Gennaio è inoltrato e scommetto
che qualcuno sa già contando quanti giorni mancano alle prossime feste. Intanto
però abbiamo ripreso il ritmo, anch’io, e quello che fino a un paio di
settimane fa non mi veniva voglia di fare, eccomi qui a farlo: un post della
rubrica “Penna alla mano”.
Uno dei tanti argomenti che
gravitano attorno alla scrittura, ma di cui non sento parlare molto, è la
punteggiatura.
Oltre ad essere un insieme di
regole grammaticali, questa ci aiuta a dare un ritmo alla narrazione. Mi
affascina il fatto che qualcosa che ha delle regole precise, dove
effettivamente esiste un giusto e uno sbagliato, sia così importante per
questioni affatto tecniche. La punteggiatura di un romanzo, infatti, aiuta a
dare l’andatura giusta alla storia, è strettamente legata allo stile di un
autore e queste cose influiscono sul piano emozionale, più che pratico.
La punteggiatura è quella parte
di grammatica che per prima veicola le emozioni. Non esistono altri rami di
questa disciplina che lo fanno. Conoscere i vocaboli, manipolare la sintassi,
usare un vasto numero di termini, ci aiuta a far arrivare il messaggio al
lettore, ma nessuna di queste cose suscita di per sé un sentimento.
Proviamo a immaginare come sarebbe
leggere una storia senza punteggiatura (o in latino, che è un po’ la stessa
cosa!). Come guardare un film senza colonna sonora. Oltre che confuso avremmo
un testo privo di pause, di enfasi, di sorprese. Privo di sentimento.
Usati nel modo corretto i segni
di interpunzione non solo rendono il testo leggibile, ma anche profondo.
Tuttavia ci sono autori che
giocano con la punteggiatura come fosse uno dei loro personaggi. Basti pensare
a José Saramago, Gabriel Garcìa Màrquez, James Joyce, tutti autori che hanno
piegato al loro volere la grammatica per trarne opere di prestigio. Forse non
sempre capite o apprezzate, lo riconosco, ma opere di cui non si può non
ammirare il fascino – per quanto contorto.
Quando ho iniziato a scrivere
questo post volevo solo parlare degli autori che sperimentano con la
punteggiatura, e magari fare qualche esempio. Poi mi sono ritrovata a chiedermi
perché, fra tutte le regole grammaticali, sia quella che più modifica la nostra
percezione del testo ad essere stravolta agli autori. La più ignorata e, nel
contempo, la più essenziale.
Allora ho capito che è questo il
motivo. Nulla è più definitivo di un punto a capo, nulla crea più ansia di una
serie di virgole ravvicinate. Nulla crea emozioni più contrastanti di un semplice,
piccolo punto e virgola.
La punteggiatura ha a che vedere con le pause, che hanno a che vedere con il respiro, che per noi è vita e morte, e tutto quello che sta nel mezzo. La spiegazione che mi do è questa. :)
RispondiEliminaOttima osservazione, non avevo pensato a questo punto di vista! Trovo che sia bellissima e che abbia un che di geniale *o*
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