Ho appena terminato di leggere “Il caso dei libri scomparsi”,
di Ian Sanssom.
Questo libro è l’ennesimo lampante esempio di come non ci si
debba mai fidare delle recensioni ufficiali. A leggere le critiche infatti
questo libro ci appare divertentissimo, il primo di una trilogia nuova ed
originale, con un protagonista anticonvenzionale e un mistero oscuro da
risolvere veramente ma veramente fico!
… be’, non è nulla di tutto ciò.
L’unica consolazione che trovato nel leggerlo, andando
avanti e avanti con caparbietà e oserei dire coraggio, è che almeno me l’hanno
regalato, quindi non ho speso neanche un centesimo per ‘sta roba.
Partiamo dalla cosa più evidente. Dovrebbe far ridere, si
evince dalle situazioni, dai dialoghi, dalle battute. La verità è che non fa
ridere nemmeno per sbaglio. Mi è capitato raramente di piegare un poco le
labbra in un debole sorriso, il che non compensa il fatto che ci siano trecento
pagine di sfighe – si presuppone divertenti ma in realtà patetiche e poi
esagerate – contro il protagonista.
Protagonista ad una prima occhiata – devo ammetterlo –
interessante. Non mi era mai capitato di leggere di un bibliotecario
grassottello mezzo irlandese e mezzo ebreo. Con l’andare avanti della
situazione il personaggio diventa purtroppo stereotipo, così come pressoché tutta
l’Irlanda del Nord di Sanssom: strano accento, molta religione, decisamente
strambi in qualsiasi modo possibile. Per di più nessuno viene trattato con
grande attenzione ma solo superficialmente, nemmeno Israel Armstrong, il nostro
bibliotecario, viene preso in gran conto.
Quindi ecco che lo stile e i personaggi non si salvano,
tanto per cominciare. Proviamo a riporre speranza nel mistero da risolvere? Bene,
partiamo dal presupposto che Israel viene incaricato di ritrovare i libri
scomparsi, manco fosse un detective. Capisco che oggi come oggi sia, per così
dire, di moda prendere il primo povero malcapitato che ci capita fra le mani e
gettarlo nell’azione nonostante sia una persona comune; a volte è proprio
quello il bello. Ma qui la cosa non viene affatto giustificata! Per lo meno in
qualche altro libro o film ti avevano rapito la figlia e la moglie, e quindi ti
ritrovavi coinvolto per forza e non potevi mollare. Israel, invece, può
andarsene quando vuole, e desidera ardentemente farlo date tutte le lagne che
ci propone nel corso del libro (credo di aver letto più disavventure qui che
nel “Signore degli Anelli”), l’unico motivo per cui non lo fa è che altrimenti
non ci sarebbe niente da scrivere, così Sanssom lo costringe a Tundrum,
cittadina dell’Irlanda del Nord, senza apparente motivo e con tutte le
possibilità di tornare a casa.
Torniamo al nostro giallo. La soluzione del mistero viene
rivelata letteralmente nelle ultime due pagine. Dico sul serio, le ultime due,
ed è talmente fiacca e prevedibile che per poco non piangevo di sconforto.
Non consiglierei questo libro a nessuno. Non si salva né per
la comicità né per il filone giallo.
Ach! Che sconforto!
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