Ho visto il trailer di “Un giorno questo dolore ti sarà
utile” e ho pensato che volevo vederlo a tutti i costi. In un modo o nell’altro
non ho avuto mai più il tempo di pensare ad andare al cinema, e infatti ancora
oggi non ho visto il film – ma rimedierò il prima possibile. In seguito ho
saputo che era un libro e ho pensato di leggerlo prima di guardare il film,
dato che solitamente i libri sono più belli, e che se guardo prima il film e
poi mi leggo il libro mi sembra di essermi rovinata la sorpresa.
Per cui, eccomi a recensire.
Una delle prima cose che mi è venuta in mente leggendo “Un
giorno questo dolore ti sarà utile” è stata Holden Caulfied. Sì, il romanzo mi
ricorda vagamente “Il giovane Holden”, ma in versione moderna. Le differenze,
sia nel protagonista che nel racconto in sé, ci sono eccome, ma il discorso di
fondo è lo stesso: c’è un ragazzo che si ritrova sperduto in un mondo che non
capisce e che non riesce a capirlo.
La parola disadattato
in questo romanzo viene usata alla grande, ma credo che sia la prima volta in
cui capisco realmente che cosa s’intende per disadattato.
Il protagonista diciottenne infatti, James Sveck, è un disadattato.
Lo si capisce molto bene da come racconta la sua vita, si percepisce il suo
senso di distacco dagli altri. Peter Cameron riesce a trasmetterci le emozioni
del suo personaggio talmente bene che le situazioni nelle quali si ritrova, e
nelle quali si sente a disagio o arrabbiato, risultano strane anche al lettore.
Forse se mi capitasse davvero di essere seduta sola in un teatro-ristorante non mi
sentirei così male, ma Cameron riesce a farci entrare nel punto di vista di
James così in profondità che riusciamo a capirlo. Riusciamo a calarci nei panni
di un disadattato.
Il romanzo non è altro che una sorta di lunga autoanalisi,
nella quale James capisce prima di avere bisogno di aiuto, che la vita che
conduce non è felice, e poi… be’, qui poi viene la pecca. Nonostante non ci sia
una trama vera e propria ma solo fatti che si autoconcludono in poche pagine,
Cameron l’ha pensata come si deve: in mezzo ai fatti narrati, come per fare un
esempio di quanto James si senta fuori dal mondo, le digressioni abbondano, e
questo rende il personaggio molto più reale. Abbiamo quindi il racconto di
quando è uscito di testa al Metropolitan Museum, abbiamo le sedute dalla
psicologa, abbiamo i momenti con i familiari, e tutti questi momenti danno
spunto per una riflessione. Quando stiamo per arrivare alla fine sembra che un
cambiamento stia giungendo, ce lo aspettiamo. Ci aspettiamo il momento
decisivo, l’epifania, l’illuminazione divina o come si voglia chiamarla.
Purtroppo però rimaniamo delusi, perché questa supposta epifania che dovrebbe
esserci, e che nelle ultime pagine Cameron dà per scontata, non viene. O
meglio, passa senza fare rumore. Forse è stato il momento con la nonna, o forse
quando ha risposto al telefono del suo compagno di stanza alla Brown, ma già doverlo
indovinare rende tutto così… deludente. Dov’è la svolta? L’epifania?
In parole povere, questo romanzo è stato “carino” e “leggibile”
e un sacco di altri aggettivi semplici, ma quando siamo arrivati al punto dove
avrebbe dovuto fare boom! e
finalmente rendere tutte quelle pagine prima non solo carine, ma belle e con un
senso nuovo, si è appiattito fino a scomparire.
Non sono molto contenta di averlo letto, da come ne
parlavano mi aspettavo di meglio. Non mi sento di bocciarlo del tutto perché in
fondo posso definirlo carino, ma
certo non è il capolavoro per il quale oggi, dopo il film, vogliono farlo
passare.
Nonostante questo sono ancora molto curiosa di vedere il
film, e credo che questa potrebbe essere una di quelle rare occasioni in cui la
pellicola supera la carta.
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