Quando mi viene in mente un’idea per una
storia, fosse anche solo una frase, me la scrivo per non dimenticarla e, se non
continua a ronzarmi in testa, la lascio lì in attesa del suo momento. Dopo la
pausa forzata dei precedenti mesi tutto sta ricominciando a girare e anche la
mia voglia di scrivere è tornata. Piano piano, in sordina, si è fatta un giro
negli angoli più remoti del mio cervello senza farsi notare, ha toccato qualche
neurone per far vedere che era ancora viva e, per un po’, ha gironzolato
guardando come un osservatore curioso che aria tirava. Quando ha capito che era
tornata la calma si è installata nel suo giaciglio e ha cominciato a
bombardarmi: la voglia di scrivere si è fatta sentire e ho dovuto rispondere al
suo richiamo.
Per prima cosa ho ricercato nella
memoria una storia che sentivo di voler raccontare più delle altre e, aiutata
dal fedele file word in cui appunto ogni cosa, ho trovato quest’idea che, da
diversi anni, attendeva paziente che mi decidessi a riprenderla. Dato che era
assolutamente abbozzata ho pensato a cosa mi va di scrivere in questo momento
e, in base a quello che mi piace di più, ho cominciato a delineare la trama,
l’ambientazione e i personaggi.
Dopo tutta questa pappardella siamo
arrivati al punto, l’argomento di cui volevo parlare nel post: i personaggi. (Per qualche motivo sento
come il dovere di fare una sorta di introduzione, in alcuni post.) Ho iniziato
a pensare alla costruzione dei miei e questo mi ha fatta riflettere su come sia
utile e, non solo, necessario, creare
più di una facciata da appiccicare sul personaggio per manovrarlo come un
pupazzo, ma una vera e propria vita fittizia in cui potrà muoversi libero.
Per capirci meglio, dividiamo i concetti
di cui ho appena parlato. Uno è la facciata,
quello che serve al lettore per visualizzare il personaggio. Fra questi
elementi possiamo mettere il sesso, l’aspetto fisico, la nazionalità, la classe
sociale, un accenno sul carattere, e tutto quello che indirizza il nostro
personaggio a muoversi in un determinato modo.
Ad esempio posso decidere di presentare:
[…] una
signorina di tutto rispetto, Miss Gwendoline Burbridge, che poteva giurare
sulla Cattedrale di St. Mary di non aver mai e poi mai ballato un lento con un
uomo che non fosse suo padre, il Colonnello. Non era una ragazza bruttina,
aveva invece tratti graziosi, gli occhi verdi, le fossette sulle guance e
lunghe gambe che nascondeva sotto gonne alla caviglia. Ma lei non si curava di quelle
sciocchezze e, ogni volta che se ne presentava l’occasione, ricordava al mondo
di tutti gli inviti che aveva rifiutato nelle sale da ballo dai più affascinanti
giovani.
Da questo piccolo ritratto possiamo già
farci un’idea di com’è Miss Burbridge, e abbiamo in mente che tipo di
personaggio sarà e come influenzerà la storia o sarà influenzata da essa. Ad
esempio potrebbe essere un’antagonista e, da rigida ragazza quale ci è
sembrata, spifferare al Colonello di tutte le volte che suo fratello è uscito
di nascosto. Oppure potrebbe essere lei la protagonista, e trovarsi nel bel
mezzo di un dilemma che metterà in discussione tutti i suoi ideali.
Il lettore si ritrova con questo
personaggio e, che più avanti mostri altre sfaccettature o meno, è come se
fosse davanti ad un fatto compiuto. Ma non sarebbe meglio se lettore e autore
potessero capirlo? Spiegarsi come mai si comporta in un determinato modo, perché
fa certe scelte. Tutto questo è dato dal background del personaggio, che ci
fornisce più elementi per comprenderlo e sentirlo più umano, simile a noi, meno
prodotto costruito senz’anima.
In questo background dei personaggi io metterei l’infanzia, la famiglia e gli
amici, gli incontri, e alcune esperienze che ha vissuto e lo hanno cambiato.
Forse non sono elementi utili alla trama, ma il bravo autore saprà inserirli
nella narrazione delicatamente. Sono dettagli utili al personaggio e sta all’autore
decidere se sono abbastanza importanti da farli conoscere, se vuole rendere il
suo personaggio una maschera o un tuttotondo.
Per tornare alla nostra Miss Burbridge:
Gwendoline
tolse le forcine dai capelli e rimise tutto in ordine nel mobile da toletta. Si
mise a letto e quasi spense la luce, salvo poi fermare la mano a metà gesto e
prendere il libricino che Mr. Dolan aveva tanto insistito per consegnarle.
Sbuffò piano nel prenderlo fra le mani. Era una di quelle edizioni economiche
che si compravano per due spiccioli ed era chiaro che era stata letta molte
volte da qualcuno che aveva poca cura per i libri.
In
quella lo sguardo della ragazza cadde sulle fotografie che teneva sul comò.
Erano tutte di cugini, vecchi zii, nonni, e tutti ostentavano uno sguardo
severo. Tranne quella della zia Matilde. Sorrideva all’obbiettivo come aveva
sempre sorriso ai suoi nipoti. Era l’unica foto sua, in casa; sua madre aveva
fatto gettare via tutte le altre quando la sorella era fuggita con quello
“yankee senza vergogna”, più di quindici anni prima.
A
volte a Gwendoline mancava ancora. Lei era l’unica a ridere delle marachelle
dei nipoti, a imbastire un tè all’ultimo momento, ad accennare passi di danza
in mezzo alla strada e ad ascoltare quando nessun altro sembrava disposto a
farlo. Non aveva mai visto l’uomo con il quale era scappata, il capitano di un
mercantile che era partito da New York, ma sperava che fosse bello. Aveva
capito poco di quel che era successo, da bambina, e ora parlarne rendeva sua
madre irritabile quindi non ne parlavano mai. La notizia della morte della zia
era arrivata con quattro mesi di ritardo, solo pochi anni dopo la sua
scomparsa, e sua madre non aveva versato nemmeno una lacrima.
Gwendoline
aprì il libro di Mr. Dolan, chiedendosi se ne fosse davvero valsa la pena.
In questo brano già entriamo in contatto
con una Miss Burbridge diversa, più umana. Ha una madre molto severa, che non
esita a ripudiare la sorella in seguito a uno scandalo. La stessa figura della
zia è vista dalla protagonista come una donna libera e allegra, che però ha
pagato le conseguenze delle sue scelte. Possiamo solo fare ipotesi, così come
farà il lettore, ma forse è per questo che la protagonista ha scelto una strada
diversa. Ha guardato il mondo e l’ambiente in cui si trova e ha visto che le
ragazze che seguono i loro desideri sono malviste, ne ha avuto una riprova
nella sua famiglia, quindi non accetta nemmeno uno ballo.
Il piccolo aneddoto della zia non è
legato alla trama ma ci è utile per capire il personaggio, che prima appariva
poco attraente. Con un background acquista spessore, non è più solo una
facciata. Vedendo cosa c’è dietro alle apparenze comprendiamo il personaggio e,
se fosse inserito in una storia, potrebbe anche iniziare a piacerci.
Ecco perché l’autore dovrebbe costruire
una vita, seppur fittizia, per i propri personaggi. Non basta una facciata per
muoverli come burattini, hanno bisogno di tutta un’esistenza di contorno per
muoversi da soli, perché il lettore possa entrare in contatto con loro, vedere
che cosa accade dietro le quinte della trama.
Questo è quello che mi propongo di fare
per i miei personaggi, perché questo è quello che preferisco trovare in un
romanzo. Mi piace pensare che, oltre ciò che leggo nelle pagine, il personaggio
abbia una vita propria. Ora, non pensate che stia diventando pazza, so
benissimo che i personaggi dei libri non esistono, ma come insegna Silente
“solo perché lo stiamo immaginando non significa che non sia reale”.
Quindi niente facciate, più personaggi vivi.
io, invece, non le conto nemmeno più le idee che ho perso non trattenendole...
RispondiEliminale ho lasciate su pezzi di carta che ho lasciato qua e là...
ed ormai sono perse
Quindi meglio non buttare neanche uno scontrino a casa tua! Chissà che non ci sia appuntata una storia dietro ;)
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