Ho
sempre sentito parlare di “Coraline”, così come ho sempre sentito parlare di
Neil Gaiman (probabilmente grazie alla sua assidua collaborazione con Amanda
Palmer; se c’è una donna di cui mi sono mai infatuata, questa è lei) e ho
voluto leggerlo per curiosità – fra l’altro leggere il libro in inglese mi ha
permesso di confermare la mia vecchia teoria sulla punteggiatura di Frances
Hodgson Burnett, che avevo esposto nella
recensione di “Il giardino segreto”.
La
trama
Coraline
– che tutti pronunciano erratamente Caroline, il che mi ha fatto sorridere più
di una volta – Jones si è appena trasferita con i suoi genitori in una nuova
casa. I signori Jones, a volte troppo presi dal loro lavoro, lasciano spesso
che Coraline giochi da sola, e la bambina si diverte a esplorare il giardino e
la casa.
Durante
una di queste esplorazioni Coraline trova una porta che, all’apparenza, è stata
murata molto tempo fa, ma a volte si apre esclusivamente per lei, per farla
entrare in un mondo nuovo: è come essere ancora a casa sua, solo che ci sono
altri genitori, altri vicini, molte bellissime sorprese da scoprire, e sembra
che tutti vogliano solo compiacerla e farla divertire. I suoi ‘altri genitori’,
in special modo la sua altra madre, è disposta a darle tutto, a darle l’amore e
le attenzioni che i veri genitori di Coraline non le hanno mai dato, ma ad una
condizione: come tutti gli abitanti di quel curioso, parallelo mondo, anche
Coraline dovrà portare cuciti sugli occhi dei bottoni.
Resasi
conto di come l’altra madre in realtà voglia solo tenerla prigioniera, Coraline
cerca di fuggire, ma quando torna a casa si rende conto che lei ha preso i suoi
veri genitori. Così Coraline si fa coraggio, per amore dei suoi veri mamma e
papà, e passa nuovamente attraverso la porta per salvarli. Grazie solo alla sua
astuzia, al suo coraggio, e all’aiuto inaspettato di un gatto parlante,
Coraline riuscirà a trovare le anime dei bambini che l’altra madre ha rapito
prima di lei, e a ritrovare i suoi genitori e riportarli a casa.
Il
cliché del sogno
Uno
dei motivi per cui mi è piaciuta la storia è che in un certo senso risolve il
problema con “la solita scusa del sogno”, per intenderci quella che viene usata
in “Le cronache di Narnia” di C. S. Lewis o in “Il mago di Oz”, di Frank L.
Baum.
Solitamente
io detesto la scusa del “era tutto un sogno” perché penso sempre che per
giustificare una grande avventura lo scrittore poteva inventarsi qualcosa di
meglio, poteva renderla in un certo senso vera,
e non degradarla a pura fantasia che nella realtà non potrà mai accadere.
Neil
Gaiman ha, in parte, usato questa sorta di “scusa”, ma è anche riuscito a
rendere l’avventura di Coraline estremamente vera. Infatti solo per i suoi genitori non è successo niente, ma
quando Coraline torna nel suo mondo deve ancora affrontare un’ultima battaglia
con l’altra madre, estremamente reale.
Questa
è una delle cose che ho apprezzato di più nel libro, perché spesso i libri per
bambini di questo tipo risolvono tutto, alla fine, facendo capire che si è
trattato solo di una fantasia. Non che la fantasia non sia da incoraggiare, al
contrario!, ma perché privare un bambino della speranza di poterla vivere sul serio, un’avventura così? Più ci si
crede, più la si immagina con contorni vividi, e più l’avventura è vera ed
emozionante.
Neil Gaiman |
Lo
stile
Pur
essendo un libro per bambini “Coraline” ha elementi davvero spaventosi. Immaginare,
prima di tutto, una persona da associare alla propria madre che poi si scopre
essere un mostro è piuttosto inquietante. Inoltre alcune scene erano talmente
crude, e crudeli per certi versi, da poter essere definite persino horror,
secondo me.
Nonostante
questo lo stile ben si adatta ad un bambino. È semplice e scorrevole, ma non
per questo non può essere apprezzato anche da un adulto.
Ciò
che non mi è piaciuto molto della storia è che sembrava, in qualche modo,
scostante. Pareva non seguire un’idea precisa, come se la trama venisse decisa
un po’ a caso pagina per pagina.
Coraline
e la porta magica
Il
film di animazione del 2009, diretto da Henry Selick (The Nightmare Before
Christmas, James e la pesca gigante), è stato veramente carino. Certo, adattato
ad un pubblico di bambini più di quanto non lo sia il libro – e ciò preclude le
scene troppo terrificanti – ma lo stesso godibilissimo.
La
cosa che mi è piaciuta di più è stata l’invenzione di Wybie, anche se spesso
non parla o parla troppo o ha quel collo stranamente piegato che mi fa
istantaneamente venire male solo a guardarlo. Nel libro, infatti, Coraline è un
po’ solitaria; assieme a Wybie tutto quanto è più divertente e movimentato.
Citazioni
Vi
lascio con una personale traduzione di un paio delle mie frasi preferite dette
nel libro, sperando di non storpiare troppo il vero significato delle parole e
il loro stile (perdonatemi, non sono una traduttrice professionista).
«“Ora,
voi persone avete dei nomi. Questo è
perché non sapete chi siete. Noi sappiamo chi siamo, quindi non abbiamo bisogno
di nomi.”»
«“Quando
sei spaventato ma lo fai lo stesso [ciò che ti spaventa], quello è coraggio.”»
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