Una piccola premessa, prima di
cominciare con la recensione.
Io ho paura dei pazzi. Mi spiego meglio.
Se vedo un film con gli spiriti, i fantasmi, gli zombie o altri mostri del
genere non mi spavento quasi mai. Se vedo film con dei pazzi psicopatici che
cercano di ucciderti per il solo motivo che a loro sembra logico e semplice,
allora mi spavento. Non so voi, ma gli psicopatici in carne e ossa mi fanno
rabbrividire molto di più che un presunto spirito che galleggia per casa. A
spaventarmi non è tanto il fatto che sono certa che esistano, ma che sono
imprevedibili e incomprensibili.
Un’altra premessa è che raramente mi
sono spaventata con un libro. Ho avuto paura, da bambina, con i libri della
serie di Peggy Sue, di Serge Brussolo, perché succedevano cose molto inquietanti
delle volte, ma così su due piedi non mi viene in mente nessun libro per il
quale io abbia provato veramente paura. Forse una sorta di malessere, come
quando leggevo “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” o “Ingannevole è il cuore
più di ogni cosa”, ma paura mai. Un po’ perché i libri dell’orrore non sono il
mio genere, un po’ perché faccio fatica a spaventarmi.
Ho appena letto “Misey”, di Stephen
King.
E ho avuto gli incubi.
Stephen King è molto evocativo, per chi
non lo sapesse. Talmente tanto, in effetti, che è facile immaginare i suoi
libri come scene di un film. Non perché descriva ambienti e personaggi
particolarmente bene – anzi, a volte non li descrive affatto – ma perché sa
come trasmettere una sensazione. Talvolta sensazioni roboanti, che ci vengono
addosso come onde nel mare grosso, e talvolta sensazione sottili, intuizioni o
fantasie.
In “Misery” esistono più sensazioni che
descrizioni, e probabilmente è questo che fa crescere l’ansia e la paura man mano
che si va avanti a leggere.
Non vi svelerò la trama se non per
informarvi di cosa parla il libro, giusto perché non partiate impreparati.
Paul Sheldon, scrittore della seria di
libri che vedono come protagonista l’indistruttibile eroina vittoriana Misery,
si sveglia in una stanza che non è un ospedale, dopo un brutto incidente
stradale in un luogo isolato che gli ha distrutto entrambe le gambe e gli
impedisce di muoversi. A salvarlo dalla morte certa è stata un ex infermiera,
Annie Wilkies, che lo porta nel casolare dove abita e comincia a prendersi cura
di lui.
Paul si rende conto presto che Annie è
pazza. Volubile e imprevedibile, per mezzo di torture psicologiche e fisiche gli
ruba, pian piano quel che è lui. Lima con pazienza ogni suo spigolo, ogni sua forza
di replica, e la dignità e l’orgoglio gli vengono succhiati via pian piano.
Costretto a scrivere per Annie – la sua
ammiratrice numero uno – un libro intitolato “Il ritorno di Misery”, Paul
combatte per la sua vita e tenta in ogni modo di rimanere sano, in un mondo che
non è più il suo: è il mondo di Annie Wilkies, il mondo nel quale se non sei d’accordo
con lei ti può venire amputato un pollice, il mondo in cui anche quando pensi
di essere salvo ti rendi conto che Annie sa ogni cosa. Un mondo che sta
logorando Paul Sheldon, che lo sta lentamente facendo impazzire.
Spero di avervi per lo meno incuriositi,
anche se mi rendo conto che la mia piccola anticipazione nulla ha a che vedere
con la suspance del romanzo.
Non ho mai visto il film che ne è stato
tratto (“Misery non deve morire”) ma non appena me lo procurerò lo guardo
subito! So che Kathy Bates, che nel film è Annie, ha anche preso un oscar per
la sua interpretazione. Sono decisamente curiosa di vedere come hanno fatto il
film.
Be’, ora sfido chiunque di voi a
leggerlo e a non avvertire almeno un brivido alla schiena.
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