Quando ho preso in mano l’ultimo volume del Ciclo
dell’Eredità, di Christopher Paolini, ero molto combattuta. Ovviamente l’avrei
letto, perché volevo sapere come andava a finire, ma solitamente la fine è
quella che delude di più e non mi andava di essere delusa. Il lieto fine è
scontato, per me, nelle saghe fantasy, non ne ho mai letta una che finisse male,
nella quale vincesse il cattivo, per cui non è quello che mi incuriosiva o mi
impensieriva. Più che altro sono le piccole cose, i misteri che vengono svelati,
perché a questo punto devono essere svelati tutti, non uno se ne salva! Non
sarebbe giusto sennò.
Ho iniziato a leggere il Ciclo dell’Eredità, con Eragon, quando avevo quindici anni, se
non sbaglio. Mi era piaciuto veramente moltissimo, e il suo seguito, Eldest, mi era piaciuto ancora di più.
Quando, nel 2008, è uscito Brisingr,
non so, forse i miei gusti erano cambiati con il tempo, ma non mi piacque come
gli altri libri. Anche per questo non ero sicura che Inheritance mi sarebbe piaciuto, non tanto per la storia o per
Paolini, ma perché avevo maturato un gusto differente.
Ci ho messo un po’ a ingranare, lo ammetto, perché inizia
con una battaglia, alla quale seguono strategie militari e un’altra battaglia
ancora. Poi c’è la promessa di averne una terza in futuro, che però per fortuna
tarda un poco ed è più leggera. Forse proprio in
queste parti si intuisce che lo stile di Paolini è cambiato molto, moltissimo,
dal primo libro ovviamente ma anche da Brisingr,
che è uscito solo tre anni prima di questo. Da un lato mi devo complimentare con
lui, dall’altro no.
Mi complimento perché si vede che si è informato, ha ficcato
il naso in libri che erano molto meno romanzi e molto più manuali,
probabilmente, perché usa i termini tecnici nelle battaglie, nelle descrizioni delle città e
degli oggetti di un epoca tipicamente medioevale. Inoltre il suo stile si è
evoluto, si è arricchito, e adesso per raccontare qualcosa a cui prima dedicava
due pagine, ne usa cinque (il che spiega le 821 pagine di libro). Purtroppo questa abilità di allungare il testo è sì
qualcosa che un autore deve guadagnarsi con anni di esperienza, ma anche
qualcosa che deve saper regolare e usare con parsimonia. Infatti, nonostante le minuziose e davvero
chilometriche descrizioni di ogni singolo movimento dell’eroe in battaglia, la
lettura era noiosa e fin troppo dettagliata. Per queste parti di lotta potevamo
risparmiarci tutti gli scatti muscolari di Roran, tutti i movimenti con il
martello e lo scudo, ogni singola goccia di sangue e sudore da lui versata.
Potevo vivere anche senza saperlo, lo avrei comunque immaginato molto bene,
anche senza tutti quei dettagli che, alla lunga (e sono veramente lunghi) mi
hanno stancata. Inoltre alcune descrizioni erano orrende da
leggere: ossa che si spezzano per volontà del padrone, bruciature di carne,
bruchi che banchettano con i tuoi organi; delle cose orripilanti che mi hanno
fatto storcere il naso più volte. Io adoro lo splatter, intendiamoci, ma lo
splatter è un genere molto difficile da fare, perché è talmente esagerato e improbabile che
non fa schifo, fa ridere ad un certo punto! Non era questo quello a cui Paolini anelava, e non
l’ha fatto. Il risultato sono state scene ricche di inutile crudezza, che hanno reso il libro sì più veritiero ma anche troppo... maniacale. Probabilmente il mio è un commento di parte, ma la
crudezza senza senso non mi piace.
La parte che mi ha più stancata è stata la battaglia di
Arughia, probabilmente. Dopo quella ho sperato con tutte le mie forze che
avessimo finito, almeno per un po’, con i combattimenti, e menomale, sono stata
esaudita.
Una cosa che mi è dispiaciuta è il fatto che non sono stati
introdotti nuovi personaggi. Capisco che a questo punto del gioco poteva essere
rischioso, ma la verità era che mi aspettavo che arrivasse un altro Cavaliere
de Draghi, e mi sarebbe piaciuto tanto che fosse un nuovo personaggio, piuttosto
che uno di quelli già conosciuti. Insomma, in parole povere non mi è piaciuta
la scelta finale di scegliere Arya sia come Cavaliere dei Draghi che come
Regina degli Elfi, perché mi sembra un’esagerazione. Una di quelle cose che si
ficcano alla fine solo perché, dai, la copertina aveva un drago verde, adesso
deve uscire da qualche parte un lucertolone dello stesso colore! Il fatto poi
che sia Arya, che è anche la donna che piace a Eragon, ha reso il tutto più
stucchevole e mieloso, come a voler rendere ogni cosa perfetta.
Riguardo ancora i nuovi personaggi, devo ammettere che è un
dolore grande. Ad esempio, ho esultato quando Arya ed Eragon, imprigionati
nell’Helgrind, stavano per essere salvati da un novizio. Già lo vedevo insieme
ai Varden, a fare qualche cosa d’importante! In quello stesso punto del libro,
accade però che arriva Angela e lo ferisce quasi a morte… Perché? Voglio dire,
non aveva fatto niente, povero novizio!
A parte questo, Angela era uno dei miei personaggi
preferiti. Adesso è diventato uno dei miei personaggi normali, perché su di lei
non viene svelato nulla. Paolini sa bene di questa sua mancanza, ma dice che
senza i punti interrogativi sulla figura di Angela il personaggio perderebbe
molto del suo fascino. Be’, è lui che conosce il suo personaggio, quindi non
posso sapere se Angela è o meno una persona noiosa, ma credo che abbia lasciato
molti dei lettori in sospeso, quando poteva benissimo non farlo. Perché
lasciarla perdere? Dà spunti per una marea di cose interessanti da raccontare.
Un capitolo che mi è particolarmente piaciuto, invece, è
stato Infida-nera-caverna-spinosa. Un
POV di Saphira, tanto per cambiare al posto di Eragon e Roran come in ogni santo
capitolo, che oltre a raccontare la storia in maniera avvincente è stato anche
originale e ha rispecchiato il modo di pensare di una razza che, di fatto, non
esiste: i draghi. Capitolo corto ma molto piacevole da leggere, e soprattutto
originale.
La cosa bella dei libri fantasy è che possono prendere il
mondo che hanno creato e stravolgerlo, perché le regole sono dettate dalla
magia, ed è oltremodo comodo avere la scusa della magia alla quale appoggiarsi.
Se un autore è molto capace può prendere ciò che ha già plasmato e creare
qualcosa di completamente diverso, ma senza che sembri una scusante perché gli
si era inceppata la fantasia e non sapeva continuare, se uno è bravo può
cambiare posto a cielo e terra e farlo sembrare naturale come bere un bicchiere
d’acqua.
Paolini non l’ha fatto.
Trovo giusto che anche in un mondo di fantasia ci siano dei
limiti, che questo mondo non debba contraddire sé stesso, ma se gli schemi
possono essere rotti, perché non farlo? In questo senso Paolini non ha aggiunto
nulla di nuovo a ciò che già sapevamo di Alagaesia, e quando ho letto che cosa
c’era dentro la famigerata Volta delle Anime, ahimè, mi sono cadute le braccia.
Eldunarì. Ancora, tanti e tanti draghi cristallizzati dentro un cuore di
roccia, che non arricchiscono affatto di prospettive la lettura. Mi sarebbe
piaciuto un tocco di originalità in più, invece di combattere Galbatorix con la
sua stessa arma. Mi sarebbe piaciuto qualcosa di nuovo, invece sembra che
Paolini non abbia voluto scostarsi dal terreno sicuro già tracciato.
La parte che mi è piaciuta di più (perché in fondo anche io
sono romantica, anche se godo come una capra leggendo libri in cui avvengono
solo tragedie) è stata la storia d’amore fra Murtagh e Nasuada. Murtagh è il
mio personaggio preferito, perché è complesso ma vero, di carne più che di
carta. Nasuada forse è poco più idealizzata, ma comunque sia ho adorato il fatto
che Murtagh s’innamorasse di lei quando era in prigione, che la sostenesse, e
che pian piano si affezionassero l’uno all’altro. Trovo che Murtagh sia il
personaggio più riuscito della saga, perché anche se porta un forte contrasto
interiore Paolini è stato capace di gestirlo. Ma soprattutto è credo l’unico
personaggio positivo (perché non è cattivo in fondo, come viene più volte
ribadito è stato costretto e non può ribellarsi – ah, la magia! Che magico
espediente!) con dei veri difetti. Ammettiamolo, Murtagh è debole e pessimista,
e non è assolutamente empatico. Questo lo rende estremamente umano, perché ha
anche diverse qualità: coraggio, ingegno, forza. Murtagh è un personaggio a
tutto tondo, con difetti e pregi, ed entrambi vengono messi in luce. Non come
Eragon, per cui viene detto che ha dei difetti ma questi non intralciano mai
seriamente la sua vita. Sono difetti comuni ad ogni essere umano e a ogni
giovane ragazzo.
Incorono Murtagh mio personale eroe della Saga dell’Eredità.
Foto ripresa dal film, ma ci tengo a precisare che io rinnego il film.
Chi mi è stato antipatico fin dall’inizio (fin da Brisingr, se vogliamo essere sinceri) è
Roran. Dallo scorso libro diventa il secondo personaggio principale di questa
storia, il protagonista affianco ad Eragon. Nessuno, nemmeno Saphira, è
importante quanto lui nella narrazione. Infatti questa si divide fra POV di
Eragon e di Roran, per la maggior parte (se escludiamo il singolo capitolo di
Saphira e i pochi riguardo alla prigionia di Nasuada). Nella battaglia finale,
sebbene abbia trovato molto interessante l’alternanza dei POV dei due cugini,
ho trovato veramente banale che fosse Roran a battere Lord Barst. Ancora una
volta, un personaggio diventa talmente perfetto da esserlo troppo. …forse è
solo il mio disprezzo naturale verso i protagonisti: ce ne sono pochissimi che
mi piacciono.
In definitiva, che dire di Inheritance? Leggerlo non mi è dispiaciuto di certo, ma sono andata
avanti in parte perché il libro mi piaceva, e in parte perché era l’ultimo del
Ciclo dell’Eredità, e questo ha giocato un ruolo fondamentale, altrimenti al posto
di un mese ci avrei messo un anno a finirlo.
Non riesco a dirmi del tutto
soddisfatta del libro, per tutte le cose che ho elencato, ma soprattutto per
quanto riguarda la rottura degli schemi di un racconto, che qui non è affatto
avvenuta. La storia è proseguita in maniera piuttosto piatta, dopo che il
grande segreto della Volta delle Anime è stato svelato.
Comunque non rimpiango di averlo letto, è solo che ha
lasciato un calore tiepido, poco profondo. Cosa che i libri precedenti della
saga non avevano fatto.
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