Sto facendo parecchia fatica a scrivere
questa recensione, tant’è che la prima stesura è stata scritta a mano su un
quadernone (ho pensato che allontanarmi dal pc poteva essere utile). Forse perché è da un po’ che non scrivo recensioni, o perché ho dei dubbi su questo
libro.
Inizierò da qualcosa di semplice allora,
un riassunto di “L’abbazia di Northanger”, di Jane Austen.
Catherine Morland, la maggiore delle
figlie dei Morland, viene invitata dai vicini, i coniugi Allen, a
passare le vacanze con loro nella cittadina di Bath.
Pochi giorni dopo il loro arrivo
Catherine fa amicizia con Isabella Thorpe e suo fratello John. La prima appare
come una ragazza deliziosa ma, con l’andare avanti del tempo, risulta vanitosa,
egoista e capricciosa. Il fratello dimostra di essere antipatico sin dal
primo istante: non fa che vantarsi di ciò che ha, degli affari che conclude, e
sminuisce tutti gli altri.
Per fortuna Catherine incontra anche la
famiglia Tinley e fa subito amicizia con Elaeanor e con suo fratello Henry –
invaghendosi subito di quest’ ultimo. Con loro instaura un’amicizia sincera,
che le procura un invito alla casa di famiglia dei Tinley, l’abbazia di
Nothanger.
Catherine nutre molte aspettative per
questa dimora perché le ricorda le ambientazioni dei romanzi gotici che ama tanto,
tuttavia rimane delusa dalla normalità della casa. Dopo una figuraccia proprio
con Henry Tinley decide di lasciare le fantasie gotiche nei libri, e
di vivere la sua vita senza cercare ovunque un mistero che, di
fatto, non esiste.
La protagonista torna a casa dopo aver
imparato molte preziose lezioni sulla società, prendendo le distanze dai poco
sinceri fratelli Thorpe e guadagnandosi anche una richiesta di matrimonio da parte
di Henry Tinley.
Ho letto altri tre romanzi di Jane
Austen e, sebbene il mio giudizio per ognuno sia diverso, non posso dire di
nessuno che non mi sia piaciuto per ragioni di stile. Tranne questo. Presto spiegato
il fatto: “L’abbazia di Northanger” è stato il primo romanzo scritto dalla
Austen e pubblicato postumo dai fratelli dell’autrice.
Si intuisce uno stile alle prime armi,
che ancora sperimenta la sua scrittura. L’autrice si chiede fin dove può e
riesce ad arrivare, cosa dovrebbe scrivere e come dovrebbe farlo. A questo
proposito si riconoscono alcune caratteristiche della Austen già autrice
avviata, come l’ironia pungente indirizzata all’alta società, la costruzione di
un gruppo formato da poche famiglie le cui vicende costituiscono la trama.
Inoltre vediamo alcune delle figure che verranno usate in quasi
tutti i suoi romanzi: la ragazza viziata, il giovanotto prepotente, la donna
anziana un po’ frivola ma sostanzialmente buona, il capofamiglia ambizioso.
Compaiono tutti ma, a mio parere, sono troppo eccessivi in questo romanzo per
essere sottilmente ironici, diventano grossolani.
Una delle cose tipiche della scrittura
della Austen che, invece, non ho trovato – ed è stato un piacevole cambiamento –
è la diffidenza per i personaggi troppo simpatici. In tutti i suoi libri c’è un
personaggio che si dimostra sin da subito estremamente affabile e che, in
seguito, si scopre essere negativo. Questa volta non è successo ed è stato
piacevole non aver previsto il risvolto ‘inaspettato’ di uno dei personaggi.
Il romanzo vorrebbe essere, immagino,
una sorta di presa di posizione. La Austen qui dichiara cosa vuole scrivere e
perché, e in effetti mantiene la parola nei suoi seguenti romanzi. In questo
non posso fare a meno che ammirarla. Raramente si ha un’idea chiara del proprio
stile, delle possibilità della propria scrittura e di cosa si vuole raggiungere
con essa. Lei l’aveva, e anche in giovane età.
Ma vediamo quali sono queste intenzioni:
Tramite la sua eroina, ma anche
apertamente rivolgendosi proprio al lettore, la Austen si dichiara in difesa del romanzo, contro coloro che all’epoca
lo reputavano una lettura frivola, priva d contenuti e indirizzata ad un
pubblico ritenuto di categoria B. Dice che il romanzo non solo è pari a saggi e
articoli di studiosi, ma addirittura superiore, in quanto coinvolge il lettore
e gli fornisce insegnamenti morali più che scientifici.
Il libro è inoltre una critica ai
romanzi gotici, molto di moda all’epoca in cui lei scrisse “L’abbazia di
Northanger”. Buona parte della trama ruota intorno al fatto che la casa dove la
protagonista è ospite nasconda un segreto, e che gli stessi abitanti siano
tuttora in pericolo in quanto una persona malvagia si aggira fra quelle mura,
indisturbata. Inoltre la stessa Catherine è l’eroina dei romanzi gotici per
eccellenza, una ragazza normale che si ritrova suo malgrado a vivere una
situazione di pericolo. Prendendo in giro le situazioni che si
vengono a creare in questi racconti la Austen sembra voler dire che non c’è
bisogno di tante fantasie, peraltro impossibili, per scrivere un buon romanzo.
Basta guardare fuori dalla finestra, parlare con i vicini, ascoltare le
chiacchiere all’ora del tè, per sentirsi ispirata e imbastire una storia più
che interessante.
Non diventerà mai uno dei miei romanzi
preferiti di quest’autrice, tuttavia è perdonata in base al fatto
che si tratta del primo da lei mai scritto e, nonostante tutto, è una storia
piacevole e la consiglio a chi ama Jane Asuten.
Ma che non vi venga in mente che si
tratta di un romanzo gotico!
Nessun commento:
Posta un commento
Ogni commento sarà bene accetto!
Grazie dell'attenzione e del tempo dedicatovi.