze): prendere
decisioni è come indossare i tacchi. Le scarpe da ginnastica sono più comode,
non fanno male e sono pratiche. I tacchi sono difficili da indossare,
camminarci è quasi un impresa, ogni tanto ci fanno cadere e stiamo pur certi
che ci faranno male ai piedi; ma quanto ci piacciamo quando li stiamo
indossando?
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