lunedì 16 gennaio 2017

La vita segreta dei personaggi

Quando mi viene in mente un’idea per una storia, fosse anche solo una frase, me la scrivo per non dimenticarla e, se non continua a ronzarmi in testa, la lascio lì in attesa del suo momento. Dopo la pausa forzata dei precedenti mesi tutto sta ricominciando a girare e anche la mia voglia di scrivere è tornata. Piano piano, in sordina, si è fatta un giro negli angoli più remoti del mio cervello senza farsi notare, ha toccato qualche neurone per far vedere che era ancora viva e, per un po’, ha gironzolato guardando come un osservatore curioso che aria tirava. Quando ha capito che era tornata la calma si è installata nel suo giaciglio e ha cominciato a bombardarmi: la voglia di scrivere si è fatta sentire e ho dovuto rispondere al suo richiamo.
Per prima cosa ho ricercato nella memoria una storia che sentivo di voler raccontare più delle altre e, aiutata dal fedele file word in cui appunto ogni cosa, ho trovato quest’idea che, da diversi anni, attendeva paziente che mi decidessi a riprenderla. Dato che era assolutamente abbozzata ho pensato a cosa mi va di scrivere in questo momento e, in base a quello che mi piace di più, ho cominciato a delineare la trama, l’ambientazione e i personaggi.
Dopo tutta questa pappardella siamo arrivati al punto, l’argomento di cui volevo parlare nel post: i personaggi. (Per qualche motivo sento come il dovere di fare una sorta di introduzione, in alcuni post.) Ho iniziato a pensare alla costruzione dei miei e questo mi ha fatta riflettere su come sia utile e, non solo, necessario, creare più di una facciata da appiccicare sul personaggio per manovrarlo come un pupazzo, ma una vera e propria vita fittizia in cui potrà muoversi libero.

Per capirci meglio, dividiamo i concetti di cui ho appena parlato. Uno è la facciata, quello che serve al lettore per visualizzare il personaggio. Fra questi elementi possiamo mettere il sesso, l’aspetto fisico, la nazionalità, la classe sociale, un accenno sul carattere, e tutto quello che indirizza il nostro personaggio a muoversi in un determinato modo.
Ad esempio posso decidere di presentare:

[…] una signorina di tutto rispetto, Miss Gwendoline Burbridge, che poteva giurare sulla Cattedrale di St. Mary di non aver mai e poi mai ballato un lento con un uomo che non fosse suo padre, il Colonnello. Non era una ragazza bruttina, aveva invece tratti graziosi, gli occhi verdi, le fossette sulle guance e lunghe gambe che nascondeva sotto gonne alla caviglia. Ma lei non si curava di quelle sciocchezze e, ogni volta che se ne presentava l’occasione, ricordava al mondo di tutti gli inviti che aveva rifiutato nelle sale da ballo dai più affascinanti giovani.

Da questo piccolo ritratto possiamo già farci un’idea di com’è Miss Burbridge, e abbiamo in mente che tipo di personaggio sarà e come influenzerà la storia o sarà influenzata da essa. Ad esempio potrebbe essere un’antagonista e, da rigida ragazza quale ci è sembrata, spifferare al Colonello di tutte le volte che suo fratello è uscito di nascosto. Oppure potrebbe essere lei la protagonista, e trovarsi nel bel mezzo di un dilemma che metterà in discussione tutti i suoi ideali.
Il lettore si ritrova con questo personaggio e, che più avanti mostri altre sfaccettature o meno, è come se fosse davanti ad un fatto compiuto. Ma non sarebbe meglio se lettore e autore potessero capirlo? Spiegarsi come mai si comporta in un determinato modo, perché fa certe scelte. Tutto questo è dato dal background del personaggio, che ci fornisce più elementi per comprenderlo e sentirlo più umano, simile a noi, meno prodotto costruito senz’anima.
In questo background dei personaggi io metterei l’infanzia, la famiglia e gli amici, gli incontri, e alcune esperienze che ha vissuto e lo hanno cambiato. Forse non sono elementi utili alla trama, ma il bravo autore saprà inserirli nella narrazione delicatamente. Sono dettagli utili al personaggio e sta all’autore decidere se sono abbastanza importanti da farli conoscere, se vuole rendere il suo personaggio una maschera o un tuttotondo.
Per tornare alla nostra Miss Burbridge:

Gwendoline tolse le forcine dai capelli e rimise tutto in ordine nel mobile da toletta. Si mise a letto e quasi spense la luce, salvo poi fermare la mano a metà gesto e prendere il libricino che Mr. Dolan aveva tanto insistito per consegnarle. Sbuffò piano nel prenderlo fra le mani. Era una di quelle edizioni economiche che si compravano per due spiccioli ed era chiaro che era stata letta molte volte da qualcuno che aveva poca cura per i libri.
In quella lo sguardo della ragazza cadde sulle fotografie che teneva sul comò. Erano tutte di cugini, vecchi zii, nonni, e tutti ostentavano uno sguardo severo. Tranne quella della zia Matilde. Sorrideva all’obbiettivo come aveva sempre sorriso ai suoi nipoti. Era l’unica foto sua, in casa; sua madre aveva fatto gettare via tutte le altre quando la sorella era fuggita con quello “yankee senza vergogna”, più di quindici anni prima.
A volte a Gwendoline mancava ancora. Lei era l’unica a ridere delle marachelle dei nipoti, a imbastire un tè all’ultimo momento, ad accennare passi di danza in mezzo alla strada e ad ascoltare quando nessun altro sembrava disposto a farlo. Non aveva mai visto l’uomo con il quale era scappata, il capitano di un mercantile che era partito da New York, ma sperava che fosse bello. Aveva capito poco di quel che era successo, da bambina, e ora parlarne rendeva sua madre irritabile quindi non ne parlavano mai. La notizia della morte della zia era arrivata con quattro mesi di ritardo, solo pochi anni dopo la sua scomparsa, e sua madre non aveva versato nemmeno una lacrima.
Gwendoline aprì il libro di Mr. Dolan, chiedendosi se ne fosse davvero valsa la pena.

In questo brano già entriamo in contatto con una Miss Burbridge diversa, più umana. Ha una madre molto severa, che non esita a ripudiare la sorella in seguito a uno scandalo. La stessa figura della zia è vista dalla protagonista come una donna libera e allegra, che però ha pagato le conseguenze delle sue scelte. Possiamo solo fare ipotesi, così come farà il lettore, ma forse è per questo che la protagonista ha scelto una strada diversa. Ha guardato il mondo e l’ambiente in cui si trova e ha visto che le ragazze che seguono i loro desideri sono malviste, ne ha avuto una riprova nella sua famiglia, quindi non accetta nemmeno uno ballo.
Il piccolo aneddoto della zia non è legato alla trama ma ci è utile per capire il personaggio, che prima appariva poco attraente. Con un background acquista spessore, non è più solo una facciata. Vedendo cosa c’è dietro alle apparenze comprendiamo il personaggio e, se fosse inserito in una storia, potrebbe anche iniziare a piacerci.

Ecco perché l’autore dovrebbe costruire una vita, seppur fittizia, per i propri personaggi. Non basta una facciata per muoverli come burattini, hanno bisogno di tutta un’esistenza di contorno per muoversi da soli, perché il lettore possa entrare in contatto con loro, vedere che cosa accade dietro le quinte della trama.
Questo è quello che mi propongo di fare per i miei personaggi, perché questo è quello che preferisco trovare in un romanzo. Mi piace pensare che, oltre ciò che leggo nelle pagine, il personaggio abbia una vita propria. Ora, non pensate che stia diventando pazza, so benissimo che i personaggi dei libri non esistono, ma come insegna Silente “solo perché lo stiamo immaginando non significa che non sia reale”.

Quindi niente facciate, più personaggi vivi

2 commenti:

  1. io, invece, non le conto nemmeno più le idee che ho perso non trattenendole...
    le ho lasciate su pezzi di carta che ho lasciato qua e là...
    ed ormai sono perse

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quindi meglio non buttare neanche uno scontrino a casa tua! Chissà che non ci sia appuntata una storia dietro ;)

      Elimina

Ogni commento sarà bene accetto!
Grazie dell'attenzione e del tempo dedicatovi.