Devo
ammettere che quando ho iniziato a leggere questo libro ero piuttosto scettica.
Non mi piaceva molto e credevo che lo avrei presto abbandonato perché troppo
triste. Per circostanze di forza maggiore mi sono ritrovata da sola con lui in
un viaggio in treno da quasi un’ora… Mi sono letta quasi tre capitoli e da quel
momento in poi una delle mie maggiori preoccupazioni nella giornata è stata
quella di trovare qualche minuto per andare avanti a leggere, dato che questa è
stata una settimana impegnativa. Nonostante questo mi ci sono voluti pochi
giorni per finirlo e quando l’ho terminato ero davvero contenta.
La
trama
Siamo
nel Messico del 1910, in piena Rivoluzione, e seguiamo le sorti della famiglia
De La Garza e dei suoi servitori, ma soprattutto di Tita, la minore di tre
sorelle.
La
famiglia De La Garza è capeggiata dalla severissima Mamma Elena, capace di
spaccare perfettamente un’anguria solo facendo delle incisioni sulla buccia – e
già questo dovrebbe darci un’idea di che tipo di donna è questa –, che ha tre
figlie: Rosaura, Gertrudis e Tita.
L’usanza
in famiglia è che la figlia minore si occupi della madre fino alla sua morte,
per cui quando un ragazzo di nome Pedro Muzquiz, innamorato di Tita e
profondamente ricambiato, chiede la sua mano, questa gli viene rifiutata. Mamma
Elena gli propone tuttavia di sposare un’altra sorella: Rosaura. Pedro accetta
il compromesso solo per poter rimanere vicino a Tita e vengono così celebrate
le nozze. Disastrose nozze, poiché nel preparare la torta del matrimonio
aiutata da Nacha, la cuoca che ha insegnato a Tita i segreti della cucina, la
ragazza piange nell’impasto della torta e questo provoca una strana
intossicazione: gli invitati, nel mangiarla, non possono fare a meno di
ricordare il loro amore perduto, e allora un’immensa tristezza s’impadronisce
di loro. Il matrimonio culmina in una vomitata collettiva (descritta con
talmente tanta audacia e maestria che non fa nemmeno schifo leggerla) perché quello è l'unico modo per smettere di piangere.
Pedro
e Rosaura abitano alla fattoria dei De La Garza e Rosaura ha un figlio da
Pedro. Tuttavia l’amore che prova per Tita aleggia nell’aria come i fumi
della cucina, di cui Tita è diventata la responsabile dopo la morte della cuoca
Nacha. Nei suoi piatti Tita trasferisce il desiderio che sente per Pedro, e in
una di queste ricette (quaglie ai petali di rosa) si crea un’alchimia con la
quale i ragazzi comunicano, per la quale «Tita
era l’emittente, Pedro il destinatario e Gertrudis la fortunata nella quale si
creava, grazie al cibo, la sintesi di questo singolare rapporto sessuale.»
Per placare questa passione Gertrudis corre a fare la doccia, ma le
gocce d’acqua evaporano prima di raggiungere la sua pelle. Il suo aroma di rose
si espande così violentemente e velocemente che, a molta distanza, il
rivoluzionario Juan sente questo irresistibile aroma, abbandona la battaglia,
corre a cavallo fino alla fattoria dei De La Garza e, al suo arrivo, trova
Gertrudis che gli corre incontro, ancora nuda, mentre fugge dall’incendio che
il suo corpo troppo caldo ha causato nelle docce. Juan la fa salire in sella e i due si
allontanano al galoppo presi da passione incontrollabile.
Data
l’attrazione palpabile fra Tita e Pedro, Mamma Elena decide che Rosaura e il marito
si trasferiranno altrove. Poche settimane dopo la loro partenza giunge un
terribile messaggio: il figlio di Rosaura, il nipote a cui Tita si era tanto
affezionata e che aveva allattato al posto di sua sorella con del latte che era
scaturito come per magia dal suo seno, è morto. Mama Elena non si scompone alla
notizia, al contrario rimane fredda come sempre, e allora tutto il risentimento
che Tita prova nei suoi confronti esplode, e la ragazza la accusa di essere la
colpevole della morte del nipote e fugge nella piccionaia.
Giorni
dopo Tita è come impazzita: non si è mossa dalla piccionaia, non vuole
scendere, si rifiuta di parlare. Un dottore nordamericano amico di famiglia,
che ha sempre avuto un debole per Tita, il dottor John Brown, va a prendere la ragazza
e la porta in casa sua. Lentamente Tita si ristabilisce e, alla notizia che i
rivoluzionari hanno razziato la fattoria e reso la madre paraplegica con un
colpo alla schiena, decide di tornare a prendersi cura di lei con l’aiuto del
dottor Brown, al quale nel frattempo si è affezionata. Nonostante le cure Mama
Elena muore pochi mesi dopo e Rosaura, che ha ereditato la fattoria, e Pedro
tornano in paese.
Ricomincia
la convivenza di più relazioni e gelosie: John Brown ha chiesto la mano di Tita
e lei ha accettato, così Pedro è geloso per lei e Rosaura, che ha avuto un'altra figlia, è gelosa per le attenzioni del marito verso la sorella.
Poco
prima delle nozze Pedro sorprende Tita nella camera scura dove Mamma Elena era
solita fare il bagno e i due finalmente fanno l’amore. Dopodiché Tita non se la
sente di sposare John Brown e annulla le nozze.
Passano
gli anni e la figlia di Rosaura, Esperanza, cresce e diventa una ragazza
intelligente e bella, e si salva dallo stesso destino di Tita di accudire la
madre fino alla morte, perché Rosaura muore a seguito di dolori che
l’affliggevano da tempo.
Dopo
il matrimonio di Esperanza la fattoria è svuotata: rimangono solo Pedro e Tita.
I due fanno l’amore per l’ultima volta nella camera buia e il loro piacere e il
loro amore sono tali da «accendere tutti
i fiammiferi che portiamo dentro di noi», come una volta il dottor Brown
aveva detto a Tita, così che i due raggiungendo il piacere perdono l’anima in
quell’estasi e l’intera fattoria viene scossa dai loro corpi che iniziano a
scintillare e brillare, come fuochi d’artificio.
Lo
stile
Probabilmente
più che la storia in sé è stato lo stile del libro a conquistarmi. Uno stile
che definirei tipicamente sudamericano, ma diverso da qualsiasi altro autore
sudamericano che io abbia mai letto. Non schietto e in qualche modo semplice
come Gabriel Garcìa Marquez, non naturalmente magico come Isabel Allende.
Definirei
questo libro come un sogno: si sviluppa in mezzo alla nebbia calda e umida degli
odori della cucina di Tita, e come in un sogno sembra che ogni cosa abbia contorni sfocati. Gli accadimenti magici che avvengono grazie alle
sue ricette sono ben accetti anche se esagerati e davvero assurdi, perché la
sensazione è proprio quella di essere in un momento magico dove tutto può succedere. Non
mi disturba il fatto che ci siano degli spiriti, o che delle lacrime in una
torta facciano ricordare l’amore perduto, o ancora che alcuni fatti siano
inspiegabili, perché questo è parte del fascino del libro.
Il
modo di pensare e di prendere la vita della scrittrice traspare in queste
righe, e ancora devo dire che è un modo che ho ritrovato in tutti i romanzi di
autori sudamericani. Forse è per questo che mi ci ritrovo così bene, è un
atteggiamento che un popolo intero condivide e che a me è stato passato in
parte dai miei genitori (pur mescolato alle tradizioni italiane ed europee).
Questo atteggiamento è qualcosa che condivido, anche se non so come spiegarlo
a parole. Se avete letto un qualsiasi romanzo di un autore sudamericano potete
capirmi: è quella sensazione di vivere in un mondo dove tutto è naturale e
semplice, dove i grandi avvenimenti che sconvolgono il nostro mondo hanno,
paradossalmente, meno importanza dei piccoli dettagli e delle storie personali
che ognuno si porta dietro.
I
personaggi
Non
so chi sia il vero protagonista di questa storia, se la cucina o l’amore. È la
prima volta che mi viene da considerare protagonista qualcosa come l’amore o la
cucina e non un personaggio nel senso classico del termine. Il fatto è che nel
romanzo la cucina dipende dall’amore e l’amore dalla cucina, ed è grazie a
questi due elementi che la storia va avanti, più che grazie ai personaggi.
Per
di più, come al solito (non è una novità) la mia Intolleranza ai Protagonisti
mi ha fatto destare un po’ Tita e verso la fine anche Pedro. Invece ho adorato
Mamma Elena, la serva Chencha e la sorella maggiore Gertrudis.
Tita,
a mio parere, è fin troppo buona. Il fatto che anche dopo tutto quello che
Mamma Elena e Rosaura le hanno fatto lei ancora le aiuti e provi pena per loro
è assurdo! La rende uno di quei personaggi forzatamente buoni, una di quelle
persone perfette che non provano rabbia contro gli altri e sono invece inclini
a perdonare e porgere l’altra guancia. Non che persone del genere non esistano
(anche se io personalmente non ne ho mai conosciuta nessuna) ma nei libri i
personaggi troppo perfetti mi danno fastidio.
Inoltre
mi ha infastidito il rapporto fra Tita e Rosaura, o meglio, l’atteggiamento che
Tita ha con Rosaura e la descrizione del carattere di quest’ultima. Tutti i
pregi sono andati a Tita e tutti i difetti a Rosaura, tanto che la sorella maggiore è quella
grassa, brutta e cattiva che fa le puzze e ha l’alitosi. Mi sembra un modo
davvero esagerato e infantile per rendere un personaggio negativo, e questa
sensazione di infantilità viene amplificata dal comportamento di Tita, che le
rinfaccia le cose come se fosse un bambina di otto anni.
Tita mentre litiga con Rosaura |
A
parte questo la prostituta/soldatessa Gertrudis figlia segreta del Mulatto mi
ha conquistata, e anche la pettegola e dolce Chencha.
La mia preferita fra
tutte queste donne, comunque, rimane la più cattiva: Mamma Elena. Perché non si
può non rispettare una donna che sa tagliare l’anguria a fette precise solo
incidendo la buccia! A parte questo fondamentale punto, Mamma Elena è uno dei
personaggi con più sfaccettature che ci sono nella storia. Suppongo che questo
sia uno dei punti a favore dei personaggi che sembrano così rigidi e
inquadrati: all’improvviso viene mostrato un lato di loro che nessuno
conosceva, ed è giusto così, perché nessuno ha una sola sfaccettatura! Per di più Mamma Elena è una madre, e tutte le madri hanno dei segreti, per cui quando scopriamo il suo ognuno di noi - madri o figli - può ben calarsi nella parte di Elena o di Tita. La
storia di Mamma Elena e del Mulatto è una delle mie preferite, seguita subito
dopo da quella di Gertrudis e del soldato Juan.
In
conclusione…
“Dolce
come il cioccolato” (titolo originale “Come l’acqua per il cioccolato”, non so
proprio perché l’hanno cambiato!) è uno di quei romanzi da leggere una sola
volta nella vita, perché future riletture rovinerebbero il libro.
Dalle
riletture ci aspettiamo molto, siamo davvero pretenziosi: vogliamo che un libro ci
emozioni come la prima volta, ma questo non è possibile perché sappiamo come andrà a
finire e non c’è più la sorpresa! Non sarà mai come la prima volta!
“Dolce
come il cioccolato” è uno di quei libri che non voglio rovinare con delle
riletture, che ci fanno vedere il tutto sotto un luce diversa, la luce della ragione e non quella della passione. Lo voglio conservare nella memoria assieme a tutti i sentimenti che
mi ha fatto provare alla prima volta, senza che venga “annacquato” da
ragionamenti a posteriori.
In
fondo così accade con la cucina: nessuno potrà mai cucinare nello stesso
identico modo le Quaglie ai Petali di Rosa, il Brodo di Coda di Bue o i
Peperoni in Salsa di Noci, per cui è meglio gustarli con la maggior attenzione
possibile e conservarne il ricordo fino a che non finiamo la nostra scatola di
fiammiferi.
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