Prima di leggere questo libro, se
qualcuno mi avesse detto che poteva proiettarmi nel passato per una giornata, a
quando avevo cinque anni, avrei risposto subito di sì. Sarei stata curiosa di
rivivere una giornata tipo della mia infanzia con il senno di poi, per
ricordare che cosa facevo e com’erano le cose una decina di anni fa, quando a
me tutto sembrava grande – le persone erano tutte alte, le stanze tutte grandi
e quella zia ora sempre musona e acida, solare e divertente. Sarebbe curioso
rivedere tutto con una consapevolezza più adulta, no?
Lo pensavo, ma ho cambiato idea.
Se me lo domandassero ora, risponderei
di no senza riserve! È più bello lasciare le nostre passioni infantili nella
bruma dorata e poco dettagliata cui appartengono ora, anche solo per non
rischiare di rimanere delusi dalla realtà. Se non indaghiamo oltre, potremmo ad
ogni momento pescare uno qualsiasi di quei ricordi e godercelo appieno, senza
vederne gli spigoli e gli angoli bui.
Sono decisamente andata a immergermi in
un angolo buio, leggendo questo libro, ma ho imparato la lezione e credo che da
ora in po’ non mi fionderò a bomba su tutti i classici da cui hanno preso
spunto per i cartoni animati che guardavo da bambina.
Come ad esempio “Papà Gambalunga”.
Uno dei ricordi che ci portiamo dietro
di più a lungo sono i programmi che guardavamo da piccoli.
Mia madre mi racconta ancora oggi con
occhi rapiti di quando guardava i Flinestones o ascoltava per radio i racconti
a puntate. Io ricordo che uno dei cardini della mia giornata era guardare i
cartoni animati prima di andare a scuola (o litigarmi il telecomando con mio
papà che voleva vedere il telegiornale. Vinceva sempre lui, anche se io cercavo
di convincerlo dicendo «Ma succedono solo cose brutte!» Chissà perché la cosa
non lo tangeva).
Per questo motivo, immagino, quando sono
venuta a sapere che “Papà Gambalunga” era in realtà un romanzo ne sono stata
elettrizzata. Non appena ne ho avuta in mano una copia ho iniziato a leggerla,
chiedendomi come avevo fatto a non scoprirlo prima.
Dire che sono rimasta delusa da questo
libro è un eufemismo. Non è che io sia delusa, si è delusi quando non va come
ci si aspetta. Questo libro non va e basta! Tanto per capirci, non ho nemmeno
bisogno di raccontarvi la trama, perché a parte due avvenimenti all’inizio e
alla fine del libro, non succede proprio un cavolo!
Una forma epistolare disordinata e
decisamente infantile è stata scelta per il romanzo. Dovrebbe semplicemente
essere una lettera al mese, e questo mi porta a pensare che ogni capitolo sia
formato da una lettera, che racconta cos’è accaduto nei trenta giorni passati e
basta. Invece no, forse non era abbastanza divertente da scrivere, in quel
modo! È come se ogni lettera venisse cominciata e ripresa ogni tre o quattro
giorni, con aggiornamenti sulle date e postille. Più che delle lettere sembrano
un diario. A questo punto, mi dico, sarebbe stato molto meglio un diario:
almeno avrebbe avuto senso!
Jean Webster |
Jerusha Abbott è una delle orfanelle più
grandi al John Grier’s Institute, studia e aiuta all’orfanotrofio. I suoi
risultati scolastici vengono notati da un misterioso benefattore
dell’orfanotrofio, che si propone di pagarle la retta dell’università in cambio
di suo notizie ogni mese.
Jerusha inizia così a scrivere le
lettere, raccontando come va la vita universitaria. Il nomignolo che sceglie
per il suo benefattore è Papà Gambalunga, poiché di lui ha visto solo la sua
ombra stagliarsi sulla parete al tramontare del sole, e le gambe dell’uomo
erano particolarmente allungate.
Dopo quattro anni di serena università,
Jerusha – che alla terza o quarta lettera cambia nome in Judy, non si sa perché
– non sembra aver maturato alcuno spessore come personaggio. È piatta e
prevedibile, nelle sue lettere passa tutto il tempo a raccontare di cosa fa con
le sue amiche nell’istituto e con altri amici durante le vacanze estive. Non
accade nulla di rilevante fino alla fine, quando un suo caro amico di cui parla
spesso la chiede in sposa. Jerusha rifiuta, senza nemmeno sapere il perché,
dato che anche lei è infatuata dell’uomo, e scrive a Papà Gambalunga per
chiedere consiglio. È allora che scopre che Papà Gambalunga è l’uomo di cui è
innamorata.
Fine.
Quando mi sono lamentata della piattezza
del romanzo, mia mamma mi ha sgridata e mi ha detto: «Non stai pensando quadirmensionalmente Patty!»
A suo parere Judy e Papà Gambalunga non
potevano stare assieme senza dare scandalo, perché lui era una sorta di tutore,
per questo lui ha tenuto la sua identità segreta.
Insomma, mi sta bene, ma anche se il
libro è ambientato in un epoca in cui tutte le cose divertenti erano proibite, anticristiane
o scandalose, non significa che non debba succedere assolutamente nulla!
Allora, tanto per essere chiari – credo che
sia la prima volta che lo dico – non leggete
questo libro. Dico sul serio. Non leggetelo. Sarebbe una perdita di tempo,
di denaro e arrecherebbe solo quel malessere impotente di cui siamo vittime noi
lettori seriali: la sensazione che sia tutto sbagliato, ma noi non possiamo
farci nulla!
Judy Abbott come voglio ricordarla: nel cartone animato! |
Avevo letto questo romanzo da bambina. Parla di un altro mondo; di un'altra epoca, ma non è male. Chissà come potrei viverlo ora... :)
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